Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-06-2011) 22-06-2011, n.Misure cautelari 25092

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 28.4.2010 il g.i.p. del Tribunale di Napoli, convalidatone il fermo disposto dal pubblico ministero della locale D.D.A., ha applicato a R.V., detto "(OMISSIS)", la misura cautelare della custodia in carcere quale indagato del delitto di concorso in omicidio premeditato e aggravato da motivi abietti in persona di C.G., consumato con alcuni colpi di pistola il (OMISSIS) presso l’esercizio di esecuzione di tatuaggi gestito dalla vittima. Accusa cui si aggiunge la contestazione dei connessi reati di concorso in detenzione e porto illegali della pistola utilizzata per l’omicidio. Il g.i.p. ha escluso dall’accusa mossa al R. l’aggravante ad effetto speciale della natura mafiosa della condotta di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, prefigurata dal p.m. nella sua duplice connotazione soggettiva (modalità esecutive della azione omicidiaria) e oggettiva (azione volta ad agevolare il gruppo camorristico guidato da P. C., attivo nell’area nord della provincia di Napoli).

2. Adito ex art. 310 c.p.p. dall’impugnazione del pubblico ministero, censurante l’esclusione della contestata aggravante della "mafiosità" della condotta criminosa, il Tribunale di Napoli con l’ordinanza indicata in epigrafe ha accolto il gravame del p.m. ed ha riconosciuto sussistente la ridetta aggravante per tutti i reati contestati al R. considerati dal provvedimento custodiale del g.i.p. La decisione del Tribunale di Napoli ha "riconosciuto" la configurabilità dell’aggravante, sia per le specifiche modalità esecutive dell’omicidio del C., sia per i fini di consolidamento del prestigio territoriale del gruppo mafioso facente capo alla famiglia P., di cui il R. è considerato partecipe (individuato, per quanto attiene alla gravità del quadro indiziario, come esecutore materiale del delitto dalla convivente dell’ucciso, presente all’episodio).

Osserva il Tribunale che l’omicidio è maturato in diretta connessione con l’episodio avvenuto il (OMISSIS), quando presso l’esercizio del C. avviene una "spedizione punitiva" di tre soggetti, tra cui il cognato del capo-clan P.C., allo scopo di "persuadere" il C. a moderare i suoi aneliti competitivi rispetto all’attività di applicazione di tatuaggi svolta da un altro "tatuatore" (tale D.V., detto " (OMISSIS)"). Spedizione, dai toni intimidatori di palese natura camorristica, che tuttavia si risolve con esiti rovinosi per gli esponenti criminali, poichè il C., esperto di arti marziali e per nulla intimorito, reagisce alle minacce dei tre malviventi, picchiandoli e mettendo a mal partito soprattutto il cognato del capo-clan P. ( N.V., che nel corso dell’episodio non esita a rivelare la "appartenenza", propria e dei due sodali, al clan del familiare di "Cesarino"). E’ allora chiaro, aggiunge il Tribunale, che il gruppo camorristico deve punire in modo esemplare il C., dopo il pubblico affronto patito dalla sua reazione, così riaffermando il potere criminale e il controllo territoriale del gruppo camorristico gravemente compromessi dal C..

E l’unico modo è ucciderlo con una azione esemplare, eseguita in pieno giorno e in luogo pubblico presso il negozio della vittima.

3. Contro l’ordinanza dei giudici dell’appello cautelare ha proposto ricorso per cassazione il difensore del R., adducendo – senza porre in discussione il quadro indiziario afferente all’omicidio – i due vizi di legittimità che di seguito si riassumono.

1. Violazione di legge in riferimento alla ritenuta ravvisabilità della aggravante speciale prevista dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, che non è applicabile a reati punibili con la pena dell’ergastolo.

Il reato di omicidio attribuito al R., così come contestato, è certamente punibile con l’ergastolo, perchè aggravato dalla premeditazione e dalla natura abietta dei motivi della deliberazione omicidiaria ( art. 577 c.p.p., comma 1, nn. 3 e 4).

Sicchè l’aggravante della natura mafiosa del reato non è compatibile con le altre aggravanti specifiche già contestate all’indagato.

2. Insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale inscrive l’uccisione del C. in una dinamica di matrice mafiosa, ma giunge a questa conclusione sulla base di congetture o di assunti indimostrati, primo fra tutti quello di un reale interesse del gruppo camorristico e del suo capo P.C. alle vicende di "gelosia concorrenziale" tra il tatuatore ucciso e altro analogo esperto della zona, che si suppone essersi rivolto al P. per sostenere le proprie istanze nei confronti del concorrente.

Il Tribunale non si è posto il problema di una possibile e diversa ricostruzione dei moventi del delitto, apoditticamente escludendo che la "spedizione" del 30.1.2010 sia stata frutto della iniziativa personale del N. e che la successiva uccisione sia stata decisa per semplice vendetta dopo essere stato malmenato dall’ucciso.

E l’indice significativo di tale ipotesi alternativa è dato dal fatto che – pur essendo noti i componenti del gruppo camorristico potenzialmente coinvolti nell’omicidio, quali possibili mandanti del delitto o coesecutori materiali dello stesso – nessuno di costoro risulti essere indagato per l’episodio criminoso, unico indiziato rimanendo il R..

4. Il ricorso di R.S. deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza e indeducibilità, nell’ordine, dei due indicati motivi di impugnazione.

1. In via preliminare l’oggetto del ricorso pone la questione della sua intrinseca ammissibilità procedurale, atteso che con l’impugnazione non si censurano nè la concludenza degli indizi di colpevolezza a carico del R., nè le esigenze cautelari, nè la persistenza o modificabilità del suo stato di custodia carceraria.

Il ricorso contesta soltanto la ravvisabilità o non nella condotta criminosa, quale definita nell’interlocutoria fase delle indagini preliminari, di una circostanza aggravante del contestato reato.

Sicchè diviene pertinente la previa verifica della sussistenza di un concreto e attuale interesse del R. alla positiva soluzione delle questioni censorie delineate nella presente fase incidentale del procedimento (configurabilità o non dell’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7).

Problematica già postasi all’attenzione di questa Corte di legittimità, sì da far ipotizzare una carenza di interesse al ricorso per cassazione in materia di misure cautelari personali, quando l’indagato ricorrente si limiti a perseguire una mera diversa qualificazione giuridica del fatto reato ascrittogli, dalla quale non derivi per lui alcuna concreta utilità sostanziale e processuale.

Ciò perchè l’invocata immutatio libelli non influisce in alcun modo sulla persistenza della misura cautelare in atto, nè produce effetti oltre il procedimento cautelare incidentale, al di là del quale non è consentito evocare la nozione del c.d. giudicato cautelare, non senza ribadirsi che nell’ordinamento processuale non si contempla un interesse meramente teorico e formale alla esattezza della decisione (cfr.: Cass. Sez. 5,15.10.2003 n. 46151, P.M. in proc. Acunzo, rv.

227860; Cass. Sez. 5,9.11.2005 n. 45940, Oberto, rv. 233219).

Nondimeno nel caso di specie (e in casi analoghi) la ravvisabilità di un pur circoscritto interesse all’impugnazione è fatta palese dalla peculiare natura della circostanza aggravante ad effetto speciale di cui si contesta la configurabilità. Non vi è dubbio che l’interesse al ricorso in materia cautelare personale debba essere effettivo e attuale, in quanto diretto a conseguire una pronuncia che abbia una concreta ricaduta sulla imposizione, la modifica o la persistenza della misura coercitiva, e non rivesta un peso soltanto teorico o meramente anticipatorio di una valutazione propria della diversa e autonoma fase di cognizione del merito dell’accusa. Ma è altrettanto evidente che l’esclusione o non della peculiare aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 non è irrilevante ai fini cautelari, poichè la stessa connota senz’altro in termini di maggiore gravità il reato contestato e di più allarmante pericolosità sociale la persona dell’indagato e, soprattutto, determina una significativa estensione dei termini di durata della custodia cautelare (cfr. in termini, proprio con riguardo alla aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7: Cass. Sez. 1, 27.5.2008 n. 25949, P.M. in proc. Minotti, rv. 240464; Cass. Sez. 1, 30.6.2010 n. 30531, Bonfitto, rv. 248320).

2. Riconosciuta – quindi – l’ammissibilità in rito del ricorso del R., l’analisi dei motivi posti a suo fondamento ne rivela la giuridica inconsistenza.

La censura sulla inapplicabilità dell’aggravante della mafiosità del reato ascritto al ricorrente, fatta discendere dalla punibilità con la pena dell’ergastolo del reato di omicidio contestatogli, pluriaggravato ai sensi dell’art. 577 c.p., è palesemente infondata.

La L. n. 203 del 1991, art. 7 prevede una aggravante del reato, se commesso con metodi e per fini mafiosi, che incide unicamente sul trattamento sanzionatorio applicabile all’esito del giudizio di merito ("la pena è aumentata…"), ma non anche sulla contestabilità dell’aggravante, quale che sia il reato di riferimento e quale che sia la pena edittale prevista dalla norma incriminatrice pur se costituita dall’ergastolo. Le Sezioni Unite di questa S.C. hanno, al riguardo, dissolto ogni ragione di incertezza, chiarendo come la circostanza aggravante ad effetto speciale sia applicabile anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell’ergastolo e possa – per ciò – ben essere contestata anche con riferimento a tali delitti, operando in concreto soltanto nel caso in cui, di fatto, venga inflitta una pena detentiva diversa dall’ergastolo, laddove l’aggravante – se non sia poi esclusa all’esito del giudizio di merito – esplica comunque la sua efficacia per fini diversi da quelli della determinazione della pena, quale – come detto – quello della durata dei termini di custodia cautelare (Cass. S.U., 18.12.2008 n. 337/09, Antonucci, rv. 241578; Cass. Sez. 6, 17.2.2010 n. 20144, P.G. in proc. Tedesco, rv. 247370). Con la medesima decisione le Sezioni Unite hanno altresì precisato la piena compatibilità dell’aggravante della "mafiosità" con l’aggravante comune dei motivi abietti del contegno criminoso (S.U., Antonucci, rv. 241577), ogni volta in cui l’aggravante comune sia autonomamente caratterizzata da elementi o caratteri specializzanti (quid pluris) rispetto ad una metodica esecutiva mafiosa e/o a finalità di supporto del gruppo mafioso di riferimento insite nell’azione delittuosa. Ciò è esattamente quel che è messo in rilievo dall’impugnata decisione del Tribunale partenopeo e dalla stessa ordinanza custodiale del g.i.p., evidenziando le aberranti cause remote dell’omicidio, riconoscibili in ragioni di rivalsa indotte da mera gelosia professionale tra persone esercenti la stessa attività di tatuatore.

3. I rilievi critici del ricorrente involgenti la motivazione del provvedimento impugnato non sono consentiti nel giudizio di legittimità, perchè esclusivamente ancorati alla proiezione di una possibile alternativa ricostruzione modale dell’episodio omicidiario, incentrata su una rivisitazione fattuale degli elementi di prova indiziaria pur compiutamente vagliati dal Tribunale. I profili di censura elaborati dal ricorso sono estranei al presente giudizio, surrettiziamente considerato come la sede per una non consentita rivalutazione del compendio probatorio che impinge per intero il merito della regiudicanda cautelare. Merito che la decisione impugnata, in un contesto valutativo circoscritto -nel rispetto del principio di devolutività del gravame- alla disamina della configurabilità o meno dell’aggravante della mafiosità (soggettiva ed oggettiva), ha ampiamente verificato, in conformità ai criteri inferenziali dettati dall’art. 192 c.p.p., enunciando i risultati dell’indagine in una estesa motivazione, scandita da lineari e logici argomenti descrittivi, a sostegno della significatività dei gravi indizi che attingono la posizione del R. anche in rapporto al carattere mafioso della sua illecita condotta.

L’inammissibilità del ricorso impone la condanna del R. al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo fissare nella misura di Euro 1.000,00 (mille). La cancelleria si farà carico di provvedere alle comunicazioni connesse allo stato di detenzione del ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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