T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 24-06-2011, n. 937 Regolamenti comunali e provinciali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la prima nota censurata, la sig. L.A.R., figlia dell’ultrasettantacinquenne, invalida al 100 %, Angiolina Frigeri, dal 2007 ricoverata presso la Fondazione Casa di Ricovero Santa Maria Ausiliatrice Onlus, veniva invitata ad integrare la quota posta a carico dell’utente (pari a 1003,82 Euro), con il pagamento della somma di Euro 450,72 al mese a copertura della retta mensile di circa 1.600 Euro.

Ritenendo che tale richiesta non fosse conforme alla normativa vigente – che, secondo l’interpretazione datane anche dalla giurisprudenza, avrebbe dovuto essere intesa come impositiva dell’applicazione del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito ed esclusione di ogni contributo a carico dei familiari – la sig. Ruggeri invitava il Comune a rivedere la propria posizione.

L’Amministrazione, però, con la successiva nota del 26 giugno 2009, anch’essa impugnata, rigettava la richiesta, affermando la sussistenza degli obblighi alimentari in capo ai familiari degli utenti, nella misura risultante, per quanto riguarda la particolare fattispecie, dal regolamento relativo all’attuazione degli interventi di sostegno economico per l’inserimento di anziani e disabili in strutture residenziali approvato con delibera di consiglio comunale 20 novembre 2006, n. 2020 e modificato con deliberazione del consiglio comunale n. 89 del 7 luglio 2008.

Ritenendo illegittima la pretesa del Comune la ricorrente impugnava le richieste di pagamento e il citato regolamento, deducendo:

1. violazione degli artt. 1, 2 del d. lgs. 109/98, degli artt. 2, 3, 4 e 5 del DPCM 221/1999, dell’art. 25, comma 8, lett g) della legge n. 328/2000, dell’art 6 del DPCM 14.2.2001 ed incompetenza ai sensi degli artt. 42 e 48 del d. lgs. 267/2000. Il regolamento, in violazione di tali disposizioni, non avrebbe determinato la quota a carico del richiedente sulla base della somma dell’indicatore della situazione reddituale (di cui all’art. 2, comma 4 e alla tabella 1, parte I, del d. lgs. 109/1998 e all’art. 3 del DPCM 221/1999) più il 20 % dell’indicatore della situazione patrimoniale, divisa, ai sensi del comma 5 del citato art. 2, per il parametro indicato dall’apposita scala di equivalenza. Tale criterio avrebbe consentito un maggior grado di equità, valorizzando il numero di componenti del nucleo familiare, nel rispetto dei precetti di cui al d. lgs. 109/98, preordinati al mantenimento di livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali e per ciò stesso destinati ad essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Al contrario il Comune, considerando i soli redditi netti del destinatario della prestazione e mantenendo solo apparentemente nella disponibilità dello stesso una somma per spese pari al 20 %, finisce il realtà per porre anche quest’ultima a carico dei familiari;

2. violazione degli artt. 1, 2 e 3 del d. lgs. 109/98, dell’art.1 bis del DPCM 221/1999, degli artt. 4 e 5 del DPCM 221/1999, degli artt. 4 e 5 del DPR 223/1989, degli artt. 433 e 438 del cod. civ., dell’art. 24 del d. l. 112/2008, degli artt. 4 e 6 e tab. 1 del DPCM 14.2.2001. Secondo parte ricorrente la previsione di un sistema fondato sulla compartecipazione al costo di un servizio a domanda individuale da parte della famiglia, applicando la disciplina ISEE ai nuclei familiari dei parenti sarebbe in contrasto con la normativa richiamata, che avrebbe abrogato il precedente sistema fondato sulla rivalsa nei confronti dei parenti tenuti agli obblighi alimentari. L’eventuale sussistenza delle condizioni per imporre una contribuzione dovrebbe essere valutata con riferimento esclusivamente al reddito dell’utente;

3. violazione dell’art. 3, comma 2 ter del d. lgs. 109/98, degli artt. 3 e 12, comma 1, della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, degli artt. 2, 3, 10, 23, 32, 38 e 53 della Costituzione. Trattandosi di norma direttamente applicabile, il criterio dell’evidenziazione della situazione economica del solo assistito avrebbe dovuto informare di sé l’attività del Comune, che avrebbe dovuto prevedere che l’intera quota che non può essere corrisposta dall’utente rimanga a carico del Comune stesso: ciò nel rispetto della dignità intrinseca e dell’autonomia individuale delle persone con disabilità;

4. violazione dell’art. 1, tab 2 del d. lgs. 109/98, in quanto l’ISEE sarebbe stato calcolato dal Comune espungendo dal nucleo familiare l’assistito;

5. violazione dell’art. 3, comma 3 della legge 104/1992: illogicità e contradditorietà delle previsioni regolamentari del Comune di Bergamo laddove non distinguono la situazione degli anziani non autosufficienti e che presentano disabilità gravi, anche accertate dalla competente commissione, dagli anziani pienamente autosufficienti;

6. violazione dell’art. 3 della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, degli artt. 2, 3, 32, 38 e 53 della Costituzione, degli artt. 2, 3, 6, 22 e 24 della legge n. 328/2000, dell’art. 1 del d. lgs. 109/98, dell’art. 3 della legge n. 241/90, dell’art. 34 comma 3 del DPR 601/1973. Il sistema di ripartizione degli oneri relativi al servizio garantito ai disabili adottato dal Comune violerebbe i principi di proporzionalità, logicità e ragionevolezza, imposti dalla normativa citata, in specie laddove non conserva, in capo all’utente, un importo pari al 50 % del reddito minimo di inserimento. La sproporzione sarebbe peraltro dimostrata dal fatto che a fronte di un ISEE pari a 21.610, 42 Euro (per un nucleo familiare composto dalla ricorrente, dal marito e due figlie) è stata richiesta una retta pari a 12.000 Euro all’utente e a 5.000 Euro alla famiglia;

7. violazione degli artt. 1 comma 4 e 5, 3 comma 2, lett. b), 6 comma 2 lett. a) 8 comma 2, lett. a), 16 comma 1 della legge 328/2000 e della circolare 29 luglio 2005, n. 34 e 25 ottobre 2005, n. 48, a causa dell’omessa, da parte del Comune, concertazione con le famiglie e le associazioni presenti sul territorio.

Si è costituito in giudizio il Comune, che, con una memoria che non appare ispirata al principio di sinteticità degli atti processuali introdotto dal nuovo codice del processo amministrativo, ha eccepito l’infondatezza del ricorso, in quanto gli atti impugnati rappresenterebbero la puntuale applicazione della vigente disciplina, operata perseguendo le finalità di evitare il totale disimpegno della rete familiare nei confronti di anziani non autosufficienti e la disparità di trattamento nei confronti delle famiglie che trattengono presso il proprio domicilio i componenti non autosufficienti.

In particolare il Comune ha invocato l’esistenza di un impegno della sig.ra Ruggeri Luigia Angela (sottoscritto in data 27 febbraio 2008) nei confronti dell’amministrazione comunale a versare mensilmente il contributo relativo all’inserimento della madre presso la struttura residenziale (per un importo allora calcolato in Euro 132,27, ma successivamente aggiornato).

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per effetto dell’omessa, tempestiva, impugnazione dell’accordo intercorso con il Comune nel 2008, con cui la odierna ricorrente si è impegnata a compartecipare al pagamento della retta relativa al ricovero della madre.

Come questo Tribunale ha già avuto modo di precisare con la sentenza 2476 dell’8 luglio 2010, da cui non si ravvisa ragione di discostarsi, accordi come quello sottoscritto dalla sig.ra Ruggeri debbono essere qualificati come accordo sostitutivo di provvedimento, stipulato ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241/90. Quest’ultimo dà origine ad un rapporto giuridico, fonte di vincoli obbligatori per le parti, a prescindere dalla sua qualificazione come normale contratto privatistico ovvero come contratto ad oggetto pubblico. La sottoscrizione, infatti, determina il configurarsi di un accordo bilaterale, assoggettato ai principi di diritto comune, ove compatibili con gli scopi collettivi dell’azione amministrativa. "In particolare" – si legge nella richiamata sentenza "l’aspetto che rileva nella vicenda è la vincolatività del rapporto negoziale, che può essere incisa per iniziativa dell’Ente pubblico – spontanea e validamente motivata (art. 11 comma 4 L. 241/90) – ma non può essere considerata tamquam non esset per effetto di una semplice iniziativa sollecitatoria del privato che chiede al Comune di riesaminare l’assetto della relazione in precedenza formalmente instaurata. La parte privata che contesta l’accordo e i suoi contenuti ha l’onere di azionare i rimedi civilistici idonei a far accertare dal giudice l’invalidità – originaria o sopravvenuta – del rapporto.".

In assenza di una tale contestazione, la parte privata che ha sottoscritto l’accordo non può sottrarsi allo stesso.

Ne discende, quindi, che, nel caso in esame, non essendo stata censurata la legittimità dell’accordo a suo tempo stipulato, non possono ritenersi ammissibili le doglianze dedotte, volte a rimettere in discussione le modalità di calcolo della compartecipazione cui la ricorrente era tenuta con riferimento al sostentamento della madre.

La natura della controversia suggerisce la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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