Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-06-2011) 22-06-2011, n. 25082 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza resa il 12.10.2010, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il Tribunale di Brescia ha applicato ai cinque imputati generalizzati in epigrafe – in base all’accordo da essi raggiunto con il p.m. – le pene, concesse a tutti le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante del risarcimento del danno stimate equivalenti alle aggravanti e alla recidiva reiterata a ciascuno contestata, di due mesi e dieci giorni di reclusione per L.S., C. F., C.A. e L.R. e di cinque mesi e venti giorni di reclusione per C.C.. Pene applicate per i reati, unificati da, di partecipazione a una rissa in cui taluni corrissanti riportavano lesioni, di danneggiamento aggravato degli arredi del locale pubblico teatro della rissa ed altresì, per il solo Ca.Cl., di resistenza (violenta reazione fisica e verbale nei confronti di un carabinieri intervenuto per sedare la rissa e identificarne gli autori).

2. La sentenza è stata impugnata per cassazione dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Brescia e dai cinque imputati.

A. Il Procuratore Generale di Brescia deduce violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 81 c.p., comma 4. Le pene oggetto degli accordi sanzionatoti ratificati dal giudice di merito debbono considerarsi contra legem, poichè – ritenuta e, quindi, applicata la recidiva reiterata ex art. 99 c.p., comma 4 contestata ai cinque imputati- gli incrementi di pena per la continuazione sono stati determinati in misura inferiore ad un terzo delle pene assunte a base del calcolo (quindici giorni sulla pena base di otto mesi di reclusione per il più grave reato di resistenza ascritto al C.;

quindici giorni sulla pena base di tre mesi di reclusione per il più grave reato di danneggiamento per quel che attiene agli altri quattro imputati).

B. Gli imputati L.S., C.A. e C. F. deducono la illogicità della motivazione e il travisamento della prova, nella parte in cui la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto del reale svolgimento dei fatti integranti la regiudicanda, atteso che essi imputati triestini sarebbero stati vittime dell’aggressione del contrapposto gruppo di cittadini lombardi, da cui hanno solo cercato di difendersi.

C. L’imputato L.R. lamenta l’erronea applicazione dell’art. 81 c.p., comma 2 in punto di individuazione del reato più grave tra i due a lui ascritti. Il giudice ha ritenuto più grave in concreto il reato di danneggiamento ex art. 635 c.p. rispetto a quello di rissa aggravata ex art. 588 c.p., comma 2. Reato, questo secondo, da valutarsi più grave per pena edittale, atteso che – come afferma la giurisprudenza di legittimità – ai fini dell’individuazione del reato più grave deve aversi riguardo alla violazione più grave in astratto, espressa dalla misura della sanzione normativamente prevista.

D. L’imputato C.G. adduce violazione di legge in ordine alla qualificazione in termini di resistenza della condotta da lui tenuta nei confronti del carabiniere operante, condotta sussumibile nella minaccia ex art. 336 c.p., non essendo emersi elementi probatori "tali da comprovare un nesso teleologia) tra il comportamento minatorio ascritto e l’atto di servizio del carabiniere".

Con nota inviata a mezzo fax il 9.6.2011 l’avv. Massimo Zambelli del foro di Brescia, cassazionista e difensore di fiducia dei ricorrenti C. e L.R., ha eccepito l’omessa notifica, nella sua veste di difensore, dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza camerale (ai due ricorrenti è stato nominato un difensore di ufficio) e comunque l’omesso avviso personale all’imputato C..

3. Il ricorso proposto dal Procuratore Generale di Brescia è fondato. Inammissibili sono, invece, i ricorsi dei cinque imputati per indeducibilità e palese infondatezza dei rispettivi motivi di censura. Il necessario annullamento della sentenza impugnata, conseguente all’accoglimento del ricorso del p.m. e produttivo dei medesimi effetti caducatori della sentenza invocati anche dagli imputati ricorrenti, priva di pregio – per sopravvenuta carenza di interesse a coltivare la doglianza- i citati rilievi in rito esposti dal difensore di L.R. e di C.C..

4.1 motivi di ricorso enunciati dagli imputati L.S., C.A., C.F. e C.C. sono generici e non consentiti nel giudizio di legittimità, poichè – oltre ad essere patentemente distonici rispetto alla natura della decisione applicativa di pene sollecitata dai ricorrenti- impingono il merito fattuale della regiudicanda e comunque non indicano le evenienze per cui, in presenza di richieste di pene "patteggiate" provenienti dagli stessi ricorrenti, tali da presupporre implicita rinuncia ad ogni questione sulla colpevolezza e sulla qualificazione dei fatti, il giudice di merito avrebbe dovuto eludere le richieste e giungere ad una sentenza liberatoria basata sull’evidenza dell’inesistenza dei reati o della non colpevolezza dei giudicabili, smentita dalle emergenze processuali richiamate nella decisione impugnata.

5. Manifestamente infondata è la censura espressa con il ricorso di R.L. in punto di individuazione del reato più grave, per gli effetti di cui all’art. 81 c.p., comma 2, tra i reati di danneggiamento aggravato e di rissa aggravata contestatigli.

L’assunto per cui il giudice di merito avrebbe dovuto considerare reato più grave quello di rissa è scandito da pregiudiziale carenza di interesse, traducendosi nella paradossale invocazione di un trattamento sanzionatorio deteriore e più afflittivo rispetto a quello giudicato dal Tribunale corretto e congruo rispetto alla gravità dei fatti (la pena per il reato di rissa aggravata essendo ben maggiore, per stare alla tesi del ricorrente, di quella prevista per il danneggiamento aggravato). Ma l’assunto è altresì privo di pregio, perchè muove dall’erroneo presupposto che il reato di rissa aggravata costituisca una ipotesi autonoma di reato e non, invece e come per l’omologo reato di danneggiamento aggravato (art. 635, comma 2), una semplice ipotesi di reato connotata da una aggravante ad effetto speciale ex art. 63 c.p., comma 3 (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, 19.9.1999 n. 5018, P.G. in proc. Rezel, rv. 215673).

Di tal che, se non è revocabile in dubbio che per i fini di cui all’art. 81 c.p., comma 2 la pena base del calcolo cumulativo debba essere calcolata in rapporto al reato astrattamente più grave per pena editale (cfr.: Cass. S.U. 10.12.1993 n. 748/94, Cassata, rv.

195805; Cass. Sez. 6,14.7.2010 n. 34382, Azizi, rv. 248247), è parimenti pacifico che in caso di continuazione criminosa la violazione più grave (da riconoscersi in astratto in base alla pena edittale), debba pur sempre essere correlata al reato ritenuto in concreto dal giudice di merito, quale espresso dalle singole circostanze modali e quale risultante dall’eventuale giudizio di comparazione svolto fra le circostanze.

Nel caso del ricorrente L.R. (come per gli altri tre ricorrenti diversi dal C.) il trattamento sanzionatorio è stato definito (patteggiato) in virtù del comparativo rapporto di equivalenza istituito tra le circostanze attenuanti generiche e del risarcimento del danno e la recidiva e le altre circostanze aggravanti dei reati avvinti da continuazione. Così che, elise le aggravanti dei reati di rissa e di danneggiamento, correttamente la pena base è stata individuata in quella prevista dall’art. 635 c.p., comma 1 (reclusione fino ad un anno o multa), più grave rispetto a quella comminabile per il reato di cui all’art. 588 c.p., comma 1 (sola multa). Il giudizio di bilanciamento delle circostanze ha, infatti, carattere unitario e investe tutte le circostanze coinvolte nel procedimento di comparazione, sia quelle comuni che quelle ad effetto speciale, giacchè la disciplina differenziata per queste ultime attiene alla sola applicazione degli aumenti o delle diminuzioni di pena e non al concorso tra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti (v.: Cass. Sez. 4, 9.10.2007 n. 47144, Ferrentino, rv. 238352; Cass. Sez. 3,9.5.2008 n. 28258, Cecchini, rv.

240820).

6. La censura mossa dal ricorrente P.G. di Brescia è fondata, le pene applicate dal Tribunale di Brescia ai cinque imputati dovendo essere considerate illegali, perchè non conformi al computo della recidiva contestata agli imputati previsto dall’art. 81 c.p., comma 4.

A tutti e cinque gli imputati è stata contestata, a norma dell’art. 99 c.p., comma 4, la recidiva reiterata ed altresì (tranne che per il solo L.R.) specifica e nel quinquennio. Tale recidiva non è stata esclusa dalla valutazione di gravità dei reati commessi dagli imputati ed è stata "ritenuta e applicata" nel connesso trattamento sanzionatorio, sebbene in rapporto di equivalenza con le riconosciute circostanze attenuanti.

Di conseguenza il rilievo del ricorrente P.G., che richiama le note decisioni in materia della Corte Costituzionale (sentenza n. 192/2007 e successive ordinanze), è esatto e il giudice di merito avrebbe dovuto calcolare un aumento sulla pena base dei singoli reati individuati come più gravi ascritti agli imputati (resistenza per C., danneggiamento per gli altri) in misura non inferiore ad un terzo delle pene basi.

Giova chiarire che il collegio non giudica condivisibile il recentissimo arresto giurisprudenziale di questa stessa Corte regolatrice, secondo cui il limite minimo di incremento sanzionatorio previsto dall’art. 81 c.p., comma 4 non troverebbe applicazione in ipotesi di continuazione di reati, per i quali la recidiva reiterata sia stata valutata (ex art. 69 c.p., comma 4) equivalente alle configurate circostanze attenuanti, perchè in tal caso la recidiva contestata "non sarebbe stata ritenuta in concreto incidente sull’entità della pena" (Cass. Sez. 5, 24.1.2011 n. 9636, P.G. in proc. Ortoleva, rv. 249513). Esito ermeneutico che viene desunto da altrettanto recente dictum delle Sezioni Unite di questa S.C. (Cass. S.U., 27.5.2010 n. 35738, Calibe, rv. 247839), che – nel porre "un punto fermo nella materia" – hanno stabilito come, quando la recidiva reiterata sia "esclusa" dal giudice di merito, la stessa non è più ricompresa nell’oggetto della valutazione del giudice ai fini della definizione della pena, rendendo così inoperante il limite o divieto di aumento sanzionatorio per la continuazione in misura non inferiore ad un terzo della pena base (art. 81 c.p., comma 4).

E’ convinzione del collegio, ex adverso, proprio in adesione al dettato delle Sezioni Unite, che – salvi i casi in cui il giudice di merito, esercitando il discrezionale potere di apprezzamento della gravità della condotta criminosa, abbia in modo espresso "escluso" la contestata recidiva, in quanto reputata non sintomatica di più accentuate colpevolezza e pericolosità dell’imputato, così radicalmente espungendola dal regime sanzionatorio applicabile – la recidiva medesima conservi inalterati gli "effetti ulteriori" (rispetto a quello suo proprio di addizione della pena base del reato) da essa derivanti ed incidenti sul regime sanzionatorio latamente inteso, quale quello, tra gli altri, previsto dal novellato art. 81 c.p., comma 4. Ciò sia che, in un eventuale giudizio di bilanciamento con possibili circostanze aggravanti, la recidiva reiterata sia stata stimata subvalente, sia che sia stata stimata "equivalente" rispetto alle attenuanti. A vero dire le conclusioni raggiunte dalle Sezioni Unite conducono ad esiti interpretavi opposti a quelli immaginati dalla decisione di questa S.C., che considera espunta dal panorama sanzionatorio la recidiva valutata "equivalente" ad eventuali circostanze attenuanti. In siffatta situazione la recidiva non può certo giudicarsi vanificata, poichè essa -come evidenziano le Sezioni Unite- è stata sia "ritenuta" (quale indice di maggior gravità del contegno criminoso del soggetto recidivo), sia in concreto "applicata" nel giudizio (cfr. motivazione Cass. S.U., rie. Calabè, cit.: "… Qualora la verifica effettuata dal giudice si concluda nel senso del concreto rilievo della ricaduta sotto il profilo sintomatico di una "più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo", la circostanza aggravante opera necessariamente e determina tutte le conseguenze di legge sul trattamento sanzionatorio e sugli ulteriori effetti commisurativi e dunque…il limite minimo di aumento per la continuazione stabilito dall’art. 81 c.p., comma 4… In tale ipotesi la recidiva deve intendersi, oltre che "accertata" nei suoi presupposti, "ritenuta" dal giudice ed "applicata"… e ciò anche quando semplicemente svolga la funzione di paralizzare, con il giudizio di equivalenza, l’effetto alleviatore di una circostanza attenuante").

7. Per l’effetto, ritenuti assorbiti i pur inammissibili ricorsi degli imputati nella decisione sull’accolto ricorso del P.G. distrettuale (accoglimento grazie al quale gli imputati conseguono, benchè per ragioni indirette ed estranee alle loro iniziative impugnatorie, il prefigurato esito caducatorio della sentenza emessa nei loro confronti, così elidendosi le connotazioni di soccombenza sottese ai loro non ammissibili ricorsi), deve annullarsi senza rinvio la sentenza impugnata, restituendosi gli atti al Tribunale di Brescia per l’ulteriore corso di giustizia, poichè la pena illegittimamente approvata dal giudice di merito priva di validità la piattaforma negoziale sulla quale sono maturati gli accordi sanzionatori intercorsi tra le parti e rende nulla la sentenza che ha ratificato quegli erronei accordi. Di tal che il Tribunale e le parti sono chiamate a compiere una valutazione ex novo della regiudicanda senza preclusioni di sorta riconducibili alla fase processuale già invalidamente esaurita, sì da poter procedere ad una rinegoziazione degli accordi per l’applicazione di pene conformi a criteri di legalità ovvero alla rinuncia agli accordi medesimi, dando ingresso al giudizio ordinario o al giudizio abbreviato (cfr. ex plurimis:

Cass. Sez. 5, 22.9.2006 n. 1411, P.G. in proc. Braidich, rv. 236033;

Cass. 6, 7.1.2008 n. 7952, Pepini, rv. 239082).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Brescia per l’ulteriore corso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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