T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 24-06-2011, n. 936 Regolamenti comunali e provinciali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. L.M. è figlio non convivente della sig.ra Paolina Belussi che, a seguito dell’intervento dell’amministratore di sostegno, è stata ricoverata presso la R.S.A. "La residenza" di Brescia, a fronte della corresponsione di una retta mensile di circa 1.575,00 Euro. In ragione dell’incapienza delle entrate della fruitrice del servizio (che percepiva 618,00 Euro di pensione, oltre a 472,00 Euro di indennità di accompagnamento, per un totale di 1090,00 Euro), tale amministratore chiedeva al figlio di sostenere la parte rimanente della spesa, ai sensi dell’art. 438 del cod. civ..

Ritenendo inapplicabile tale norma in relazione alla richiesta compartecipazione al costo dei servizi sociosanitari di cui fruisce la madre, il sig. M. rifiutava il versamento, il quale avrebbe richiesto il presupposto dello stato di bisogno della madre.

La richiesta di contribuzione veniva, quindi, reiterata dal Comune, il quale chiedeva la produzione dell’attestazione ISEE, in difetto della quale avrebbe provveduto d’ufficio a determinare la quota di partecipazione di competenza.

Il sig. M. replicava rappresentando l’intervenuta abrogazione della norma che prevedeva la rivalsa nei confronti dei familiari di cui alla legge n. 158/1931 e, quindi, l’assenza di presupposti rispetto alla richiesta formulata.

Con nota del 29 luglio il Comune precisava che la propria richiesta discendeva dalle previsioni del regolamento comunale in vigore dal 2007, secondo cui il Comune può garantire il proprio intervento economico solo nel caso di impossibilità di sostenere la spesa da parte dell’utente e dei nuclei familiari che costituiscono la sua rete di sostegno, rappresentati dal nucleo familiare del destinatario diretto, da quello degli altri soggetti con cui convive il destinatario diretto ed infine dal nucleo dei figli e degli eventuali coniugi degli stessi. A ciò faceva seguito l’invio di apposito bollettino MAV per il pagamento dell’importo mensile di Euro 487,81.

Avverso tali provvedimenti parte ricorrente ha dedotto:

1. nullità ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/90, per violazione ed elusione del giudicato e difetto assoluto di attribuzione, incompetenza e violazione degli artt. 42 e 48 del d. lgs. 267/2000, degli artt. 1, 2 e 3 del d. lgs. 109/98, dell’art.1 bis del DPCM 221/1999, degli artt. 4 e 5 del DPR 223/1989, degli artt. 433 e 438 del cod. civ., dell’art. 24 del d. l. 112/2008, degli artt. 4 e 6 e tab. 1 del DPCM 14.2.2001, dell’art. 3 della legge n. 241/90;

2. violazione degli artt. 1, 2 e 3, tab. 1 e 2, del d. lgs. 109/98, dell’art.1 bis, 2, 3, 4 e 5 del DPCM 221/1999, degli artt. 4 e 5 del DPR 223/1989, degli artt. 433 e 438 del cod. civ., dell’art. 24 del d. l. 112/2008, degli artt. 4 e 6 e tab. 1 del DPCM 14.2.2001. Secondo parte ricorrente, l’art. 2 del d. lgs. 109/98 imporrebbe di considerare esclusivamente la situazione economica del nucleo familiare di appartenenza, tenuto conto del fatto che, come specificato dai decreti attuativi 221/1999 e 242/2001, ciascun soggetto può appartenere ad un solo nucleo familiare. Inoltre il Comune continuerebbe ad operare una inammissibile commistione tra disciplina della rivalsa nei confronti dei familiari e normativa ISEE.

Si è costituita in giudizio la Fondazione bresciana di iniziative sociali Onlus, al solo fine di evidenziare la propria posizione di mera controinteressata, che ne determina l’interesse ad una pronta conoscenza dell’andamento del giudizio e delle sue conclusioni.

Il Comune, invece, dopo la costituzione formale ed il deposito di documenti, ha prodotto una memoria nella quale, dopo aver ricostruito l’andamento dei fatti con riferimento alla specifica vicenda personale della sig. ra Belussi (che ha portato alla designazione di un amministratore di sostegno in ragione della mancanza di disponibilità del figlio – odierno ricorrente – a perfezionare il procedimento per il ricovero della stessa in una struttura adeguata), ha descritto il sistema di ripartizione degli oneri del ricovero tra utente, famiglia dello stesso e Comune, così come delineato dall’apposito regolamento comunale. In particolare esso ha precisato come la richiesta, nei confronti del sig. M., della corresponsione di Euro 487,81 mensili sia scaturita dalla mancata presentazione dello stesso della documentazione ai fini ISEE, la quale potrebbe anche, in via del tutto ipotetica, condurre all’esclusione di ogni contribuzione da parte del medesimo.

In rito, il Comune ha eccepito la carenza di giurisdizione in ordine all’annullamento della nota del 15 ottobre 2010, con cui è stata richiesta la restituzione di quanto a tale data anticipato alla RSA dal Comune, a garanzia dell’integrale copertura della retta di ricovero in attesa della definizione dell’esistenza di un eventuale obbligo contributivo in capo all’odierno ricorrente: trattandosi di diritti nascenti dalla gestione di affari altrui ex art. 2028 c.c., la giurisdizione sarebbe del G.O., anche laddove si riconduca la vicenda alla materia dei servizi pubblici, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Rispetto agli altri atti impugnati il ricorso sarebbe irricevibile, in quanto rivolto contro atti non immediatamente lesivi e comunque ripropositivi di una comunicazione di identico tenore inviata al ricorrente in data 18 giugno 2008 e mai impugnata, la quale dovrebbe essere qualificata alla stregua di atto presupposto.

Nel merito il ricorso sarebbe infondato.

In vista della pubblica udienza, parte ricorrente ha prodotto una memoria nella quale ha ribadito quanto già affermato nel ricorso.

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Oggetto di impugnazione sono, in via principale, due note con cui il Comune di Brescia ha, rispettivamente, invitato il sig. M.L. a presentarsi presso l’Ufficio Ammissione Istituti del Comune di Brescia con attestazione ISEE in corso di validità per la determinazione del contributo a proprio carico in relazione al costo della retta di ospitalità della madre e chiarito le ragioni della suddetta richiesta e le conseguenze della mancata presentazione della documentazione.

Oltre a tali comunicazioni sono impugnate la nota con cui il Comune di Brescia ha trasmesso il primo bollettino MAV per l’incasso della prima quota di retta posta a carico del ricorrente (relativa al mese di settembre 2010) e le deliberazioni con cui sono stati adottati gli atti regolamentari demandati dalla legge ai singoli Comuni.

Deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità introdotta dal Comune con riferimento all’impugnazione della nota del 15 ottobre 2010.

Il Collegio ritiene, infatti, che, nel caso di specie sussista la cognizione del giudice amministrativo in ragione del fatto che, in conformità a quanto previsto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 204/2004, la materia attiene ai pubblici servizi e le questioni dedotte ineriscono a "provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241". Ciò anche in relazione alla suddetta nota, nella quale, diversamente da quanto asserito nella difesa comunale, non è stato richiesta la restituzione di quanto anticipato dal Comune, bensì il pagamento della prima rata posta a carico dell’odierno ricorrente.

Né appare condivisibile la tesi secondo cui quelli impugnati sarebbero atti meramente ripropositivi di un primo invito alla contribuzione non impugnato. Invero si tratta di atti con cui è stato dato ulteriore corso al procedimento e che, quindi, sono autonomi ed, in effetti, immediatamente lesivi.

Il Collegio ritiene, però, di dover rilevare, proprio in considerazione del particolare contenuto degli atti impugnati, come parte ricorrente non abbia dimostrato di avere un interesse concreto ed attuale alla pronuncia: il sig. M., infatti, non ha mai prodotto, neanche in giudizio, la propria certificazione ISEE e ciò esclude la possibilità di provare la concreta lesività nei suoi confronti della regolamentazione censurata. La contribuzione richiesta, infatti, è stata determinata solo in ragione della presunzione derivante, allo stato, dalla mancata documentazione delle condizioni reddituali dell’odierno ricorrente. Ciò comporterebbe l’inammissibilità di tutte le censure dedotte per la mancata dimostrazione della sussistenza di un interesse concreto ed attuale, ma si può prescindere dalla definizione in rito, attesa l’infondatezza nel merito del ricorso.

Per quanto attiene alla prima censura, non appare ravvisabile alcuna violazione del giudicato o elusione dello stesso, posto che la sentenza n. 1470/2009, invocata da parte ricorrente, attiene al rapporto tra Comune di Brescia e soggetti diversi da quelli i cui interessi è diretto a tutelare il ricorso in esame. Né si può ritenere sussistano i presupposti per entrare nel merito della dedotta incompetenza rispetto all’adozione degli atti censurati, solo asserita, ma rispetto a cui non risulta essere stata individuata nemmeno la norma di riferimento che si vorrebbe violata.

La seconda censura, invece, appare infondata alla luce dei principi espressi recentemente dalla giurisprudenza.

Il Collegio ritiene, infatti, in primo luogo, per quanto attiene alla legittimità del ricorso al sistema di valutazione delle condizioni economiche ISEE, di poter condividere quanto affermato dal Consiglio di Stato nella propria sentenza n. 1607 del 16 marzo 2011, nella quale si legge che "Il legislatore regionale" (della Regione Lombardia, n.d.r.) "ha però aggiunto un elemento al criterio dell’I.S.E.E.: la partecipazione dei soggetti civilmente obbligati e tale elemento non contrasta con alcuna disposizione statale e rientra nella riconosciuta possibilità di introdurre criteri differenziati e aggiuntivi dei selezione dei destinatari degli interventi".

Del resto appare conforme ai principi costituzionali e che permeano l’ordinamento in un’ottica di solidarietà sociale, distinguere, nell’ambito dei soggetti che maggiormente hanno bisogno di assistenza tra coloro che hanno comunque una fonte di sostentamento, costituita dalla presenza di un obbligato agli alimenti e chi tale fonte non ha. Equiparare le due situazioni, infatti, potrebbe comportare un vulnus agli stessi principi generali e livelli essenziali per l’accesso ai servizi sociali, potendo determinare in concreto una riduzione delle risorse da destinare ai soggetti più bisognevoli, perché sprovvisti di una rete di sostegno economico familiare (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, n. 1607/2011).

Ciò chiarito, però, non può trascurarsi il fatto che, nonostante la sopra richiamata legislazione abbia introdotto l’ISEE come criterio generale di valutazione della situazione economica delle persone che richiedono prestazioni sociali agevolate, il d. lgs. 109/98 (art. 3, comma 2 ter), con riferimento alle prestazioni erogate a domicilio o in ambiente residenziale rivolte a persone con handicap permanente grave o a soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti (in entrambi i casi specificamente certificati), ha introdotto la deroga secondo cui deve essere presa in considerazione la situazione economica del solo assistito, salvo i limiti individuati da un apposito decreto ministeriale.

La rigida interpretazione di tale principio, sostenuta anche da parte della giurisprudenza, può, però essere superata, in un’ottica di coordinamento con i principi costituzionali come più sopra individuati, alla luce del condivisibile l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 551/2011, nella quale si legge che la mancata adozione del regolamento richiamato dall’art. 3 del d. lgs. 109/98 "non può esimere l’Amministrazione comunale dall’esaminare la situazione fattuale e reddituale del soggetto svantaggiato, essendo comunque presenti nella legislazione vigente gli elementi per tale determinazione".

Deve quindi ritenersi che, anche nel caso di specie, debba trovare applicazione la disciplina in tale norma contenuta. Peraltro la stessa sentenza chiarisce che "è fuori discussione che occorre tenere presente la situazione reddituale complessiva del nucleo familiare, e non solo quella del soggetto svantaggiato, essendo evidente il concorso del reddito complessivo del nucleo in parola per la sussistenza del soggetto in parola", così confermando quanto già precedentemente affermato da questo Tribunale nella propria sentenza n. 1470 del 2009. In tale occasione si era ritenuto che, in assenza del suddetto decreto attuativo (con il quale il Presidente del Consiglio potrebbe o avrebbe potuto dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’ISEE familiare), le amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio, debbano operare scelte concrete, in linea con i principi di dignità intrinseca, autonomia individuale e indipendenza della persone disabile affermati dalla Convenzione di New York, sottoscritta dall’Italia e recentemente ratificata dal Parlamento con legge 3/3/2009 n. 18.

Proprio un’interpretazione logicosistematica della normativa di settore impone una lettura dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98 secondo cui sussiste "l’obbligo di sviluppare l’indagine sul reddito familiare valorizzando la posizione individuale del soggetto colpito da gravi limitazioni psicofisiche e dunque assumendo in via prioritaria i suoi redditi come autonomi e separati ai fini del calcolo della contribuzione al costo della prestazione resa. Ciò tuttavia non avviene senza limite alcuno, potendosi allargare la valutazione al nucleo di appartenenza ove la capacità contributiva complessiva superi una determinata soglia, determinata secondo canoni di correttezza, logicità e proporzionalità, ossia alla luce delle concrete condizioni di vita di una famiglia che accoglie al suo interno una persona svantaggiata" (principio già espresso nella sentenza TAR Brescia, I, n. 350 del 6 marzo 2008 e ribadito nella sentenza 1470/09, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 551/2011).

In altre parole, non si può prescindere dal valorizzare il dato letterale di riferimento, il quale sembra affermare che l’applicazione dei principi sull’ISEE sia limitata ad ipotesi circoscritte, individuate con il decreto che deve (o avrebbe dovuto) riconoscere un rilievo predominante alla situazione economica del solo assistito nell’ottica di facilitare la sua convivenza con il nucleo familiare. Al riguardo il Collegio non ravvisa ragione di scostarsi dal proprio precedente, rappresentato dalla sentenza n. 18 del 14 gennaio 2010, con il quale si è affermato che "non sembra condivisibile una lettura della seconda parte del comma 2ter tesa a riconoscere un principio assoluto ed incondizionato, mentre al D.P.C.M. sarebbe demandata la funzione, esclusiva ed eventuale, di limitarne la portata. Da una lettura complessiva emerge viceversa che la disposizione affida all’autorità statale, in via contestuale, sia il compito di raggiungere il delineato obiettivo a favore dei soggetti tutelati sia la determinazione dei limiti residuali entro i quali l’ISEE familiare può comunque trovare applicazione: spetta in altre parole al Presidente del Consiglio dare attuazione al principio e delimitarne la portata, individuando le ipotesi marginali nelle quali può riespandersi la disciplina generale dell’ISEE familiare". In assenza del suddetto decreto, pare evidente che la proposizione normativa – come già detto immediatamente precettiva – debba essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio.".

Deve, quindi, essere respinto il ricorso nella parte in cui tende all’annullamento degli atti impugnati in ragione di una pretesa illegittimità della valutazione del reddito dell’intero nucleo familiare di appartenenza del disabile, come tale potendosi considerare anche quello più ampio, individuato in ragione di una sorta di sistema a cerchi concentrici, costituito dai figli e i loro coniugi, non ravvisabile in concreto.

La stessa mancata produzione, da parte del ricorrente, della documentazione comprovante la propria situazione reddituale esime, infatti, l’Amministrazione dal condurre qualsiasi più approfondita istruttoria circa la coerenza ed adeguatezza della pretesa contributiva in concreto fatta valere.

Data la natura prettamente interpretativa della questione sussistono, peraltro, giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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