Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-06-2011) 22-06-2011, n. 25077Associazione per delinquere Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza emessa in data 8.7.2009, all’esito giudizio abbreviato non subordinato ad integrazioni probatorie, costituente ramificazione processuale di estese indagini sull’attività di più organismi criminosi attivi nell’importazione e trasporto in Italia dal Marocco e dalla Spagna di ingenti quantitativi di hashish e nella successiva distribuzione e vendita a più centri di smercio della sostanza, il g.u.p. del Tribunale di Trieste ha dichiarato, tra gli altri, i tre imputati indicati in epigrafe colpevoli dei reati come di seguito indicati:

" C. e Ch. responsabili dei reati di concorso in importazione e cessione continuate di 120 chili di hashish (capo E, accertato in (OMISSIS)) e di importazione e cessione di 94 chili di hashish (capo F, accertato in (OMISSIS) al termine della consegna "controllata" da parte del trasportatore C. in veste di corriere ed al flagrante arresto dello stesso e dei due cessionari della sostanza);

– C. altresì responsabile del reato di concorso in importazione continuata di quantitativi di hashish oscillanti tra i 90 e i 120 chili, svoltasi dal (OMISSIS) (capo G) nonchè del reato di partecipazione ad associazione per delinquere dedita al narcotraffico ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (capo A:

"quale autista titolare di una ditta di autotrasporti con compiti di trasporto dell’hashish a bordo dei propri autoarticolati alla cui guida si poneva egli stesso", fino al (OMISSIS));

– T. responsabile dei reati di concorso in importazione e detenzione per la vendita di hashish in quantità indeterminata ma non modica (capo C, accertato in (OMISSIS)) e in importazione e detenzione per la vendita di 39 chili di hashish (capo D, accertato in (OMISSIS)).

Per l’effetto il g.u.p. triestino, unificati i reati loro rispettivamente sotto il vincolo della continuazione e concesse al C. e al Ch. le attenuanti generiche ed al C. l’attenuante della collaborazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 per il solo reato sub F) (consegna controllata di 120 chili di hashish del (OMISSIS)) stimate prevalenti sulla contestata aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, ha condannato:

– C.R. alla pena di sei anni di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa;

– Ch.Ic. alla pena di quattro anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa;

– T.M. alla pena di sei anni di reclusione ed Euro 30.000 di multa, così "cumulando" la pena irrogatagli con sentenza non definitiva del g.u.p. del Tribunale di Bologna ("recepita integralmente la relativa statuizione") per i fatti di cui al capo D) della rubrica (cinque anni di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa) e quella, incrementale, per il reato di cui al capo C).

Alla decisione di condanna dei tre imputati il giudice di merito è pervenuto sulla base dei ritenuti concordanti elementi di prova offerti dalle indagini preliminari, costituiti dai servizi di osservazione e controllo anche documentali (tabulati telefonici e dei pedaggi autostradali degli autocarri utilizzati per importare clandestinamente la droga in Italia) esperiti dalla p.g. in coincidenza di rituali servizi di intercettazione telefonica. Dati probatori significativamente confermati dalle confessioni degli imputati. Piene quelle del C. e del Ch. per i reati per quali sono stati condannati (il Ch. è stato prosciolto dall’associazione ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 e da altri due reati satellite), circoscritta al reato di cui al capo D) (suo arresto in flagranza) quella del T..

2. Adita dalle impugnazioni dei tre imputati, inerenti precipuamente al trattamento sanzionatorio e alle disposizioni accessorie e soltanto per il T. anche alla sua responsabilità per il reato di cui al capo C) della rubrica, la Corte di Appello di Trieste con la sentenza del 16.6.2010, richiamata in epigrafe, ha confermato in punto di responsabilità la decisione di primo grado. La Corte si è limitata a ridurre la pena inflitta al solo C. nella misura di cinque anni e otto mesi di reclusione ed Euro 38.000,00 di multa, previo riconoscimento allo stesso della ulteriore attenuante della collaborazione per il reato associativo sub A) ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7). Ha rigettato, valutandole infondate, tutte le ulteriori doglianze e richieste dei tre imputati.

3. La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dai difensori degli imputati, che hanno dedotto violazioni di legge, insufficienza e illogicità della motivazione sotto diversi e articolati profili. Censure che, per gli effetti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, si riassumono nei termini che seguono, a ciascuna di esse giustapponendosi – per semplicità espositiva – le valutazioni proprie di questo giudice di legittimità. Non senza anticipare che tutti e tre i ricorsi vanno dichiarati inammissibili perchè imperniati su motivi o mancanti di specificità o manifestamente infondati o non consentiti nel presente giudizio.

4. Ricorso di C.R.S. (capi A, E, F, G).

1. Violazione di legge in riferimento all’erronea applicazione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7.

La Corte di Appello ha concesso l’invocata attenuante speciale della collaborazione per il reato di associazione criminosa dedita al narcotraffico (reato sub A), ma l’ha applicata in modo errato, poichè ha fatto precedere il giudizio di comparazione delle riconosciute attenuanti generiche con le altre aggravanti dei reati contestati, facendo poi seguire sul risultato finale del computo una riduzione per l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 7 in misura minimale, altresì omettendo di chiarire le ragioni di una mancata detrazione nella misura massima consentita dalla disposizione normativa (diminuzione dalla metà a due terzi dell’individuata pena base).

La doglianza è manifestamente infondata.

La Corte territoriale ha correttamente operato il calcolo della pena complessiva finale inflitta al C.. In vero il reato più grave, tra quelli unificati nella sequenza della continuazione, è stato ritenuto – come già rilevato dalla sentenza di primo grado – il reato fine di importazione di 120 chili di eroina (capo E), di tal che sul reato associativo, in continuazione con gli altri ascritti all’imputato, è stata operata una riduzione dell’incremento sanzionatorio già stabilito in primo grado. Riduzione sulla cui entità, frutto di discrezionale apprezzamento del giudice di merito, questi non ha obbligo di fornire specifica motivazione. Nè siffatto apprezzamento, i cui esiti aritmetici non si mostrano contra legem, è suscettibile di scrutinio di legittimità.

Giova aggiungere che le modalità del calcolo della pena seguite dalla Corte di Appello sono conformi allo stabile indirizzo ermeneutico di questa Corte regolatrice, secondo cui in caso di reato continuato il giudizio di bilanciamento ai sensi dell’art. 69 c.p. va instaurato soltanto tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti relative al reato-base, cioè a quello ritenuto più grave, mentre delle circostanze riguardanti i cosiddetti reati satellite deve tenersi conto solo ai fini della misura dell’aumento per la continuazione. Nelle situazioni disciplinate dall’art. 81 c.p., comma 2 il giudizio sulla sussistenza di eventuali circostanze attenuanti anche ad effetto speciale va compiuto con riguardo ai singoli episodi criminosi e non globalmente, dovendo correlarsi alle specifiche caratteristiche di ciascun episodio unificato dalla continuazione (v.: Cass. S.U., 24.1.1996 n. 2780, Panigoni, rv.

203978; Cass. Sez. 3,2.10.2010 n. 1810, rv. 249279).

2. Violazione di legge e illogicità della motivazione in rapporto al diniego della attenuante speciale della collaborazione per tutti i reati scopo ascritti all’imputato (e da costui confessati) e non soltanto per il reato di cui al capo F) della rubrica (culminato nell’arresto in flagranza dell’imputato e, grazie al suo contributo, di altri due correi).

I giudici di appello hanno misconosciuto la decisività dei contribuiti informativi offerti dal C. per consentire di sradicare la ramificata organizzazione criminale di cui ha fatto parte, minimizzandone il peso e circoscrivendo l’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, per altro erroneamente calcolata, anzi non calcolata affatto, dal giudice di primo grado. Errore riprodotto nella sentenza di appello.

– Il motivo di censura è generico, poichè riproduce i rilievi svolti con l’atto di appello ed ai quali la sentenza di secondo grado ha fornito appagante e logica risposta. Lo stesso è, altresì, destituito di ogni fondamento con riguardo alla presunta erroneità od omissione del calcolo dell’attenuante speciale nella determinazione della pena. Vale al riguardo quanto già chiarito nell’esame del precedente motivo di ricorso. Il reato sub F), per il quale i giudici di merito hanno riconosciuto l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7 non è il più grave tra quelli unificati ex art. 81 c.p., comma 2 (che, come detto, è il capo E), ma soltanto uno dei reati per i quali è stato operato un aumento sulla individuata pena base per il reato più grave. Aumento che i giudici di merito hanno stimato in rapporto alla ridetta attenuante speciale. L’evenienza per cui l’attenuante non è stata estesa all’intero compendio dei reati posti in essere dal C. è adeguatamente argomentata dalla Corte di Appello, rendendosi -nelle sue mere connotazioni fattuali – incensurabile in sede di legittimità. La sentenza di appello ha congruamente osservato come – da un lato – il C., confessando di aver compiuto altri "viaggi" per l’organizzazione criminale (trasporti e importazioni di hashish occultato sui suoi autocarri) dopo l’arresto e il suo ultimo trasporto "controllato" del 16.7.2007, si è limitato a confermare risultanze già acquisite in fase investigativa (mediante l’esame dei rapporti telefonici con i sodali, dei transiti e dei pedaggi autostradali dei suoi automezzi) e comunque attinenti a reati già portati alle loro definitive conseguenze (droga immessa sul mercato) e come -d’altro lato- non possa enfatizzarsi, al di là dell’episodio del (OMISSIS), la rivelazione dei nomi di alcuni suoi complici, anch’essi già in sostanza individuati dagli organi inquirenti.

3. Insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla confermata confisca del denaro sequestrato all’imputato al momento del suo arresto.

Al riguardo il giudice di primo grado aveva attribuito piena credibilità, per dedurre la natura illecita della somma di denaro, alle dichiarazioni del coimputato R.M., che aveva asserito di aver versato al C., poco prima del loro comune arresto, la somma di Euro 11.000,00 quale retribuzione per l’eseguito trasporto dei 94 chili di hashish "consegnati" il (OMISSIS).

La difesa dell’imputato ha, però, dimostrato come le asserzioni del M. non meritino credito, non emergendo dalle osservazioni di p.g. che costui abbia realmente avuto modo di avvicinare il C. nei momenti appena precedenti l’intervento degli operanti. A ciò unendosi, poi, le coerenti spiegazioni offerte dall’imputato in ordine alla lecita origine del denaro (frutto del suo lavoro di autotrasportatore) e alle ragioni del suo possesso in contanti (pagare le riparazioni del suo autotreno, passando – una volta consegnata la droga – presso l’officina della Mercedes di (OMISSIS), sita sulla strada di ritorno).

– La censura, oltre che generica (replica in modo sommario l’omologo motivo di appello), è manifestamente infondata.

La Corte di Appello giuliana ha idoneamente giustificato il rigetto della istanza di restituzione del denaro con ragionamento insuscettibile di censure in sede di legittimità. In vero, premesso che le dichiarazioni del coimputato M. (considerate attendibili per altri aspetti dell’indagine ben più rilevanti di quello relativo al pagamento o meno dell’ultimo trasporto di droga del C.) non paiono risolutivamente scalfite dalle osservazioni censorie dell’imputato, la sentenza di secondo grado ha, in primo luogo, evidenziato che – pacifica essendo la natura lucrativa dell’opera criminosa svolta dall’imputato in seno al sodalizio dedito al narcotraffico in cui egli è inserito – non è possibile stabilire, nè l’imputato ha fornito decisivi elementi sul punto, quali e quante delle somme versate sui suoi conti correnti bancari derivino realmente dalla sua lecita attività professionale. In secondo luogo la sentenza ha precisato che, a prescindere dalla diretta pertinenzialità criminosa o non della somma confiscata (al C. sono stati restituiti altri valori monetari sotto forma di assegni pure trovati in suo possesso), il provvedimento ablativo trova specifica fonte nella L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, il ricorrente essendo stato condannato per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73 e sussistendo "sproporzione tra la somma sequestrata (e confiscata) e l’ammontare dei guadagni leciti" del medesimo.

5. Ricorso di Ch.Hi. (capi E, F).

1. Violazione di legge e difetto di motivazione in rapporto alla mancata concessione della circostanza attenuante della minima importanza ( art. 114 c.p., comma 1) dell’apporto concorsuale dell’imputato nel perfezionamento dei due reati ascrittigli.

Entrambe le sentenze di merito non mancano di segnalare il ruolo marginale sviluppato dal Ch. nei traffici di droga dei quali è stato reputato partecipe. Tale giudizio, in uno alla coeva assoluzione del prevenuto dai connessi reati di associazione delinquenziale e dagli altri due reati di importazione e detenzione di droga contestatigli, avrebbe dovuto logicamente condurre al riconoscimento del minimale contributo causale prestato dal Ch. nei due episodi che hanno coinvolto la sua persona.

– Il motivo di censura, generico laddove mutua l’identico motivo di gravame ampiamente vagliato dalla Corte territoriale, non è consentito nel presente giudizio di legittimità, perchè interamente basato su una personale rivisitazione unicamente fattuale delle fonti di prova, che – invece – risultano apprezzate con piena coerenza e linearità dai giudici di secondo grado per negare all’imputato l’invocata attenuante. Il suo ruolo, senz’altro non decisionale ed – anzi- gregario nella commissione dei fatti criminosi attribuitigli in concorso con terzi, è stato ben valutato, d’altra parte, in sede di definizione del trattamento sanzionatorio, che nel suo caso è stato ispirato a criteri di sensibile inferiore afflittività rispetto ai coimputati. Puntuali e pertinenti vanno giudicati i richiami alla giurisprudenza di legittimità, anche attraverso i quali i giudici di appello hanno escluso la concedibilità all’imputato della attenuante di cui all’art. 114 c.p. (in particolare, da ultimo: Cass. Sez. 3, 20.1.2010 n. 10642, Saad, rv. 246466).

2. Erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 e carenza di motivazione in ordine alla contestazione anche al Ch. dell’aggravante della ingente quantità della droga oggetto dei due reati ascrittigli.

La Corte di Appello e il giudice di primo grado hanno ritenuto l’aggravante in questione di natura oggettiva, sì da dover essere applicata anche al concorrente nel reato che abbia contribuito alla realizzazione del fatto illecito. Sennonchè tale assunto non può essere condiviso sotto duplice profilo. In termini generali per il più grave reato sub E) (movimentazione di 120 chili di hashish) i quantitativi di droga oggetto di contestazione sono desunti dalle sole indicazioni confessorie dei coimputati dello stesso reato, in assenza di una doverosa verifica sui connotati qualitativi della sostanza (perizia chimica) per ritenere il carattere ingente o non della sostanza. In termini specifici il Ch. ha affermato di aver ignorato la reale quantità di droga importata e destinata al commercio. Con l’ovvia conseguenza che l’aggravante avrebbe potuto ritenersi applicabile nei suoi confronti soltanto con il rispetto dei criteri dettati dall’art. 59 c.p..

– La censura è, per un verso, carente di specificità, in quanto mera trasposizione del medesimo motivo di appello senza alcuna reale critica ai passaggi della motivazione della sentenza, che tale motivo hanno esaminato e disatteso. Per altro verso la censura è in ogni caso palesemente infondata.

In ordine al reato di cui al capo F) della rubrica, attinente all’importazione di 94 chili di hashish, l’accertamento chimico, ulteriore rispetto al narcotest eseguito dalla p.g. e alle indicazioni confessorie del Ch. sulla natura stupefacente della sostanza trasportata in Italia (e qui sequestrata), non è certo tale da porre in discussione la sussistenza della aggravante della quantità ingente della droga. Accertamento non esperibile per gli episodi anteriori rilevati dalla p.g. e confessati dagli imputati, in relazione ai quali la droga è stata subito immessa sul mercato illegale e venduta. Il richiamo al disposto dell’art. 59 c.p., comma 2 in merito alla asserita ignoranza da parte dell’imputato della quantità di droga alla cui importazione, detenzione e vendita egli ha fin dall’inizio preso parte è inconferente, alla luce degli elementi di fatto apprezzati con logicità e coerenza dalla Corte di Appello e, per ciò stesso, non sindacabili in questa sede (v. sentenza: "…si tratta di una aggravante oggettiva che prescinde dalla consapevolezza in capo ai singoli concorrenti di quale sia l’entità del quantitativo movimentato…una volta provato il contributo alla realizzazione del fatto, con la disponibilità ad acquistare parte del quantitativo importato, viene legittimamente attribuita a ciascuno dei correi l’importazione del quantitativo nella sua interezza…"). L’inconcludenza del motivo di ricorso appare infine palese sol che si osservi – anche in relazione all’interesse a coltivare il motivo – che i giudici di merito hanno in concreto eliso per la posizione del ricorrente la significatività e valutabilità dell’aggravante, concedendo al prevenuto le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla censurata aggravante dell’ingente quantità ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2. 3. Inosservanza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7.

Negando al Ch. l’invocata attenuante della collaborazione i giudici di appello hanno misconosciuto il carattere eminentemente premiale della attenuante della collaborazione o del ravvedimento operoso, della cui concessione l’imputato sarebbe stato meritevole.

Questi, infatti, ha posto a disposizione degli inquirenti tutto il patrimonio di conoscenza in suo possesso sui traffici coinvolgenti lui stesso e i complici.

– La doglianza è generica e indeducibile, perchè contesta un tipico giudizio di fatto attinente al tema del trattamento sanzionatorio, riservato all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.

Apprezzamento che, se espresso in termini logici e aderenti alle emergenze processuali quali ripercorse nella decisione, è immune da censure di legittimità. E’ quel che deve constatarsi per l’impugnata sentenza di appello, che ha offerto idonea ragione del diniego dell’attenuante collaborativa (sentenza: "…è sufficiente osservare che la confessione resa è stata assolutamente riduttiva, non ha detto niente di più di quanto non fosse già noto agli inquirenti in forza delle telefonate intercettate e degli apporti collaborativi di C. e di M. ed, anzi, ha inteso ridimensionare il ruolo e le conoscenze dell’appellante").

6. Ricorso di T.M. (capi C, D).

1. Carenza ed illogicità della motivazione con riguardo alla mancata assoluzione dell’imputato dal reato di cui al capo C) della rubrica, concernente il reato di concorso nella importazione e detenzione per fini di spaccio di hashish in quantità non determinata ma non modica.

La sentenza di appello, nel confermare la responsabilità dell’imputato anche per tale reato, non ha offerto una motivazione idonea a superare le ragioni di incertezza sulla sua effettiva partecipazione criminosa. Questa è fondata su supposizioni prive di univoci riscontri probatori, in quanto scaturenti soltanto da alcune intercettazioni telefoniche di dubbia interpretazione, che al più attestano l’esistenza di rapporti con i coimputati, ma non permettono di individuare in esse le tracce della corresponsabilità del T. nel traffico di hashish.

– La censura, scandita da genericità espositiva (ripercorre gli stessi argomenti critici elaborati con l’atto di appello, pur esaurientemente analizzati dalla sentenza di secondo grado), è basata su deduzioni non consentite, perchè imperniate su una non ripercorribile valutazione alternativa delle fonti di prova a carico del T., delle quali le due conformi decisioni di merito hanno affermato concludenza e convergenza dimostrative del concorso criminoso del prevenuto. La stessa censura è altresì in tutta evidenza infondata, quando si presti attenzione alla disamina della posizione dell’imputato effettuata dalla Corte territoriale. Analisi in tutto aderente al valore rappresentativo degli elementi di prova raccolti e costituiti in prevalente logica misura dalla inequivocità dei contenuti referenziali delle captazioni foniche coinvolgenti la persona del T.. Sulla scia della confermata sentenza del g.u.p. la decisione di appello, specificamente richiamando la sequenza cronologica dei dialoghi intercettati esposta nell’originario provvedimento cautelare coercitivo, ha segnalato gli specifici dati che asseverano la partecipazione del T. alla ricezione dell’hashish giunto in Italia, quale consegnatario dello stesso in concorso con il coimputato H.E.A..

2. Difetto di motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche rispetto all’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.

La doglianza si basa sul rilievo che il giudice di merito "non può negare il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti solo perchè, indipendentemente da questo giudizio, considera adeguata la pena". Pena che è stata determinata, siccome valutata congrua, in misura uguale a quella inflitta all’imputato con separata sentenza di condanna dell’A.G. di Bologna, non passata in giudicato (l’eventuale applicazione della disciplina di cui all’art. 649 c.p.p. essendo stata demandata alla fase esecutiva), intervenuta per l’altro reato ascritto al T. (capo D), connesso al suo avvenuto arresto in flagranza.

– Il motivo di impugnazione è indeducibile (attenendo al trattamento sanzionatorio idoneamente motivato dalla sentenza impugnata) e manifestamente infondato. Diversamente da quel che si ipotizza nel ricorso, la Corte di Appello di Trieste non ha affatto mutuato la pena definita dalla sentenza del g.u.p. del Tribunale di Bologna, ma -correggendo sul punto l’anomala omologazione statuita dal giudice di primo grado- ha proceduto ad una autonoma determinazione della pena inflitta al T.. Pena che, nel rispetto del divieto di reformatio in peius ( art. 597 c.p.p., comma 3), ha determinato in misura corrispondente a quella fissata dalla sentenza di primo grado.

In siffatta nuova determinazione della pena la Corte di Appello non ha concesso al T. le attenuanti generiche, di cui non lo ha considerato meritevole in virtù di logici e non censurabili argomenti (elevate attitudini criminose dell’imputato fatte palesi dalle accertate condotte criminose; non concedibilità delle attenuanti innominate per la sola incensuratezza del T., giusta il novellato disposto dell’art. 62 bis c.p., comma 3).

3. Violazione dell’art. 133 c.p. e carenza di motivazione sulla invocata riduzione della pena inflitta al ricorrente, da reputarsi "eccessiva se rapportata alla reale entità dei fatti", al di là delle sterili giustificazioni reiettìve proposte dalla Corte di Appello.

– La generica doglianza è manifestamente infondata. Ineccepibili appaiono, infatti, sul piano giuridico gli argomenti in nome dei quali la sentenza di appello ha valutato non concedibili al T. le circostanze attenuanti generiche.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue per legge la condanna dei tre ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si valuta conforme a giustizia quantificare in Euro 1.000,00 (mille) prò capite.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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