Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-06-2011) 22-06-2011, n. 25076 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.R. ricorre, a mezzo del suo difensore avverso la sentenza 24 settembre 2010 della Corte di appello di Napoli (che, su appello del Procuratore generale e dell’imputato, in parziale riforma della sentenza 20 ottobre 2009 del G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ha applicato le pene accessorie della interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale per la durata della pena principale, confermando nel resto la condanna per il reato D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 commi 1, 1 bis e art. 80 "in quanto destinatario di sostanza stupefacente del tipo cocaina, del peso lordo di kg 6,308, stupefacente detenuto e trasportato da G. e S.D.F., per i quali si proceduto separatamente, e con altra persona non identificata"), deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la decisione dei giudici di merito.

La condanna è stata fondata sul contenuto delle telefonate intercettate, sulle utenze del N., D.G. e di altra persona non identificata, e sulle risultanze dei consequenziali controlli ad opera della Polizia giudiziaria.

Dai contatti telefonici il G.I.P. e la Corte di appello hanno desunto che gli interlocutori avevano concordato che si sarebbero incontrati alla stazione ferroviaria di (OMISSIS) per la consegna al N. di "qualcosa molto, molto buona" reperita dal titolare della terza utenza, persona non identificata.

I Carabinieri, rilevato che dall’ultima telefonata, effettuata alle ore 16,54 del giorno stabilito, che annunciava l’imminente arrivo in stazione ad (OMISSIS), accertavano che dal treno proveniente da (OMISSIS) erano scesi tre individui che, avvedutisi della loro presenza, immediatamente si erano divisi: uno di loro si portava verso l’uscita, dove si trovava un’autovettura Renault con a bordo un’altra persona.

G. e N. venivano fermati ed identificati.

S., che durante la perquisizione espletata su costoro si era tenuto a debita distanza, veniva trovato in possesso della sostanza di cui alla contestazione e sottoposto a fermo.

Riscontro della illecita detenzione è stato tratto, nel corso dell’attività d’intercettazione, da una telefonata effettuata da G. subito dopo la perquisizione, con la quale chiedeva all’interlocutore – non identificato – "se si erano liberati di quella", ricevendo risposta negativa, cui faceva seguito la sua raccomandazione di non muoversi per il momento, con l’ulteriore indicazione che lui era stato fermato e aveva dichiarato di essere giunto a (OMISSIS) da solo.

2.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge sotto il profilo della violazione degli artt. 65, 178 e 521 cod. proc. pen., posto che, dalla contestazione, non è desumibile la materialità della condotta dell’imputato concernente l’ipotesi di reato contestata, considerato che lo stupefacente mai sarebbe "pervenuto nella sfera del suo possesso". L’errore della Corte di appello è inoltre consistito nel ritenere un precedente negozio illecito, nella specie invece insussistente e, comunque, non contestato in tal modo determinandosi un difetto di contestazione che ha invalidato ogni successivo atto processuale.

Il motivo è palesemente infondato.

Nella specie – come adeguatamente argomentato dalla corte distrettuale – ci si trova di fronte ad un capo di imputazione connotato da una sequela di proposizioni che determinano – con adeguata chiarezza – gli ambiti del fatto e dell’accusa, i quali realizzano lo schema dogmatico del delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73 irrilevante apparendo in tale contesto la mancanza, in capo al N., della conseguita disponibilità materiale dello stupefacente, per effetto della "traditio" dai detentori-possessori allo stesso destinatario N..

Con un secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 415 bis cod. proc. pen. in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. e ritenuta erroneamente dai giudici di merito come nullità a regime intermedio e sanata.

Con un terzo motivo si prospetta nullità della sentenza per carenza di motivazione sul motivo di appello che aveva prospettato nullità della notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini ad uno solo dei difensori nominati.

Anche queste due ultime censure sono inammissibili per la loro palese infondatezza.

Come correttamente affermato dai giudici di merito, l’omesso avviso di deposito della conclusione delle indagini ad uno dei due difensori di fiducia costituisce una nullità di ordine generale a regime intermedio e come tale sanabile (Cass. pen. sez. 3,47578/2003 Rv.

226675 Massime precedenti Conformi: N. 2116 del 2003 Rv. 223257, N. 23246 del 2003 Rv. 225668).

Invero, la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all’art. 491 cod. proc. pen., subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti (Cass. pen. sez. 2, 35420 /2010 Rv. 248302 Massime precedenti Conformi: N. 23246 del 2003 Rv. 225668, N. 25223 del 2008 Rv. 240255).

Nello stesso motivo si deduce, ancora ed inoltre, nullità della contestazione sulla qualità dello stupefacente sequestrato allo S. (Kg. 6,308).

La censura è palesemente infondata attesa la chiara giustificazione proposta nella decisione impugnata che ha spiegato che il termine eroina usato dal primo giudice era frutto di un mero errore materiale.

Con un quarto motivo si eccepisce nullità della sentenza, in punto di affermata utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, disposte in via d’urgenza con decreto del P.M. convalidato. Sostiene il ricorrente: che la Corte di appello non ha colto il senso del motivo di appello che faceva riferimento alla "mancata motivazione da parte dello stesso P.M. dell’urgenza stessa"; che comunque le intercettazioni "effettuate al momento della sorpresa, dopo l’arrivo del treno in stazione, sarebbero state effettuate dalla Polizia giudiziaria senza alcuna autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

Il motivo, comunque palesemente infondato, è inammissibile per violazione del canone di autosufficienza del ricorso.

Premesso che la sanzione processuale dell’inutilizzabilità non rientra tra le questioni lasciate nella disponibilità esclusiva delle parti, essendo essa sempre rilevabile d’ufficio (Cass. pen. sez. 3, 32530/2010 Rv. 248220), va precisato che, come nella specie, qualora venga eccepita in sede di legittimità l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, non solo di indicare specificamente l’atto asseritamente affetto dal vizio denunciato, ma di curare altresì che tale atto sia comunque effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione (Cass. pen. sez. 5, 37694/2008 Rv. 241300).

Nessuno di tali necessari adempimenti risulta soddisfatto nell’impugnazione del N.: il motivo non supera quindi la soglia dell’ammissibilità.

Con un quinto motivo si sostiene nullità dell’ordinanza con la quale è stata respinta la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, per mancanza di motivazione tale non potendosi considerare l’affermazione di "non compatibilità" fatta dal G.U.P..

Il motivo, per come formulato è inammissibile.

In tema di giudizio abbreviato condizionato, la compatibilità della integrazione probatoria, con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, va valutata con riferimento alla situazione esistente al momento della richiesta del rito e non "ex post" (Cass. pen. sez. 3, 7961/2011 Rv. 249387).

Orbene, nella specie, il relativo giudizio risulta adeguatamente formulato in relazione appunto alla specificità della realtà processuale in questione.

Con un sesto motivo si illustra la violazione dell’art. 220 c.p.p., art. 222 c.p.p., lett. d), art. 225 c.p.p., comma 3 in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c) posto che agli agenti di Polizia giudiziaria verbalizzanti, che hanno eseguito il test chimico è stata attribuita la qualità di testi e non invece di "agenti investigativi", e per di più è stato erroneamente dato alle loro asserzioni un valore di giudizio tecnico.

Anche questa doglianza è palesemente infondata.

La polizia giudiziaria, a norma dell’art. 348 c.p.p., u.c., è autorizzata a compiere di sua iniziativa accertamenti sulla natura di stupefacente di una sostanza: si tratta di un’indagine a corredo dell’informativa di reato, che non ha natura di accertamento urgente (Cass. pen. sez. 4, 4817/2004) Rv. 229365) ed in relazione alla quale i singoli operatori ben possono essere esaminati quali testi.

Dopo gli anzidetti sei motivi il difensore propone altri cinque motivi concernenti il merito dell’accusa, lamentando nell’ordine la nullità della sentenza: 1) per vizio logico della motivazione; 2) per omessa motivazione o motivazione apparente sull’affermazione di colpevolezza; 2) per omessa motivazione sulla istanza di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale proposta nei motivi aggiunti per l’audizione di quattro dei pubblici ufficiali operanti; 4) per omessa motivazione sulla sostenuta esclusione della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990; 5) per omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Nessuna di tali critiche supera la soglia dell’ammissibilità.

Le prime due censure propongono in questa sede una non consentita rivalutazione delle prove, nei termini ampiamente e correttamente proposti dai giudici di merito.

La terza censura è all’evidenza infondata.

E’ noto che la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio d’appello può costituire violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado ( art. 603 c.p.p., comma 2), mentre negli altri casi, come nella specie, può essere prospettato il vizio di motivazione previsto dal medesimo art. 606, lett. e (Cass. pen. sez. 5, 34643/2008, Rv. 240995, Procuratore generale c. De Carlo).

Orbene, nella vicenda, il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria si sottrae al sindacato di legittimità, considerato che la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si è fondata, in termini, su di un quadro interrelato di elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità del ricorrente (Cass. Pen. Sez. 6, 40496/2009 Rv.

245009).

La quarta censura è radicalmente priva di fondamento, posto che i giudici di merito hanno verificato la sussistenza dell’aggravante, con una adeguata giustificazione che avuto sostanziale riguardo a tutti i parametri che questa Corte, anche di recente, ha formulato e concernenti: a) l’oggettiva eccezionaiità del quantitativo sotto il profilo ponderale (kg. 6,308 di cocaina, con principio attivo indicato dal giudice di merito pari al 79%, e definita dagli stessi accusati come qualcosa "molto buona"); b) il grave immanente pericolo per la salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo della sostanza comportava, atteso il grado riconosciuto della sua purezza;

c) la possibilità di soddisfare le richieste (non di pochi o tanti ma) di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numerosi di dosi ricavabili.

La quinta censura segue la sorte delle precedenti doglianze.

La sussistenza di attenuanti generiche è infatti oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal Giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, per cui la motivazione, purchè congrua e non contraddittoria – come nella specie – non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato" (Cass. Penale sez. 4, 12915/2006 Billeci).

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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