Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-06-2011) 22-06-2011, n. 25075

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- A conclusione di giudizio svoltosi nelle forme ordinarie il Tribunale di Ancona con sentenza del 3.10.2008 ha mandato assolto B.G. dal delitto di calunnia con la formula del fatto non costituente reato per ritenuto difetto di prova dell’elemento soggettivo del reato, inteso quale effettiva certezza dell’innocenza degli incolpati. Calunnia scaturente, come da precisazione dell’accusa effettuata dal p.m. in udienza, da una denuncia-querela presentata il 19.4.2004 dal B. presso la Procura della Repubblica di Ancona (A.G. competente ex art. 11 c.p.p. per fatti reato commessi da magistrati del distretto di Bologna) nei confronti di due magistrati inquirenti del Tribunale di Parma, nell’ambito della quale avanzava riserve sul corretto operato processuale dei componenti del collegio giudicante del Tribunale di Parma investito dal giudizio di primo grado (p.p. n. 521/01 NR Parma) nei confronti di esso B. e di altri per il reato di estorsione in danno di amministratori della Casa di Risparmio di Parma e Piacenza. Riserve e rilievi, suscettibili di integrare reati di abuso di ufficio e di corruzione, segnatamente espressi nei riguardi dei magistrati P.P. e Br.St., rispettivamente presidente e giudice a latere del collegio giudicante, indicati come partecipi della "concertazione" con i magistrati inquirenti del processo in corso di svolgimento a suo carico, "commissionato e comprato dalla Ca.Ri.Parma". Rilievi censori poi ripresi dal B. in altri esposti e in istanze di ricusazione del collegio giudicante presieduto dal dott. P. (l’imputazione elevata nei confronti del B. così sintetizza i referenti delle sue ipotizzate accuse calunniose: "… affermava sostanzialmente che il Tribunale aveva imbastito il processo d’accordo con i magistrati della locale Procura allo scopo di danneggiarlo e di favorire la Cassa di Risparmio di Parma"), Il Tribunale di Ancona, nella ricostruzione degli enunciati del B. ha esaminato le specifiche evenienze che costui ha addotto, in forma indiretta, interessare i giudici P. e Br., persone offese dal reato di calunnia contestatogli. Fatti costituiti: 1) dall’avere il dott. Br. sottoscritto con numerosi altri giudici di Parma un esposto inviato il 16.10.2000 al C.S.M., segnalando la campagna di denigrazione attuata dal quotidiano locale "(OMISSIS)" verso l’intera magistratura di Parma, nata da vicende anche giudiziarie coinvolgenti alcuni magistrati della Procura della Repubblica, campagna cui non sarebbe stato estraneo lo stesso B.; 2) dalla esistenza di rapporti in senso lato privilegiati tra la Ca.Ri.Parma (parte civile nel giudizio in corso contro B.) e molti magistrati degli uffici giudiziari di Parma, tra cui i due giudici a latere del collegio giudicante, titolari di conti bancari presso l’istituto di credito assistiti da condizioni di particolare favore; 3) dall’avere il presidente P. acquistato nel 2001 "a prezzo vile" un piccolo appartamento nel centro di (OMISSIS) da tale Z.B., soggetto "in chiacchierati rapporti" con S.L., discusso presidente della Ca.Ri.Parma.

All’esito della disamina, supportata dalle acquisizioni dibattimentali, il Tribunale ha rilevato l’insussistenza di connotazioni di segno penale nelle suddette evenienze "accusatorie" del B., atteso che: l’esposto del 2000 dei magistrati di Parma a propria tutela dalla campagna di stampa denigratoria non contiene alcun riferimento alla persona del B.; la convenzione bancaria tra Ca.Ri.Parma e i magistrati parmensi è applicata non ad personam, ma per una specifica categoria di clienti (quella dei magistrati), secondo notoria "prassi generalizzata di tutti gli istituti di credito"; nessun elemento accredita l’ipotesi che l’acquisto immobiliare del dott. P. presenti profili di irregolarità e men che mai di diretto o indiretto fumus penale. Di conseguenza, per il Tribunale, le accuse del B. al collegio giudicante (giudici P., Br. e C.) vanno ritenute "oggettivamente calunniose".

Nondimeno la parallela indagine svolta sull’atteggiamento psicologico che ha sorretto le accuse sollevate dall’imputato ha condotto il Tribunale ad escludere che il B. abbia agito dolosamente, cioè mosso dall’intento di rivolgere accuse false e, quindi, con la certezza della innocenza degli incolpati. Conclusione cui i giudici di primo grado sono pervenuti in base ad una analisi "contestualizzatrice" di una serie di altrettanto oggettive emergenze, che -da un lato- vanificano l’assunto che con i suoi esposti e atti di ricusazione il B. abbia perseguito lo scopo di impedire o ritardare la celebrazione del processo a suo carico, in cui rischiava di riportare una pesante condanna. Tant’è che non ha sollevato alcun dubbio di parzialità verso i componenti del nuovo collegio giudicante del Tribunale di Parma che, dopo l’astensione del primo collegio, lo ha giudicato e condannato alla consistente pena di quattro anni e nove mesi di reclusione. Emergenze che -da un altro lato- legittimavano, con giudizio di postuma prognosi, i suoi timori di poter essere vittima di un processo ingiusto ("vicende che sin dagli anni Novanta avevano messo in luce rapporti non limpidi da parte di importanti esponenti della magistratura parmense con personaggi al vertice dell’istituto di credito locale e di una nota azienda del settore alimentare la Parmalat").

2 – Adita dall’impugnazione del Procuratore della Repubblica di Ancona, la Corte di Appello delle Marche con la sentenza in data 7.10.2010, indicata in epigrafe, ha confermato la decisione liberatoria di primo grado, valutando destituiti di fondamento i rilievi critici espressi dal p.m. in ordine alla presunta "buona fede" della condotta accusatoria dell’imputato sul presupposto che -a tacer d’altro- le inquietanti vicende concernenti alcuni magistrati di Parma, evocate dal Tribunale a supporto della mancanza del dolo intenzionale di calunnia, non hanno in nessun modo riguardato i tre giudici investiti dal giudizio pendente nei confronti del B..

Per vero la Corte di Appello ha vieppiù radicalmente escluso la colpevolezza dell’imputato, poichè -pur nel condividere la valutazione del "compendio indiziario" sviluppata dal primo giudice- ha posto in discussione la stessa natura concretamente calunniosa degli enunciati censori del B.. A stretto rigore per i giudici di appello non costituiscono calunnia: il fatto di riferire che un giudice (il dott. Br.) con molti altri colleghi della stessa sede giudiziaria ha inviato un esposto all’organo di autogoverno, lamentando una generalizzata campagna di stampa diffamatoria verso i magistrati di quella sede giudiziaria (la circostanza non integra nessuna ipotesi criminosa); il fatto che due giudici del collegio sono correntisti della Cariparma, fruendo di una convenzione di favore applicata a tutti i magistrati di Parma (anche questa circostanza non integra alcuna ipotesi di reato); il fatto che il presidente del collegio giudicante abbia acquistato un appartamento da parte di un conoscente del presidente della Cariparma, evenienza che in sè non ha peso penale; il fatto, infine, che l’imputato (in un atto di ricusazione) abbia criticato le decisioni istruttorie del collegio giudicante (critiche che, in difetto di altri dati, esprimono l’esercizio del diritto di difesa).

Tuttavia la Corte di Appello, compiute tali considerazioni di principio, ha affermato di condividere la seconda parte della impugnata sentenza del Tribunale, in cui si ritiene -con giudizio assorbente- mancante la prova dell’elemento soggettivo della calunnia, "in quanto l’imputato non irragionevolmente poteva aver avuto la convinzione che quel processo penale era stato architettato in suo danno da un consorzio di poteri forti che egli aveva osato sfidare". Donde la conferma della formula di proscioglimento del fatto non costituente reato.

3.- Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il Procuratore Generale di Ancona, deducendo i vizi di erronea applicazione dell’art. 368 c.p. e di carenza ed illogicità della motivazione sotto duplice profilo.

1. Con riguardo all’elemento oggettivo del reato di calunnia attribuito all’imputato, le sommarie considerazioni della Corte territoriale eludono la disamina della concreta calunniosità delle accuse e dei fatti riferiti dal B., allorchè sostiene che i componenti del collegio giudicante (i giudici P., Br. e C.) sarebbero stati coinvolti "in un quadro di incredibile inquinamento ambientale" da ricondurre alla "elevata densità corrosiva esistente presso il Tribunale di Parma" e che le decisioni istruttorie di quello stesso collegio, erronee in diritto, sarebbero frutto di "concertazione" con i magistrati della locale Procura della Repubblica, tali da integrare e riprodurre reati, come afferma il B., di abuso di ufficio e di omissione di atti di ufficio in suo danno. Le perentorie frasi indirizzate dall’imputato al collegio giudicante sono oggettivamente calunniose, perchè prospettano condotte di sicuro rilievo penale.

2. Con riguardo al connesso elemento soggettivo del reato, l’argomento valorizzato dal Tribunale e fatto proprio dalla sentenza di appello, secondo cui il B. non avrebbe esperito alcun mezzo (processuale o non) dilatorio nel giudizio celebrato da altri giudici (nuovo collegio) nei suoi confronti e verso i quali non ha sollevato rilievi di sorta, è illogico e comunque neutro, non facendo venir meno il proposito di accusare callidamente, cioè con la "esposizione di circostanze in forma maliziosamente dubitativa", i membri del primo collegio di comportamenti astrattamente valutabili anche sul piano penale. L’imputato ha deliberatamente voluto raffigurare una sorta di persecuzione processuale in suo danno, "prezzolata" dall’istituto bancario locale ed inscritta in un fantomatico pactum sceleris tra magistrati requirenti e giudicanti.

L’analisi contestualizzatrice della condotta dell’imputato, condivisa dalle due decisioni di merito, prospetta un quadro ambientale in termini di pregiudiziale e complessiva negatività, rinvenendone le tracce nei procedimenti disciplinari promossi nei confronti di taluni magistrati di Parma, ma minimizzando la circostanza che si tratta di magistrati affatto diversi dalle attuali persone offese.

4.- I motivi di impugnazione del Procuratore Generale di Ancona non sono assistiti da giuridico fondamento, fino a lambire i contorni della indeducibilità nei passaggi in cui indugiano su una rilettura meramente fattuale e introspettiva delle fonti di prova, uniformemente vagliate dalle due sentenze di merito (pur nelle segnalate, ma non rilevanti, differenziazioni in tema di materialità del reato), certamente non consentita nel presente giudizio di legittimità. 2. Non è revocabile in dubbio che l’attribuzione di fatti e circostanze storiche non idonee ad indicare taluno come colpevole di eventi costituenti reato, anche quando il soggetto agente -in base ai dati esposti all’autorità giudiziaria- manifesti l’erronea convinzione di denunciare possibili reati, sebbene in forma generica e dubitativa, non integra l’elemento materiale del reato di calunnia.

Tanto più se, come afferma la sentenza di appello impugnata, i fatti "denunciati" si rivelino corrispondenti a verità e non riconducibili a fattispecie incriminatrici, quale che sia la qualificazione giuridica loro conferita dal denunciante (Cass. Sez. 6,10.6.2010 n. 37795, Lelli, rv. 248512).

Nel caso di specie, tuttavia, alla luce della doverosa congiunta lettura delle due conformi decisioni di merito e dell’unitario compendio valutativo e probatorio da esse definito, deve convenirsi che le accuse rappresentate dal B. nei suoi esposti hanno sì trovato riscontri di veridicità per le posizioni di alcuni magistrati degli uffici giudiziali di Parma, quali il sostituto procuratore Br.Fr. (sanzionato in sede disciplinare per la sua anomala attività giudiziaria), il Procuratore capo Pa.Gi. (rinviato a giudizio per il reato di corruzione giudiziaria insieme al citato presidente di Cariparma S.), il giudice del Tribunale Pa.Ad.

(trasferito di ufficio dal C.S.M. per incompatibilità ambientale a causa dei suoi rapporti con la famiglia T. titolare della Parmalat). Ma deve altresì convenirsi che le accuse del B. mantengono una loro intrinseca calunniosità verso i componenti del collegio chiamato a giudicarlo in sede penale, allorchè pretendono di estendere, in virtù di non accettabile canone di generalizzante transitività censoria, l’allarmante quadro di anomalie (penali, disciplinari, o soltanto ambientali) a tutta la classe giudiziaria di Parma e in particolare anche ai tre magistrati del collegio chiamato a giudicarlo.

Magistrati che l’imputato coinvolge, senza il supporto di specifici dati di prova, come evidenzia la sentenza di primo grado (in ciò seguita dalla sentenza di appello), nel quadro di un presunto "concertato" disegno vessatorio nei suoi confronti, cui avrebbero piegato la linearità delle loro decisioni istruttorie e la stessa conduzione (presidente P.) del giudizio in corso contro di lui e i coimputati, al deliberato scopo di favorire gli interessi della Cassa di Risparmio di Parma. Un comportamento suscettibile di postulare la realizzazione di fatti di peso penale in termini di abuso di ufficio o di omissione di atti di ufficio, come sostiene il ricorrente P.G. di Ancona. Della falsa accusa di "corruzione" dei membri del collegio, pure contestata in imputazione al B., non si rinviene alcuna traccia nelle due decisioni di merito, sì da doversi considerare in fatto caducata nel corso di giudizio.

2. Ne discende che determinante diviene, allora, ai fini della decisione di merito e del connesso vaglio di legittimità invocato dal ricorrente pubblico ministero, l’analisi dell’elemento soggettivo del reato di calunnia ascritto all’imputato. Analisi su cui, nel confermare la decisione assolutoria, si attesta -pur con accenti, per quanto detto, di non piena coerenza sequenziale- la sentenza della Corte di Appello, che sul punto condivide le conclusioni valutative raggiunte dal Tribunale.

La sentenza di primo grado ha svolto una corretta disamina dei referenti storici e circostanziali che hanno provocato la condotta censoria o, più precisamente, critica dell’imputato, che il Tribunale ricostruisce le componenti del dolo del reato in termini di esimente putativa, quale manifestazione del diritto di autodifesa del B..

A fronte di tale disamina il ricorrente P.G., al di là della generica doglianza sui canoni della valutazione "contestualizzazione" dei giudici di merito, non ha indicato alcun concreto elemento probatorio e logico in grado di sciogliere le ragioni di ineludibile incertezza dimostrativa della volontà calunniatrice dell’imputato delineate dalla sentenza di appello, laddove la stessa si riconduce alle condivise conclusioni del Tribunale in punto di mancanza di prova del dolo della calunnia ascritta al B..

Se in astratto i referenti valutativi del reato di calunnia pertengono unicamente alla oggettiva e consapevole falsità o non di un fatto denunciato all’autorità e prescindono in linea di principio dai retrostanti rapporti intercorsi tra l’accusatore e l’accusato o tra costui e altri soggetti, del pari non vi è dubbio che nel caso di specie, come con linearmente rimarca il giudice di primo grado, le risultanze probatorie delle indagini preliminari e della stessa istruttoria dibattimentale (acquisizioni documentali, esami di testimoni e dell’imputato) rendono affatto problematiche le connotazioni di consapevole menzogna delle accuse o critiche formulate dal B., proprio alla luce del quadro generale di riferimento della non felice situazione – all’instaurarsi del giudizio dibattimentale nei confronti del B. – degli uffici giudiziari parmensi a causa di contegni deontologicamente disinvolti o perfino penalmente rilevanti di alcuni magistrati di quella sede giudiziaria. In guisa da indurlo ad alimentare la convinzione, benchè erronea, di anomali contesti processuali correlabili all’espletando giudizio nei suoi confronti, scandito dalla sua (e dei coimputati) contrapposizione alla locale Cassa di Risparmio. In questa sede è sufficiente richiamare, per la pregnanza dei dati, i rilievi del Tribunale in ordine alla discutibile partecipazione, per quanto parziale, del sostituto procuratore Brancaccio (uno dei principali obiettivi della campagna di stampa promossa verso la magistratura parmense a causa dei suoi rapporti con la Cariparma, poi definitivamente sanzionati in sede disciplinare) alle indagini preliminari compiute nei confronti del B. e dei coindagati nonchè alla mancata acquisizione da parte del collegio presieduto dal dott. P. dell’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva annullato, per carenza di gravi indizi di colpevolezza, il provvedimento coercitivo emesso dai p.m. di Parma nei confronti del B. ovvero alla omessa riunione al processo in corso di altro processo a carico del B., pure pendente in fase dibattimentale (e già riunito nella fase delle indagini), basato sui medesimi presupposti di fatto (processo separatamente trattato dal giudice monocratico del Tribunale di Parma e conclusosi con l’assoluzione del B.).

E’ ben evidente, come puntualizza la sentenza di primo grado, che le scansioni dell’attività istruttoria dibattimentale svolta dal collegio presieduto dal dott. P. o i loro esiti processuali (fino alla astensione dei giudici e all’assegnazione del processo ad altro collegio) non possono acquisire risolutiva dignità probatoria ai fini della decisione sulla calunnia, perchè integrerebbero impropri apprezzamenti di merito su attività o singoli atti processuali che sono espressione di autonomo esercizio di attività giudiziaria, sottratto a sindacato extraprocessuale (al di fuori dei mezzi di impugnazione consentiti dall’ordinamento), salva l’ipotesi – giova aggiungere – che, in concorso di altri dati dimostrativi, tali atti si qualifichino per palese ed inequivoca abnormità ovvero per patenti violazioni di legge sostanziale o processuale, suscettibili di verifica in sede penale. Entro questi limiti, l’oggettività storica e procedimentale delle peculiari evenienze segnalate dal Tribunale e richiamate dall’impugnata sentenza di appello legittimamente ha condotto, attraverso un percorso logico e scevro da discrasie, a valutare congrua e coerente la sussistenza di un ragionevole dubbio, sebbene frutto di errore, dell’imputato in punto di reale consapevolezza dell’innocenza degli incolpati, intesa come piena estraneità dei magistrati giudicanti a malevole aggregazioni giudiziarie "persecutorie" in suo danno, e di congiunta sua deliberata volontà di deviare l’ordinato corso della giustizia nei suoi confronti (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 6,6.11.2009 n. 46205, P.C. in proc. Dematte, rv. 245541).

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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