CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 1 dicembre 2010, n.24389 OBBLIGAZIONE IN SOLIDO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Preliminarmente va ritenuta l’ininfluenza dei meri rilievi esposti nel ricorso, in merito alla condotta di uno dei componenti del collegio che ha pronunciato la sentenza impugnata. Sul punto va ribadito che la sentenza pronunciata da un giudice che abbia violato l’obbligo di astenersi, di cui all’art. 51, n. 1, cod. proc. civ. è nulla soltanto se quel giudice aveva un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del giudizio, ipotesi questa non specificamente prospettata né altrimenti desumibile. Negli altri casi la violazione dell’obbligo di astensione può costituire solo motivo di ricusazione, con la conseguenza che quella violazione resta ininfluente se la relativa istanza non sia tempestivamente proposta, come appare nella specie essersi verificato (in tema, cfr. tra le altre, Cass. 200912263).

A sostegno del ricorso il S. denunzia:

1. Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. della norma di cui all’art. 1298, comma 1 c.c., formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Suprema Corte se, allorquando venga in considerazione un’obbligazione con pluralità di debitori nascente da un contratto, essa possa dirsi contratta nell’esclusivo interesse di uno soltanto dei debitori in solido ex art. 1298 c.c., comma 1, unicamente quando il fatto costitutivo del debito non sia imputabile all’altro o agli altri debitori in solido».

2. “Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. della norma di cui all’art. 1345 in relazione all’art. 1298 c.c., comma 1”, formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Suprema Corte se i motivi che spingono una delle parti a concludere un contratto siano irrilevanti all’infuori dell’ipotesi di cui all’art. 1345 c.c. e se, pertanto, essi possano costituire valido criterio per stabilire se un’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di uno soltanto dei condebitori ai sensi dell’art. 1298, comma 1 c.c.».

3. “Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. della norma di cui all’art. 111, comma 6 Cost.”, formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Suprema Corte se l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali imposto dall’art. 111 Cost., comma 6, possa dirsi soddisfatto mediante il solo richiamo alla ragionevolezza e alla conformità ad ogni elementare senso di giustizia della decisione».

4. “Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 100 c.p.c.” formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Suprema Corte se il debitore solidale possa agire in sede di regresso solo qualora egli, e non un terzo, abbia effettuato il pagamento e ne dia la relativa dimostrazione».

5. “Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. della norma di cui all’art. 1298 c.c., comma 1”, proposto in via subordinata con conclusiva formulazione del seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Suprema Corte se l’interesse esclusivo di cui all’art. 1298 c.c. sia soltanto quello che anima coloro che assumono l’obbligazione solidale al momento della stipulazione del contratto da cui essa scaturisce», nel senso che il diritto del condebitore solidale di agire in regresso per l’intero deve sorgere nel momento genetico dell’obbligazione solidale, rispetto alla quale emerge a suo parere accertato che nella specie era stata contratta per scopo di esclusivo interesse non suo ma della T..

6. “Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. della norma di cui all’art. 143 c.c. in relazione all’art. 1298 c.c., comma 1”, proposto in via subordinata con conclusiva formulazione del seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Suprema Corte se, alla luce del combinato disposto di cui agli artt. 1298, comma 1 c.c. e 143 c.c. il mutuo contratto da entrambi i coniugi per far fronte alle esigenze lavorative del coniuge unico percettore di reddito da lavoro trovi la propria giustificazione nel dovere di contribuzione e di assistenza materiale e se, pertanto, esso debba reputarsi assunto per soddisfare un interesse comune ad entrambi i coniugi ai sensi dell’art. 1298, comma 1 c.c.».

I motivi, che strettamente connessi consentono esame unitario, non sono fondati.

Deve essere in primo luogo disatteso il terzo motivo di ricorso, dato che il richiamo alla ragionevolezza e alla conformità ad ogni elementare senso di giustizia della ripartizione del debito solidale, si sostanzia in mera valorizzazione riassuntiva dell’adottata decisione sfavorevole al ricorrente, sorretta da esplicitate rationes decidendi, rappresentate in fatto e diritto.

Dalla sentenza impugnata emerge che le parti avevano insieme contratto il mutuo ipotecario, di tal che erano tenute in solido a rimborsarlo. Si evince, inoltre, che esse avevano inteso destinare la somma da entrambe mutuata ad uno specifico scopo d’interesse comune, al riguardo avendo assunto l’impegno di utilizzarla nella ristrutturazione della casa coniugale, sia pure tramite il rimborso del denaro ottenuto in prestito da terzi per conseguire tale finalità, e, non invece, di reimpiegarla nell’attività professionale del marito, per diverso patto rimasto indimostrato.

Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito con riguardo al momento genetico del rapporto, correlate anche al collegamento negoziale con il patto interno che, con rilevanza causale, specificava lo scopo comune che le parti si erano prefisse, appaiono ineccepibilmente aderenti al dettato normativo (artt. 1292 e 1294 c.c.) e logicamente argomentate pure in riferimento alla qualificazione come comune dell’interesse perseguito; impongono, quindi, in primo luogo di disattendere le censure formulate dal S. nei motivi nn. 1, 2, 5 e 6, inerenti:

– alla regola che presiede alla riconduzione dell’obbligazione nell’ambito di quelle solidali, cui i giudici di merito si sono evidentemente attenuti

– all’illegittima valenza attribuita ai “motivi” che avevano indotto le parti a stipulare il contratto di mutuo, censura infondata, essendo stato l’intento pratico comune inserito ab initio nel sinallagma contrattuale con rilevanza causale rispetto all’attribuzione della somma

– all’individuazione dell’interesse sotteso all’iniziativa ed all’apprezzamento di esso come comune, valutazioni rispetto alle quali i rilievi critici e le prospettazioni di diversi ed alternativi inquadramenti, formulati dal ricorrente, si risolvono in inammissibili, generici rilievi di errori valutativi, carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto non ricondotti a specifiche, richiamate risultanze istruttorie, inidonei a fare desumere illogicità o carenze motivazionali decisive, ed essenzialmente volti ad un non consentito in questa sede di legittimità, più favorevole ed aderente alla sua tesi apprezzamento dei medesimi dati (cfr, ex plurimis, Cass. 200520332; 200700828; 20072972).

Vero è che il fatto accertato, secondo cui l’obbligazione in solido di restituzione dell’importo mutuato era stata contratta nell’interesse comune e non esclusivo di una delle parti, in linea di principio avrebbe dovuto portare alla divisione dell’obbligazione nei rapporti interni tra i condebitori, in base alle note regole di cui all’art. 1298 c.c. ed all’art. 1299 c.c. secondo il quale ultimo «Il debitore in solido che ha pagato l’intero debito può ripetere dai condebitori soltanto la parte di ciascuno di essi».

Peraltro, in tema di solidarietà passiva nelle obbligazioni contrattuali e di rapporto interno di regresso tra condebitori solidali, la suddivisione del debito ai sensi degli artt. 1298 e 1299 c.c. presuppone non solo che l’obbligazione in solido non sia stata originariamente contratta nell’interesse esclusivo di alcuno dei condebitori e, dunque, che sia sorta come d’interesse comune, ma anche che tale tipo di obbligazione non sia venuto meno per vizio funzionale della causa dell’accordo.

Nella specie sussisteva uno specifico impegno incidente nel sinallagma contrattuale con rilevanza nel solo rapporto interno tra i due condebitori, convenzionalmente correlato all’utilità oggettiva per entrambi della erogazione. Dunque, l’addebito accertato dai giudici di merito a carico del S., dell’utilizzazione della somma mutuata a non consentito scopo personale, risoltosi anche in inadempienza al patto accessorio di destinazione, avendo determinato la perdita totale dell’utilitas che la T., condebitrice solidale, avrebbe, invece, dovuto anche lei trarre dal contratto di mutuo stipulato assieme al coniuge, la esonerava nel rapporto interno dall’obbligazione di restituzione del mutuato e la legittimava ad agire in regresso per l’intero esborso indebitamente sostenuto nell’interesse soltanto altrui.

Inammissibile si palesa infine la censura articolata nel quarto motivo.

Il fatto che la T. non fosse legittimata al regresso per non avere eseguito il rimborso, in tesi attuato direttamente da terzi, appare prospettazione nuova, prima che smentita da richiamo alla prodotta quietanza, contenuto nella pronuncia. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla T. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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