Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-06-2011) 22-06-2011, n. 25171 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di C. G. per il delitto di associazione mafiosa ripercorrendo tutti gli elementi di prova acquisiti nel corso di complesse indagini che avevano portato a configurare un nuovo assetto della n’drangheta calabrese.

Per quanto in questa sede interessa, il tribunale aveva rigettato tutte le eccezioni sulla inutilizzabilità delle intercettazioni osservando che i decreti erano stati emessi ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 13 in presenza di sufficienti indizi di reato inerente la criminalità organizzata e il decreto emesso dal GIP l’8/5/2008 aveva convalidato il decreto emesso d’urgenza dal P.M. richiamando per relationem la nota informativa della Questura di Reggio Calabria che aveva evidenziato il coinvolgimento nella vicenda criminosa delle persone che avevano in uso l’utenza intestata ad una lavanderia;

nella nota informativa si dava atto che il Locale di Siderno, capeggiato da R.R. aveva una vasta rete di rapporti anche con l’estero per traffici illeciti di stupefacenti e che la lavanderia di C. era il luogo idoneo dove tali traffici erano discussi, e così sufficientemente motivati erano i decreti di proroga.

Avverso la decisione presentava ricorso l’indagato deducendo violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla inutilizzabilità delle conversazioni intercettate per la mancanza di una puntuale motivazione sui decreti di intercettazione in riferimento alla persona del C., visto che non poteva ritenersi sufficiente il richiamo alla richiesta del P.M. e alle note informative della P.G.; ciò che mancava era il collegamento tra i sufficienti indizi di reato e la persona nei cui confronti veniva disposta l’intercettazione, mancava ogni elemento di fatto che dimostrasse il suo coinvolgimento nel delitto; nella richiesta del P.M. si faceva riferimento ad un vasto traffico di stupefacenti col Canada e ad una persona denominata M. che si era risentita, mentre nessun collegamento poteva sussistere tra M., individuato in C. e il traffico illecito; parimenti immotivate erano le richieste di proroga che richiamavano i medesimi elementi indiziali del decreto originario, come se dall’ascolto non fosse emerso nulla di nuovo e quindi senza che fosse stato individuato il motivo per concedere la proroga. Con memoria ribadiva che la giurisprudenza di legittimità aveva sempre richiesto che sia i decreti autorizzativi sia quelli di proroga contenessero una motivazione completa sui sufficienti indizi e soprattutto sul positivo esito delle prime intercettazioni, mentre nel caso di specie non vi era alcun riferimento ai risultati positivi raggiunti. La Corte ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile in quanto pone questioni non fondate, essendo evidente che i gravi o i sufficienti indizi richiesti dalle norme per sottoporre ad intercettazione una utenza o un luogo attengono al reato e non all’autore del reato tanto è vero che spesso vengono disposte le intercettazioni proprio per individuare il responsabile. Nel caso di specie l’attività illecita sulla quale si indagava aveva ad oggetto il traffico di stupefacenti del Locale tacente capo a R., come desunta da altre intercettazioni nel corso delle quali si era ratto riferimento a M., identificato nel C., e da servizi di appostamento; quindi si era ritenuto che nei locali della lavanderia a sua disposizione potessero avvenire gli incontri nei quali si riunivano i partecipi all’associazione. Si tratta di elementi che ben collegavano lo svolgimento dei traffici illeciti con il luogo nel quale avvenivano gli incontri. Quanto alle proroghe la individuazione della necessità di prosecuzione dell’attività di ascolto in presenza del richiamo ai sufficienti indizi che ne erano alla base è motivazione sufficiente, non essendo richiesto alcun resoconto di quanto fino a quel momento intercettato (Sez. 1^ 20 dicembre 2004 n. 2612, rv. 230453; Sez. 5^ 23 settembre 2005 n. 45928, rv. 233215).

Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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