Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-06-2011) 22-06-2011, n. 25170 Concorrenza sleale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di T. G. in relazione al reato di concorrenza sleale aggravato dell’aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. e al fine di agevolare l’associazione di riferimento. Osservava che l’indagine aveva ad oggetto la gestione di appalti inerenti la costruzione di un tratto di strada presso Marina di Gioiosa Ionica, in relazione al quale lavoro aveva vinto la gara la società Gioiosa Consortile a r.l. facente capo a P. M., F.V. e C.C.. L’attenzione degli investigatori era sorta a seguito di due attentati ai cantieri e ai mezzi di detta società, in conseguenza dei quali era iniziata l’attività di intercettazione che aveva consentito di verificare come detta società, per operare nel territorio, aveva cercato di trovare accordi con le famiglie mafiose del luogo ed aveva per prima cosa creduto di risolvere il problema trattando con la famiglia Aquino che gli aveva fornito prezzi e ditte per il movimento terra e per le fornitura di ferro. Ben presto si erano resi conto che vi era altra famiglia mafiosa nel territorio facente capo ai Mazzaferro, che mal sopportava di essere stata tagliata fuori, e così avevano dovuto riequilibrare la spartizione sul territorio dei subappalti. Rientrava in queste logiche il contratto per la fornitura del ferra stipulata con T. e il contratto con l’albergo Miramare per la fornitura di alloggio e vitto per il personale, albergo facente capo direttamente a A.G., già oggetto di sequestro preventivo.

Tanto premesso riteneva il tribunale, previo esame del contenuto delle conversazioni intercettate in quel periodo, che i rapporti tra T. e la società appaltatrice, nonchè tra costui e A. fossero chiaramente contrassegnati da connotazioni mafiose.

T. risultava collegato ad A. tanto è vero che qualora si presentavano problemi nell’esecuzione del rapporto contrattuale, quali ad esempio il pagamento, non aveva esitato da un lato a minacciare pesantemente il responsabile, anche di morte e poi a relazionare con A.R. in una interlocuzione telefonica che dava per presupposto una perfetta conoscenza dei termini dei rapporti. Tale atteggiamento non poteva essere ricondotto a normali rapporti contrattuali, anche perchè vi era la prova che poi A. fosse intervenuto direttamente nei confronti del responsabile dell’azienda in un incontro diretto presso l’albergo Miramare di sua proprietà.

Osservava infine che nelle condotte contestate poteva ravvisarsi il reato di cui all’art. 513 c.p. che aveva come finalità tipica quella di reprimere forme di concorrenza illecita, attuate mediante l’intimidazione e volte a controllare la concorrenza. L’interesse tutelato era il buon funzionamento del sistema economico per impedire che tramite comportamenti intimidatorii venisse meno la stessa concorrenza e fossero acquisite posizioni di preminenza e dominio. Il reato sussisteva in quei comportamenti che miravano a controllare le attività economiche e che si caratterizzavano per comportamenti punibili come condotte tipiche della criminalità organizzata.

Sussistevano le esigenze cautelari sia del pericolo di fuga che del pericolo di reiterazione di condotte simili, tenuto conto dei rapporti con la criminalità organizzata, dal che se ne deduceva che sussisteva la presunzione di necessità della custodia cautelare in carcere. Avverso la decisione presentava ricorso l’indagato e deduceva violazione di legge e difetto di motivazione in quanto l’ordinanza del tribunale del riesame era mera ripetizione degli argomenti utilizzati prima dal P.M e poi dal GIP senza prestare alcuna considerazione alle argomentazioni della difesa contenute sia nei motivi di ricorso sia nella memoria depositata in udienza; in particolare nessuna risposta era stata data al rilievo fondamentale che mancava agli atti ogni riferimento alla genesi del rapporto di subappalto instaurato tra C. e la Gioiosa s. r.l., iniziato prima delle indagini, e che quindi il tribunale era dovuto ricorrere a dati congetturali privi di aderenza a fatti; nessuna risposta era stata data alla dimostrazione fornita dalla difesa della non riconducibilità della ditta di T. ad A.R. e così alla mancanza di indizi sulla realizzazione di condotte di illecita concorrenza, quali ad esempio la prova di pregressi rapporti di lavoro tra le due aziende e la conoscenza personale tra i contraenti;

vi erano stati anzi episodi dai quali si poteva ricavare che T. fosse persona offesa di atti di intimidazione altrui come quello sul blocco dei mezzi per impedire la fornitura di materiali e che in tal caso egli non si era rivolto ad A. ma alla ditta appaltatrice; si era dimostrato che la lettura dei rapporti con A. era stata frutto di illazioni, visto che invece era provato che di fronte a varie difficoltà di pagamento T. non si era mai rivolto ad A.; nessuna risposta era stata data alla obiezione che le condotte ascritte all’indagato non potevano rientrare nel delitto contestato in quanto non erano finalizzate a compiere atti di concorrenza sleale.

La Corte ritiene che il ricorso debba essere rigettato. L’ordinanza impugnata contiene una motivazione congrua e logica degli elementi posti a fondamento dei gravi indizi di colpevolezza per il reato contestato di concorrenza sleale. Va ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che per integrare tale reato non è necessario che i comportamenti posti in essere siano gli atti giuridici previsti dall’art. 2595 c.c. ma è sufficiente che consistano in atti di intimidazione tipici della criminalità organizzata che riescono a controllare le attività economiche e a condizionarle, per cui dette azioni caratterizzano i comportamenti punibili (Sez. 2^ 15 marzo 2005 n. 13691, rv. 231129). Si è ancora affermato che il reato è di pericolo ed è irrilevante che vi sia stato un effetto nei rapporti commerciali, purchè siano stati compiuti atti di concorrenza con modalità mafiose (Sez. 1^ 3 febbraio 2010 n. 9750, rv. 246515). Inoltre si è deciso che configura concorrenza illecita qualsiasi comportamento violento o intimidatorio idoneo ad impedire l’autodeterminazione nell’esercizio dell’attività economica (Sez. 3^ 22 ottobre 2008 n. 44169, rv.

241683). Ne consegue che ben poteva il tribunale individuare nei comportamenti tenuti dal momento in cui erano iniziati gli accertamenti gli indizi di come fosse stato instaurato il rapporto contrattuale, essendo evidente che la scelta dei contraenti era avvenuta sulla base di una spartizione del territorio tra le ditte referenti delle due famiglie mafiose, come emerso dagli attentati che avevano chiarito alla ditta appaltatrice come non potesse affidare i subappalti solo a ditte riferibili alla famiglia Aquino; in tal senso potevano leggersi le azioni anche contro la ditta T. che subiva le medesime logiche con le quali aveva ottenuto l’appalto. Del tutto sintomatiche di tale clima erano state ritenute le vicende nelle quali T. aveva proferito minacce mafiose alla ditta e poi si era rivolto direttamente ad A., così come le conversazioni intercettate tra gli imprenditori che davano per scontato come la gestione degli appalti dovesse passare attraverso un accordo tra gli Aquino e i Mazzaferro.

L’ordinanza quindi appare congruamente motivata anche con riguardo ai profili sollevati dalla difesa avendo risposto implicitamente alle obiezioni sollevate sui rapporti reali tra l’indagato e gli A. e sul comportamento da lui tenuto. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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