Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.
Da un punto di vista logico va esaminato con precedenza il ricorso incidentale, con il cui primo motivo la soc. S.O.G.I.M. censura la motivazione adottata dalla sentenza non definitiva per affermare che il promittente venditore aveva rinunciato a far valere la prescrizione e si deduce che: a) la lettera in data 14 febbraio 1997 costituiva soltanto un invito ad una bonaria definizione della controversia e la Corte di appello si sarebbe soffermata solo sulla prima parte della frase finale (…per procedere alla stipula dell’atto pubblico…), trascurando il seguito (…e/o per il di più a praticarsi); b) una volta che i promissari acquirenti si erano obbligati ad accollarsi il mutuo, se si ammettesse che questo accollo costituiva un acconto sul prezzo, le vicende relative ai pagamenti delle rate sarebbero (e sarebbero state) irrilevanti per il venditore e, quindi, su di esse non si potevano fondare né atti di riconoscimento né di rinunzia alla prescrizione, bensì solo atti di adempimento dell’acconto avvenuto mediante accollo.
Il motivo è infondato.
Per quanto riguarda la lettera in data 14 gennaio 1997 non viene spiegato quale canone interpretativo i giudici di merito avrebbero violato, ritenendo che da una considerazione globale della frase di cui sopra non poteva logicamente desumersi la volontà di rinunciare alla prescrizione, né soprattutto come l’espressione “il di più a praticarsi” non presupponesse una perdurante efficacia del contratto.
Una volta ritenuta la sussistenza di una inequivoca rinunzia alla prescrizione in base alla lettera in questione diventa irrilevante accertare se il perdurante pagamento delle rate di mutuo a seguito di accollo, costituendo adempimento dell’obbligo assunto dai promissari acquirenti nei confronti dell’istituto mutuante, fosse o meno idoneo a confermare la volontà della società promittente venditrice di considerare come ancora efficace il contratto preliminare nonostante la prescrizione maturata.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce che erroneamentela Corte di appello ha affermato che la pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. era certamente possibile, perché il promittente acquirente aveva regolarmente adempiuto all’obbligazione di accollo dei ratei di mutuo ed aveva pure dichiarato, a fronte della incontestabile circostanza del mancato raggiungimento dell’accordo sul prezzo, la sua disponibilità a corrispondere quanto a tale titolo eventualmente ancora dovuto.
L’offerta, infatti, non riguardava l’intero prezzo (in quanto non contemplava gli oneri accessori) e quindi non poteva considerarsi seria e non prevedeva la disponibilità al pagamento degli interessi ex art. 1499 cod. civ., per cui non poteva considerarsi seria.
Il motivo è infondato.
Nel contrasto tra le parti in ordine al prezzo da corrispondere, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che si fosse realizzata la condizione prevista dall’art. 2932 cod. civ., con la offerta del prezzo determinato in sede giudiziale, anche se lo stesso fosse risultato superiore a quello che il promissario acquirente riteneva effettivamente dovuto.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale la soc. S.O.G.I.M. deduce che la Corte di appello, una volta individuato il prezzo in base alla normativa vigente all’epoca in cui l’atto definitivo avrebbe potuto essere stipulalo, avrebbe dovuto anche ritenere che, correlativamente, a tale epoca il prezzo era diventato esigibile, per cui la sentenza ex art. 2932 cod. civ. non avrebbe potuto essere emessa senza la preventiva offerta reale dello stesso.
Il motivo è infondato, in quanto, da un lato, non tiene conto che non poteva essere esigibile, alla data presa in considerazione dalla Corte di appello, un prezzo che solo in corso di causa si è accertato dovesse essere determinato in base ai parametri fissati dal d.m. del 1978, dall’altro trascura che anche nel caso di prestazione già esigibile la parte che chiede la sentenza ex art. 2932 cod. civ. deve soltanto offrire (e non preventivamente eseguire) la propria prestazione.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale la soc. S.O.G.I.M. sostiene che la Corte di appello, stabilendo,da un lato, che il prezzo doveva essere determinato in base al d.m. del 1978 e consentendo, dall’altro, al promissario acquirente di pagare tale prezzo al momento del passaggio in giudicato della sentenza emessa ex art. 2932 cod. civ., avrebbe alterato l’equilibrio economico del contratto, nel senso che avrebbe spezzato la contestualità delle prestazioni a carico dei contraenti.
Il motivo è infondato.
Il fatto che soc. S.O.G.I.M. percepisca un prezzo che non è più corrispondente al valore degli immobili trasferiti, senza che ciò sia imputabile all’inadempimento del promissario acquirente, non giustifica la pretesa (sostanzialmente evidenziata nel quesito di diritto) di riequilibrare le prestazioni, non essendo ciò consentito al giudice in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre.
Con il quinto motivo del ricorso incidentale la soc. S.O.G.I.M. deduce testualmente:
… la determinazione del D.M. applicabile in quello della stipulabilità (ammesso che sia possibile e non contrasti con l’autonomia contrattuale delle parti, che avevano indicato come applicabile il D.M. “vigente al momento della compravendita”), non poteva condurre al D.M. 822/1978, vigente alla data del 29.9.1979, ma semmai, al D.M. vigente al momento della domanda giudiziale ovvero, in subordine, a quello del rilascio, da parte del Comune, del certificato di abitabilità, intervenuto, come risulta dichiarato nella stessa sentenza parziale, il 27 giugno 1985.
Per un primo verso, la fissazione della data del 29.9.1979, siccome figlia del termine di trenta giorni dalla data di erogazione del mutuo, entro il quale avrebbe dovuto essere stipulato il contratto definitivo di vendita, reca in sé una profonda, evidente contraddizione.
E ciò non solo perché è stato assunto quale parametro un termine di natura ordinatoria/acceleratoria (il contratto definitivo non avrebbe comunque potuto stipularsi in difetto delle condizioni indefettibili di legge), ma anche – e forse soprattutto – perché termini in tal guisa risultano chiaramente fissati proprio nell’interesse della parte promittente venditrice, logicamente interessata a ricevere il saldo prezzo quanto prima possibile.
Poiché il criterio addotto dalla Corte di Appello (e prima di essa dal Tribunale), risulta illegittimo, anche in relazione alle indicazioni ermeneutiche normative di cui all’art. 1367 c.c., nella parte in cui postula una stipula prima del certificato di abitabilità (ossia in violazione del divieto di cui all’art. 15, Legge 10/1977 e s.m.i.), nonché illogico e contraddittorio, nella parte in cui viene ribaltato a svantaggio del promissario venditore un termine posto nel suo specifico interesse.
Va pertanto da sé che, a tutto concedere, anche a volersi ammettere, in contrasto con le previsioni contrattuali e l’autonomia negoziale delle parti, la possibilità di individuare “una data prevista per la stipula” anteriore a quella del “momento della compravendita”, una tale data non potrebbe che essere individuata nella data di rilascio del certificato di abitabilità (21 giugno 1985), intervenuta a seguito della piena assoluzione del Ge. dalle infondate imputazioni derivate dalle denunzie dei promissori acquirenti in ordine agli scarichi fognari, o, quanto meno, tenendo conto del tempo usualmente e/o ragionevolmente necessario per ottenere (anche in difetto di strumentali denunzie dei promissari acquirenti) il predetto certificato di abitabilità.
Il motivo è infondato.
Premesso che i giudici di merito hanno adeguatamente motivato la conclusione cui sono pervenuti sulla base di una interpretazione complessiva delle clausole del contratto preliminare e la denunciata violazione dell’art. 1367 cod. civ. è generica, in sostanza la soc. S.O.G.I.M. (come risulta evidente dal quesito di diritto con il quale si conclude il motivo) solleva la questione della rilevanza della data del rilascio del certificato di abitabilità, la quale è inammissibile per la sua novità, dal momento che di essa manca qualsiasi menzione nei provvedimenti impugnati, né viene denunciata una omessa pronuncia.
Passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo si deduce che il prezzo avrebbe dovuto essere determinato in base al d.m. 27 febbraio 1975 (e doveva, pertanto, intendersi interamente pagato) e non in base al d.m. del 1978.
Il motivo è inammissibile, in quanto la statuizione relativa alla normativa da applicare per determinare il prezzo è contenuta nella sentenza non definitiva, contro la quale il ricorrente principale non aveva fatto riserva di impugnazione.
Con il secondo motivo del ricorso principale viene censurata, in primo luogo, l’affermazione della sentenza definitiva secondo la quale la domanda di corresponsione di interessi compensativi sul residuo prezzo dovuto (proposta soltanto nel giudizio di appello e dopo l’emissione della sentenza non definitiva) non doveva considerarsi tardiva.
Si sostiene, poi, che comunque la domanda avrebbe dovuto essere rigettata, in quanto la “cosa” promessa in vendita non produceva frutti od altri proventi.
Premesso che non viene contestata la stessa applicabilità dell’art. 1499 cod. civ. nel caso di contratto preliminare e che la seconda doglianza è inammissibile per la sua novità, la prima doglianza è da considerarsi fondata nei limiti di seguito precisati.
Fuori luogo, in proposito, si sostiene che sulla non debenza degli interessi in questione si sarebbe formato il giudicato a seguito della sentenza non definitiva. La statuizione cui viene fatto riferimento (dichiara che nulla è dovuto all’appellante a titolo di interessi sulle spese per oneri accessori maturati prima della proposizione della domanda giudiziale) è, infatti, estranea al tema dibattuto.
Per il resto si osserva che questa S.C. ha avuto occasione di affermare (sent. 13 dicembre 1978 n. 5 930) che in tema di contratto di vendita gli interessi compensativi, previsti dall’art. 1499 cod. civ., avendo la funzione di compensare il venditore del mancato godimento della cosa già consegnata nel caso in cui al compratore sia concessa una dilazione nel pagamento del prezzo, prescindono da qualsiasi inadempimento e sono dovuti anche in caso di ritardo non colposo del compratore e senza necessità di una domanda specificamente rivolta a tale fine: conseguentemente la richiesta degli interessi compensativi relativamente al prezzo della vendita può essere proposta per la prima volta in appello, non costituendo domanda in senso tecnico.
Va però rilevato che successivamente questa S.C. ha affermato che fuori dell’ipotesi di interessi su somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, i quali devono essere riconosciuti anche di ufficio, in tutti gli altri casi gli interessi possono essere attribuiti solo se la parte ne abbia fatto richiesta. Infatti, mentre nella prima ipotesi gli interessi, mirando a scongiurare il pregiudizio che deriva al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente monetario del danno, costituiscono una componente del danno stesso e nascono dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, contemporaneamente e inscindibilmente, in tutti gli altri casi, invece, gli interessi, siano essi moratori, corrispettivi o compensativi, avendo un fondamento autonomo rispetto a quello dell’obbligazione pecuniaria, possono essere attribuiti solo su espressa domanda che ne indichi la fonte e la misura (sent. 7 aprile 1987 n. 3364; sent. 12 ottobre 197 9 n. 5333, la quale ha anche affermato espressamente che tale domanda non può essere proposta per la prima volta in appello).
Il collegio ritiene di aderire a tale secondo orientamento, il quale è conforme al principio generale di cui all’art. 345, primo comma, cod. proc. civ., mentre il primo non chiarisce perché dal fatto che gli interessi compensativi spettino per il solo fatto che all’acquirente venga concesso il godimento della cosa prima del pagamento del prezzo discenda anche che essi non debbano essere oggetto di domanda e che addirittura tale domanda potrebbe essere proposta per la prima volta anche nel corso del giudizio di appello, anche in considerazione del fatto che (non vertendosi in tema di inadempimento) essi non mirano a compensare il creditore del pregiudizio che gli deriva dal ritardato conseguimento dell’equivalente monetario del danno e non costituiscono una componente del danno stesso. Le decisioni invocate dalla società ricorrente in via principale a sostegno di una diversa conclusione sono ininfluenti (sent. 6 febbraio 1998 n. 1287) oppure non esistono (sent. 5 aprile 2007 n. 81).
Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata sul punto.
Ritiene il collegio che sussistono le condizioni per decidere la causa nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto della domanda di interessi compensativi, mantenendo ferma la statuizione sulle spese del giudizio di merito, in considerazione del carattere secondario della pronuncia cassata.
Viene ad essere così assorbita la doglianza contenuta nella seconda parte del motivo.
Con il terzo motivo del ricorso principale, si deduce che in ordine alla determinazione degli interessi compensativi la Corte di appello ha acriticamente aderito ai criteri di calcolo elaborati dal consulente tecnico di controparte.
Il motivo viene ad essere assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
Con il sesto motivo del ricorso incidentale, relativo alle spese giudiziali, la soc. S.O.G.I.M. propone il seguente quesito di diritto: Dica la S.C. se, alla luce degli artt. 91 e 92 c.p.c., in caso di annullamento della sentenza impugnata, la stessa vada annullata (o comporti caducazione) anche nel capo relativo al condannatorio delle spese giudiziali in capo al soggetto il cui ricorso risulti accolto in sede di legittimità, con necessità di una nuova e/o riformata statuizione in ordine al riparto di esse.
Il motivo è inammissibile, in quanto, a prescindere da altre considerazioni, fa riferimento ad una ipotesi che nella specie non si è verificata.
In definitiva, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, con assorbimento del terzo motivo dello stesso ricorso, mentre va rigettato il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale; in considerazione della reciproca soccombenza, ritiene il collegio di compensare le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata sul punto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di interessi compensativi; dichiara assorbito il terzo motivo dello stesso ricorso; rigetta nel resto; compensa le spese del giudizio di cassazione.
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