Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-06-2011, n. 3858 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

1.1. Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella sua seduta plenaria straordinaria del 16 marzo 2010, ha rilevato la situazione di disagio determinato da significative carenze di organico in sedi giudiziarie giudicanti e requirenti di primo grado e, considerata la proposta del Ministro della Giustizia e ritenuto di dover procedere alla "individuazione e pubblicazione parziale per l’anno 2010 delle sedi disagiate ai sensi dell’art. 1, comma 3, della L. 4 maggio 1998 n. 133, così come modificato dall’art. 2 del D.L. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con la legge 22 febbraio 2010, n. 24" – ha deliberato la pubblicazione, fatta salva la necessità di procedere ad una successiva e definitiva selezione, di tutte le sedi da individuarsi come disagiate per l’anno 2010, individuando, tra gli altri, 2 posti vacanti quale Sostituto Tribunale di Locri nell’ambito del distretto di Reggio Calabria.

L’attuale appellato, dott. S. C., in servizio quale sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Taranto, ha presentato in data 27 marzo 2010 la domanda di disponibilità al trasferimento d’ufficio, indicando quale sede di destinazione la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Locri.

La Terza Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura ha dapprima espresso proposta favorevole al trasferimento del C., ma nella susseguente sua seduta del 6 maggio 2010 ha revocato la proposta medesima.

Con delibera del 3 giugno 2010, il plenum del Consiglio ha poi proceduto all’individuazione e alla pubblicazione definitiva per l’anno 2010 delle sedi disagiate à sensi dell’art. 1, comma, della L. 133 del 1998, prevedendo ancora due posti vacanti per Sostituto Tribunale di Locri nell’ambito del distretto di Reggio Calabria.

1.2. Il C. ha quindi presentato ricorso innanzi al T.A.R. per il Lazio, chiedendo l’annullamento:

a) del provvedimento adottato dal Consiglio Superiore della Magistratura – Terza Commissione – nella seduta del 6 maggio 2010, recante la revoca d’ufficio della proposta di trasferimento del ricorrente alla copertura del posto di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri;

b) della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 3 giugno 2010, avente ad oggetto l’individuazione e pubblicazione definitiva per l’anno 2010 delle sedi disagiate, con contestuale invito pubblico alla dichiarazione di disponibilità alla copertura dei posti vacanti, limitatamente all’individuazione di uno dei due posti di Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Locri;

c) della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 23 giugno 2010, con la quale sono state dichiarate senza aspiranti la copertura di due posti di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri di cui all’avviso pubblico del 17 marzo 2010;

d) di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.

Il C. ha pure chiesto la declaratoria del proprio diritto a conseguire il trasferimento alla predetta sede giudiziaria di Locri, nonché la condanna delle Amministrazioni odierne appellanti al risarcimento del danno da lui asseritamente subito in dipendenza degli atti impugnati.

In tale primo grado di giudizio il C. ha dedotto i motivi di ricorso qui di seguito illustrati.

1) Eccesso di potere; violazione di legge; violazione del giusto procedimento; difetto di motivazione.

Ad avviso del C., non sarebbero state osservate nella specie le garanzie procedimentali partecipative in favore del soggetto direttamente interessato dal provvedimento di revoca; quest’ultimo, oltre a ciò, neppure recherebbe motivazioni di sorta in ordine alle ragioni di pubblico interesse sottostanti la sua adozione.

2) Eccesso di potere; irragionevolezza manifesta; violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.

Il C. ha evidenziato che al momento della pubblicazione del bando egli era in possesso dei requisiti ivi richiesti per il trasferimento, e ciò in quanto aveva conseguito la prima valutazione di professionalità e la Procura di Taranto non figurava tra le sedi disagiate individuate dal Consiglio Superiore della Magistratura; e, d’altra parte, la Procura di Taranto non aveva e non avrebbe allo stato i formali requisiti di legge per essere considerata sede disagiata.

3) Illegittimità in via derivata; eccesso di potere; violazione di legge; carenza di motivazione; violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Ad avviso del C., la delibera del 3 giugno 2010, con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura ha pubblicato l’elenco definitivo delle sedi disagiate per l’anno 2010 includendo nel distretto della Corte di Appello di Reggio Calabria due posti vacanti per Sostituto presso la Procura della Repubblica di Locri e seguitando a non includere la Procura di Taranto tra le sedi disagiate medesime, sarebbe illegittima in via derivata in ragione del rapporto di stretta consequenzialità con il diniego di trasferimento da lui impugnato in esito al precedente bando.

1.3. Il Consiglio Superiore della Magistratura, rigettando in data 23 giugno 2010 le osservazioni formulate dal dott. C. circa la revoca del parere favorevole espresso sul suo trasferimento, ha comunque contestualmente dichiarato senza aspiranti la copertura di due posti di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri pubblicato con telefax del 17 marzo 2010.

In relazione a tale circostanza il medesimo C. ha dedotto nel giudizio di primo grado i seguenti motivi aggiunti.

1) Eccesso di potere; violazione di legge per erronea e falsa interpretazione; violazione della lexspecialis; irragionevolezza manifesta.

Il C. reputa tale ulteriore provvedimento del Consiglio Superiore della Magistratura quale definitivo diniego al proprio trasferimento alla Procura della Repubblica di Locri; ma, a suo avviso, l’interpretazione data dall’Organo di autogoverno a sostegno del provvedimento medesimo, ossia che la sede di provenienza del magistrato presenterebbe entrambi i presupposti previsti dall’art. 1, comma 2, della L. 133 del 1998, non sarebbe condivisibile: e ciò in quanto la Procura di Taranto, non era indicata nel bando del 16 marzo 2010 tra le sedi disagiate, come pure non era inclusa tra le sedi disagiate nel susseguente bando del 3 giugno 2010; e, sempre secondo il C., le condizioni per l’accoglimento della propria domanda di trasferimento sussistevano comunque già al momento della pubblicazione del primo bando, posto che la scopertura organica presso la Procura di Taranto era – per l’appunto – incontestabilmente inferiore al 20%.

2) Eccesso di potere; irragionevolezza manifesta; violazione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.

Il C. denota che il bando avrebbe incluso tra le condizioni ostative al trasferimento soltanto l’appartenenza a sede disagiata, ma non anche l’appartenenza a sedi che, a seguito del trasferimento del magistrato richiedente, raggiungerebbero la percentuale di scopertura prescritta ai fini dell’inserimento tra le sedi disagiate.

Sempre secondo il C., rilevando le percentuali di scopertura tra le due sedi, dovrebbe ragionevolmente concludersi che il proprio trasferimento risulta del tutto conforme al prevalente interesse dell’Amministrazione.

1.4. Nel medesimo giudizio di primo grado si sono costituiti il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministero della Giustizia, concludendo entrambi per la reiezione del ricorso e rimarcando in particolare che l’interpretazione con la quale è stata respinta la domanda del Sorrentino troverebbe conforto nell’art. 3 del D.L. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito in L. 22 febbraio 2010 n. 24, laddove è espressamente disposto che non possono essere trasferiti, oltre ai magistrati che già prestano servizio in sedi disagiate, i magistrati in servizio presso uffici in cui si determinerebbero vacanze superiori al 20% dell’organico.

1.5. Con sentenza n. 472 dd. 19 gennaio 2011 la Sezione I^ del T.A.R. per il Lazio ha accolto il ricorso del C. e i motivi aggiunti di ricorso da lui proposti e, per l’effetto, ha annullato la delibera del Consiglio Superiore della Magistratura adottata nella seduta del 23 giugno 2010.

Il giudice di primo grado ha inoltre convertito l’azione di accertamento del diritto a conseguire il trasferimento in domanda di condanna atipica, à sensi dell’art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. e, in accoglimento di tale ulteriore domanda, ha quindi condannato il Consiglio Superiore della Magistratura ad adottare il provvedimento di trasferimento d’ufficio del C. presso la Procura della Repubblica di Locri.

L’adito T.A.R. ha, per contro, respinto la domanda del C. avente ad oggetto la condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento dei danni asseritamente derivanti dagli atti impugnati, "in quanto il ricorrente non ha fornito prova della sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito e, in primo luogo, della presenza di un danno risarcibile" (cfr. pag. 16 della sentenza qui impugnata).

2.1. Con l’appello in epigrafe il Consiglio Superiore della Magistratura e il Ministero della Giustizia chiedono la riforma di tale sentenza.

2.2. Ad avviso di tali Amministrazioni, rimarrebbe innanzitutto ferma la circostanza che il giudice di primo grado ha rettamente definito inammissibile l’impugnativa proposta dal C. avverso la revoca della proposta di trasferimento adottata dalla Terza Commissione dell’Organo di autogoverno in quanto atto endoprocedimentale.

Per il resto emergerebbe invece che la disponibilità del C. al trasferimento non è stata accolta perché il suo trasferimento medesimo, ove accordato, avrebbe reso a sua volta disagiata la Procura della Repubblica di Taranto, procurando ivi – per l’appunto – una scopertura di organico superiore al 20%: circostanza, questa, riconosciuta dal medesimo C. laddove afferma che la scopertura del proprio ufficio di attuale assegnazione ammonta al 18% e che la stessa sarebbe aumentata al 24% per effetto della sua assegnazione alla Procura della Repubblica di Locri.

Secondo la tesi delle Amministrazioni appellanti risulterebbe del tutto congrua e logica l’interpretazione seguita dal Consiglio Superiore della Magistratura nel senso di precludere il trasferimento anche da quelle sedi che, pur non essendo disagiate allo stato, lo diventerebbero proprio a causa del trasferimento del personale ivi presentemente assegnato, "nel mentre sarebbe irragionevole e contraria al principio costituzionale del buon andamento della Pubblica Amministrazione, la decisione di affrontare i costi umani e procedimentali di un trasferimento di ufficio che, per porre rimedio alla scopertura conseguente, rendesse necessari ulteriori trasferimenti di ufficio nelle sedi di provenienza così limitandosi a trasferire il vuoto d’organico e conseguente difficoltà organizzativa da una all’altra senza in alcun modo attenuarli" (cfr. pag. 12 dell’atto di appello).

Tale conclusione, sempre ad avviso delle Amministrazioni appellanti, sarebbe confortata e rafforzata dal testo dell’art. 3 del D.L. 193 del 2009 convertito in L. 24 del 2010 laddove, nel disciplinare la nuova fattispecie del trasferimento di ufficio di magistrati alle sedi disagiate, prevede espressamente che non possono essere trasferiti d’ufficio, oltre ai magistrati che già prestano servizio in sedi disagiate, anche i magistrati in servizio presso uffici in cui, in caso di trasferimento presso sedi disagiate, si determinerebbero vacanze superiori al 20 per cento dell’organico.

Le Amministrazioni appellanti evidenziano – altresì – che nella specie, e come puntualmente segnalato nel provvedimento dd. 23 giugno 2010 adottato dall’Organo di autogoverno, per effetto della domanda per trasferimento ordinario proposta da altro magistrato della Procura di Taranto prima della pubblicazione del bando relativo alle sedi disagiate, nelle more del procedimento

relativo a queste ultime, l’Ufficio di attuale appartenenza del C. ha subito un ulteriore trasferimento, raggiungendo la scopertura prevista per il formale riconoscimento della qualità di

sede disagiata.

Tale trasferimento – rilevano sempre le Amministrazioni appellanti – è stato formalmente pronunciato solo dopo la pubblicazione del bando per la copertura delle sedi disagiate ed era stato richiesto con domanda di tramutamento ordinario presentata precedentemente: il fatto, poi, che al momento del bando 16 marzo 2010, gli esiti del concorso per tramutamento ordinario da cui è dipeso l’ulteriore trasferimento non fossero noti, essendo la domanda ancora revocabile e sussistendo ulteriori aspiranti in posizioni di graduatoria più elevata che hanno successivamente revocato la propria istanza, non escluderebbe comunque che l’uscita dall’ufficio dell’ulteriore collega del C. fosse già evenienza prevedibile e, comunque, di obbiettivo ed inevitabile rilievo.

D’altra parte – rimarcano ancora le Amministrazioni appellanti – la regola secondo cui "le condizioni per il trasferimento d’ufficio devono,sussistere alla data di pubblicazione della delibera" è stabilita dall’art. 1 bis della L. 133 del 1998 in relazione ai trasferimenti d’ufficio nelle sedi a copertura immediata, e non a quelle disagiate di cui all’art. 1 della stessa legge, e in ogni caso, principi di buona amministrazione comunque imponevano al Consiglio Superiore della Magistratura, al momento in cui era chiamato a deliberare sul trasferimento d’ufficio per cui l’odierno ricorrente aveva dichiarato la disponibilità, a considerare gli effetti delle proprie determinazioni sul funzionamento degli uffici coinvolti.

Né – sempre ad avviso delle Amministrazioni appellanti – sarebbe convincente l’osservazione del ricorrente secondo cui il trasferimento avrebbe dovuto esser disposto comunque in ragione della ben più grave scopertura (75%) della sede di destinazione, considerato che tale Ufficio potrà essere coperto con ulteriori trasferimenti di ufficio – anche in mancanza di dichiarazioni di disponibilità ex lege 24 del 2010 – da magistrati provenienti da sedi dotate di migliori condizioni di organico, e ciò a seguito di nuova procedura per la copertura di sedi disagiate introdotta con la delibera di individuazione del 3 giugno 2010 adottata dall’Organo di autogoverno.

Neppure per le Amministrazioni medesime costituirebbe motivo di illegittimità la circostanza che il

dott. C. avesse, in previsione dell’assegnazione alla sede disagiata per cui aveva proposto la propria disponibilità, revocato la domanda di trasferimento ordinario alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce: e ciò in quanto tale revoca costituirebbe una sua scelta libera e consapevole, fondata su di un’aspettativa di mero fatto e risultata poi infondata in diritto; senza sottacere che l’affidamento riposto dall’interessato nell’esito a lui favorevole della procedura non giustificherebbe in alcun modo il sacrificio dell’interesse pubblico che guida l’azione amministrativa dell’Organo di autogoverno.

2.3. Una consistente parte dell’atto di appello è peraltro dedicata dalle Amministrazioni ricorrenti "alla statuizione finale" della sentenza impugnata, "invero innovativa, con cui il giudice amministrativo ha pronunciato la condanna del Consiglio Superiore della Magistratura ad emanare, in esito alla dichiarazione di disponibilità al trasferimento d’ufficio avanzata dal dott. S. C. per la copertura di due posti di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri di cui alla delibera in data 16 marzo 2010, il provvedimento di trasferimento d’ufficio del dott. S. C. presso la Procura della Repubblica di Locri" (pag. 15 e ss. dell’atto di appello).

La Amministrazioni appellanti rimarcano che tale condanna, nel percorso argomentativo fatto palese nella sentenza, discenderebbe dall’applicazione dell’art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., in ragione del quale, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice, nei limiti della domanda, condanna "all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio"; che il C. aveva invero proposto nel giudizio di primo grado domanda di accertamento del proprio diritto ad ottenere il trasferimento presso la Procura della Repubblica di

Locri; che il T.A.R. adito correttamente ha rilevato l’inammissibilità di tale domanda "in quanto postula la natura di diritto soggettivo della posizione giuridica dedotta in giudizio che, nel caso di specie, ha invece natura di interesse legittimo", ritenendo peraltro di poter utilizzare al riguardo l’istituto disciplinato dall’art. 32, comma 2, cod. proc. amm. che consente la conversione dell’azione, previa diversa sua qualificazione dell’azione e ravvisando conseguentemente la sussistenza, nella specie, dei presupposti per l’emissione della pronuncia di condanna dell’Amministrazione ad emettere il provvedimento di trasferimento richiesto, facendola rientrare tra le statuizioni consentite dall’art. 34 predetto, in quanto "misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio".

Secondo le Amministrazioni ricorrenti tale percorso argomentativo e il conseguente approdo dispositivo finale non sarebbero corretti in diritto, sia perché non consentiti dalle norme utilizzate, sia perché, più in generale, lesivi dei principi che governano la ripartizione funzionale delle attribuzioni e dei poteri tra amministrazione e giurisdizione e che definiscono i caratteri funzionali della giurisprudenza amministrativa di legittimità.

Le Amministrazioni ricorrenti evidenziano in tal senso che il modello generale dei poteri di cognizione e di decisione del giudice amministrativo – al di fuori dei casi tassativi previsti dalla legge di giurisdizione esclusiva e di merito – è quello del giudizio impugnatorio – demolitorio, deputato alla verifica della legittimità degli atti dell’amministrazione pubblica sotto il profilo del vizio di violazione di legge, incompetenza o eccesso di potere cfr. (art. 29, comma 1, cod. proc.amm. e, antecedentemente, l’ art. 26, comma 1, T.U. approvato con R.D. 26 giugno 1924 n. 1054 e art. 2, lett. b), della L. 6 dicembre 1971 n. 1034).

In questo contesto – rimarcano sempre le Amministrazioni ricorrenti – il potere di cognizione e di decisione del giudice amministrativo di legittimità non ha quindi come suo oggetto l’accertamento della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse legittimo dedotta dal ricorrente, posto che oggetto dell’accertamento del giudice dovrebbe semmai tradizionalmente intendersi l’atto amministrativo e la sua eventuale illegittimità, nel mentre il fine del sindacato giurisdizionale consisterebbe nell’eventuale annullamento dell’atto riconosciuto illegittimo; e, parallelamente, la giurisdizione generale di legittimità, a differenza di quella esclusiva e di merito, non può estendersi alle valutazioni di merito o di opportunità dell’Amministrazione, né può giungere a sindacarne le valutazioni tecniche, rimanendo in ogni caso precluso ogni giudizio sul fatto e sull rapporto oggetto della determinazione amministrativa sottoposta a scrutinio.

In conseguenza di tale impostazione generale, ad avviso delle Amministrazioni ricorrenti non sussisterebbero nella specie poteri del giudice amministrativo di cognizione della sostanza giuridica delle pretese oggetto del suo accertamento comportanti la possibilità di imporre l’emanazione dei provvedimenti dell’Amministrazione, addirittura sostituendosi ad essa.

Le Amministrazioni appellanti affermano che prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo era incontroverso che l’esercizio di tali poteri da parte del giudice era espressamente circoscritto alle ipotesi tipiche e speciali del giudizio avverso il silenzio dell’Amministrazione (cfr. art. 21 bis della L. 1034 del 1971) e della giurisdizione di merito (cfr. principalmente l’art. 7 della L. 1034 del 1971 e gli artt. 27 e 29 della L. 1054 del 1924).

Invero, nella delega rilasciata dall’art. 44, comma 2, n. 4 della L. 18 giugno 2009 n. 69 è contemplato, al fine di idoneamente garantire l’effettività della tutela giurisdizionale, un radicale riordino delle azioni esperibili innanzi al giudice amministrativo, con la conseguente previsione di "pronunce dichiarative, costitutive e di condanna idonee a soddisfare la pretesa della parte vittoriosa".

L’art. 40 della prima bozza di articolato del codice del processo amministrativo prevedeva, quindi, l’introduzione nel "sistema" di un" inedita "azione di adempimento", con la quale "il ricorrente può chiedere la condanna dell’Amministrazione all’emanazione del provvedimento richiesto o denegato. Le parti allegano in giudizio tutti gli elementi utili ai fini dell’accertamento della fondatezza della pretesa ai sensi dell’art. 45, comma 2. L’azione è proposta contestualmente a quella di annullamento o avverso il silenzio entro i termini previsti per tali azioni".

La bozza di relazione illustrativa dell’articolato medesimo, esplicitando la grande novità di tale previsione, dava atto dell’ampliamento del novero delle azioni ammissibili "prevedendo", per l’appunto, "anche l’azione di adempimento (sulla base della positiva esperienza tedesca), al fine di ottenere una condanna dell’amministrazione al rilascio del provvedimento amministrativo negato o omesso. Il senso di queste innovazioni è facilmente percepibile: occorre che il processo amministrativo cambi la sua pelle e, da momento di mera verifica formale di legittimità dell’atto impugnato, diventi sempre più strumento di tutela del rapporto, di accertamento della spettanza del bene della vita al cittadino leso dall’azione amministrativa illegittima".

La disciplina testè descritta è stata peraltro poi espunta dal testo definitivo del codice, e ora il nuovo Titolo II dello stesso contempla conseguentemente tra le azioni di cognizione soltanto quelle di annullamento, di condanna al risarcimento del danno e avverso il silenzio, ma non l’azione di adempimento: e, pertanto, secondo la prospettazione delle Amministrazioni appellanti, "nessuno spazio" sarebbe quindi concesso dal vigente ordinamento processuale per l’emanazione di "una pronuncia giudiziale incidente in maniera diretta ed autoritativa sul merito e sul contenuto dell’attività provvedimentale rimessa alla Pubblica Amministrazione" (cfr. pag. 19 dell’atto di appello).

Ad avviso delle odierne appellanti ciò sarebbe riconducibile ad una consapevole scelta del legislatore delegato, originata dal fine di non determinare la sostituzione del giudice amministrativo all’Amministrazione procedente: sostituzione che, ove operata dal legislatore ordinario, avrebbe – per l’appunto – eclatantemente violato, sempre secondo la tesi delle Amministrazioni appellanti, il fondamentale principio costituzionale di separazione dei poteri.

Le Amministrazioni medesime reputano che tale principio sia invece violato dalla sentenza qui impugnata, laddove sostanzialmente si attribuisce alla disposizione dell’art. 34, comma 1,

lett. c), secondo periodo, cod. proc. amm. (cfr. ivi: il giudice amministrativo può condannare l’Amministrazione "all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio") il senso e l’effetto di consentire al giudice di imporre all’Amministrazione procedente il rilascio del provvedimento negato, stabilendone il contenuto.

Secondo le appellanti, infatti, tale opzione interpretativa reintrodurrebbe surrettiziamente proprio lo strumento processuale dell’azione di adempimento che i1 legislatore ha – viceversa – inteso consapevolmente espungere dall’ordinamento; e, del resto, anche da un punto di vista del portato letterale della disposizione medesima, l’istituto di cui all’art. 34, comma 1. lett. c) secondo periodo, cod. proc. amm. con ogni evidenza rivestirebbe, nella cornice processuale complessiva, un ruolo residuale e marginale di provvedimento atipico che consentirebbe di operare sugli aspetti di dettaglio del caso concreto – non classificabili in astratto – allo scopo di rendere effettiva la

tutela giurisdizionale che – si badi bene – rimane circoscritta all’annullamento dell’atto

ravvisato illegittimo.

Pertanto, sempre secondo le appellanti, la caratteristica di atipicità – intesa quale non preventiva determinabilità dei contenuti di specie – non potrebbe essere utilizzata in concreto per addivenire ad una "stravagante e radicale innovazione della sostanza stessa dei poteri attribuiti al giudice amministrativo. Non può, in sostanza, dalla disposizione generica residuale ed atipica citata,

finalizzata a tutelare aspetti specifici e marginali caratterizzanti la specifica fattispecie nei suoi profili contingenti, desumersi l’attribuzione al giudice di un potere del tutto nuovo e profondamente innovativo, quale quello di ordinare l’emissione di un atto all’Amministrazione" (cfr. ibidem, pag. 21).

Le appellanti rimarcano – ancora – che tale possibilità "sarebbe in aperta collisione con il principio costituzionale della separazione dei poteri di amministrazione e di giurisdizione. Tale contrasto risulterebbe, poi, particolarmente forte in relazione all’attività del Consiglio Superiore della Magistratura, sottoposta a diretta copertura costituzionale. Nella materia che occupa, il rilievo e la delicatezza del tema del rispetto ai confini dei poteri giurisdizionali del giudice amministrativo sono tanto più elevati, ove si consideri la peculiarità delle funzioni amministrative e delle complessi prerogative istituzionali e costituzionali dell’Organo di governo autonomo della Magistratura, in particolare con riferimento ad un settore, quale quello della gestione della mobilità delle funzioni dei magistrati, che costituisce il nucleo essenziale ed indeclinabile del governo della funzione giurisdizionale. Come è noto, la potestà di governo sui magistrati risulta invero attribuita tanto nella titolarità che nell’esercizio, all’Organo di governo autonomo nell’interezza della sua composizione. In tal senso, infatti, sono stati costantemente interpretati gli artt. 105, 106, ult. co., 107, 1° co., Cost., cioè quelle norme chi delineano i poteri del Consiglio Superiore della Magistratura" (cfr. ibidem, pag. 22 e ss.), con la conseguenza che "in tema di assegnazione di funzioni ai magistrati (come in tema di valutazioni di professionalità, trasferimenti, sanzioni disciplinari ecc.) il procedimento decisionale" è "esclusivamente ed integralmente di competenza del Consiglio Superiore della Magistratura, senza alcuna possibilità di attribuire ad organi estranei al Consiglio funzioni idonee ad incidere sulle autonome determinazioni consiliari o a condizionarle" (cfr. ibidem), nel mentre la sentenza qui impugnata incorrerebbe, "nella parte in cui ordina al Consiglio Superiore della Magistratura l’emanazione di un provvedimento amministrativo a contenuto definito… in un vizio di eccesso di giurisdizione, esorbitando dai poteri riconosciuti dalla legge alla giurisdizione amministrativa" (cfr. ibidem, pag. 23).

Le appellanti, in via subordinata, concludono nel senso che qualora questo giudice condividesse l’interpretazione dell’art. 34, comma 1, lett. c), secondo periodo cod. proc. amm. resa dal giudice di primo grado e ammetta quindi che il giudice amministrativo possa imporre al Consiglio Superiore della Magistratura l’adozione di un provvedimento specifico, dovrebbe pure farsi carico di valutare la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale della relativa norma per violazione dell’art. 105 Cost.

3. Alla camera di consiglio del 24 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello va respinto per quanto segnatamente attiene alla statuizione di annullamento disposta dal giudice di primo grado.

4.2. In primo luogo, va in tal senso evidenziato che correttamente il T.A.R. ha configurato la revoca della proposta di trasferimento del C. alla copertura del posto di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri quale atto endoprocedimentale, in quanto non conclusivo del procedimento e, quindi, non immediatamente lesivo per l’interesse del ricorrente in primo grado.

Il medesimo T.A.R. ha, quindi, esattamente riconosciuto immediata valenza lesiva alle sole delibere del plenumdel Consiglio Superiore della Magistratura del 3 giugno 2010 e del 23 giugno 2010, nella parte in cui è stata disposta la conclusione del procedimento per la copertura di due posti di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri indetto con delibera del 16 marzo 2010 dichiarando senza aspiranti i due posti e, quindi, ritenendo ancora vacanti gli stessi.

In particolare, nella delibera del 23 giugno 2011 si legge che, à sensi dell’art. 1, comma 4, della L. 133 del 1998 e successive modifiche, la domanda del C. non può essere accolta "in quanto proviene dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, sede che presenta entrambi i presupposti previsti dall’art. 1, comma 2, della L. 133 del 1998, ossia la mancata copertura dei posti messi a concorso nell’ultima pubblicazione… e la quota dei posti vacanti non inferiore al 20% dell’organico (4 su 17, scopertura pari al 24%, comprendendo anche il trasferimento del magistrato, scopertura pari al 29%)".

Con la medesima delibera il plenum dell’Organo di autogoverno si è inoltre fatto carico di replicare alle osservazioni prodotte dal C., secondo le quali alla data della pubblicazione del bando (17 marzo 2010) non esisteva un provvedimento formale del plenum medesimo recante l’individuazione della Procura di Taranto quale sede disagiata, né sussistevano le condizioni per tale individuazione, posto che la vacanza di posti di sostituto era ivi inferiore al 20%, e posto – altresì – che alla stessa data la scopertura dell’organico nella Procura di Taranto era pari al 18%, essendo stata tale soglia superata soltanto in data successiva per effetto del sopravvenuto trasferimento della dott. Carmen Ruggiero.

A tale riguardo, nella stessa delibera del 23 giugno 2001 si legge che "la domanda della dott.ssa Carmen Ruggiero, trasferita il 28 aprile 2010 dalla Procura di Taranto alla Procura di Lecce, è stata presentata in data 9 febbraio 2010, sicché, anche a voler individuare nel momento della pubblicazione del bando il tempo in cui si cristallizza la situazione delle piante organiche, non può ignorarsi che a tale data era stata presentata la domanda della dott.ssa Ruggiero, da esaminare prima della definizione della procedura pubblicata… del 17 marzo 2010" e che, "quanto alla necessità di un provvedimento formale di individuazione della Procura di Taranto come sede disagiata, ai fini del comma 4 dell’art. 1 della L. 133 del 1998, come modificato dalla lettera b) del comma 1 dell’art. 1 del D.L. 16 settembre 2008, n. 143 e dalla relativa legge diconversione (‘Alle sedi disagiate possono essere destinati d’ufficio magistrati provenienti da sedi non disagiate…’), si tratta di una interpretazione non condivisibile della norma e contraria ai principi di buona amministrazione, poiché la ratio della previsione della condizione ostativa è nell’evitare che attraverso un trasferimento di ufficio di un magistrato l’ufficio giudiziario di provenienza diventi a sua volta "sede disagiata’, così da rendere necessario un ulteriore trasferimento d’ufficio".

Ciò posto, va evidenziato che l’art. 1, comma 4, della L. 133 del 1998, recante incentivi ai magistrati trasferiti d’ufficio a sedi disagiate, dispone che alle sedi disagiate possono essere destinati d’ufficio magistrati provenienti da sedi non disagiate, che abbiano conseguito almeno la prima valutazione di professionalità, in numero non superiore a centocinquanta unità.

L’art. 1, comma 2. della medesima L. 133 del 1998 definisce, quindi, "sede disagiata" l’ufficio giudiziario congiuntamente contraddistinto dai seguenti requisiti:

a) mancata copertura dei posti messi a concorso nell’ultima pubblicazione;

b) quota di posti vacanti non inferiore al 20% dell’organico;

A" sensi del comma 3 del medesimo articolo il Consiglio Superiore della Magistratura, su proposta del Ministero della Giustizia, individua annualmente con propria delibera le sedi disagiate, in numero non superiore ad ottanta.

Tale delibera, peraltro, ha natura costitutiva e non meramente ricognitiva (cfr. sul punto la decisione n. 1469 dd. 12 marzo 2009 resa da questa stessa Sezione); e in conseguenza di ciò, quindi, la qualificazione di un ufficio giudiziario come sede disagiata non può essere desunta in via automatica dalla contestuale presenza dei due anzidetti requisiti di legge, ma è subordinata ad un’espressa pronuncia in tal senso da parte dell’Organo di autogoverno, in assenza della quale la sede non può essere considerata come "disagiata" pur sussistendo al riguardo i relativi presupposti.

Come a ragione ha affermato il giudice di primo grado, l’inderogabile circostanza – stabilita dalla legge – per cui il numero delle sedi disagiate non può essere superiore ad ottanta, non è infatti logicamente compatibile con l’automatica qualificazione come sede disagiata dell’ufficio giudiziario pur allorquando siano rilevabili i requisiti di cui all’art. 1, comma 2, della L. 133 del 1998: e ciò poichè, nell’ipotesi in cui i requisiti medesimi fossero riconosciuti per un numero di sedi giudiziarie superiore ad ottanta, sussisterebbero degli uffici che, pur con una quota di posti vacanti superiore al 20% ed in presenza della mancata copertura dei posti messi a concorso nell’ultima pubblicazione, non potrebbero comunque essere qualificati come sedi disagiate.

La riconosciuta natura costitutiva della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura recante l’individuazione delle sedi disagiate assume, invero, carattere dirimente nell’economia della presente causa.

Per completezza argomentativa, tuttavia, può soggiungersi che i requisiti per qualificare una sede come disagiata devono sussistere alla data di individuazione delle sedi disagiate, come d’altra parte emerge in via sistematica anche dall’art. 3, comma 4, del D.L. 29 dicembre 2009 n. 193 convertito con modificazioni in L. 22 febbraio 2010 laddove – e sia pure con riferimento a disciplina diversa e (come si vedrà appresso) non rilevante per il caso di specie – si afferma che le condizioni per il trasferimento d’ufficio devono sussistere alla data di pubblicazione della delibera di cui all’art. 1, comma 3, della L. 133 del 1998: e, per l’appunto, alla data del 16 marzo 2010, ossia alla data di adozione della delibera di individuazione e pubblicazione parziale delle sedi disagiate, la Procura di Taranto non presentava una scopertura del 20%, e a quella stessa data, la dott. Carmen Ruggiero, il cui trasferimento ha poi comportato il superamento di tale soglia, aveva soltanto proposto domanda di tramutamento alla Procura di Lecce, ma non era stata ancora trasferita.

La difesa delle Amministrazioni appellanti reputa che l’interpretazione seguita dal Consiglio Superiore della Magistratura trovi fondamento nella disciplina da ultimo introdotta per effetto dell’art. 3 del D.L. 29 dicembre 2009 n. 193 convertito con modificazioni in L. 22 febbraio 2010 2010: ma il Collegio dissente da tale tesi.

Il comma 1 di tale articolo dispone che "fino al 31 dicembre 2014, per le sedi individuate quali disagiate ai sensi dell’articolo 1 della legge 4 maggio 1998, n. 133, rimaste vacanti per difetto di aspiranti e per le quali non siano intervenute dichiarazioni di disponibilità o manifestazioni di consenso al trasferimento, il Consiglio Superiore della Magistratura provvede, nei limiti previsti dall’art. 1, comma 4, della L. 4 maggio 1998, n. 133, con il trasferimento d’ufficio dei magistrati che abbiano conseguito la prima o la seconda valutazione di professionalità, con esclusione di coloro che abbiano conseguito valutazioni superiori alle predette. Il trasferimento d’ufficio di cui al presente comma può essere altresì disposto nei confronti dei magistrati che svolgono da oltre dieci anni le stesse funzioni o, comunque, si trovano nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell’ambito delle stesse funzioni e che alla scadenza del periodo massimo di permanenza non hanno presentato domanda di trasferimento ad altra funzione o ad altro gruppo di lavoro all’interno dell’ufficio ovvero ad altro ufficio, o che tale domanda abbiano successivamente revocato. Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa previsto dall’art.13, commi 3 e 4, del D.L.vo 5 aprile 2006 n. 160".

Il susseguente comma 2 dispone, quindi, che "non possono essere trasferiti d’ufficio ai sensi del presente articolo: a) magistrati in servizio presso uffici in cui si determinerebbero vacanze superiori al 20 per cento dell’organico;b) magistrati in servizio presso altre sedi disagiate; c) magistrati che sono stati assegnati o trasferiti nella sede ove prestano servizio ai sensi dell’art. 1, comma 5, della L. 10 marzo 1987 n. 100, o dell’art. 33, comma 5, della L. 5 febbraio 1992 n. 104; d) magistrati che sono genitori di prole di età inferiore a tre anni".

E’ ben agevole evidenziare la specialità della disciplina surriportata, temporalmente ancorata alla scadenza del 31 dicembre 2014 e contemplante – per le sedi individuate quali disagiate ai sensi dell’art. 1 l. 133/1998, rimaste vacanti per difetto di aspiranti e per le quali non siano intervenute dichiarazioni di disponibilità o manifestazioni di consenso al trasferimento – il potere dell’Organo di autogoverno di coprire le vacanze stesse per un numero non superiore a centocinquanta unità mediante il trasferimento d’ufficio dei magistrati che abbiano conseguito la prima o la seconda valutazione di professionalità, con esclusione di coloro che abbiano conseguito valutazioni superiori e, comunque, con esclusione da tale misura per talune particolari categorie di magistrati, tra le quali – per l’appunto – sono inclusi i magistrati in servizio presso uffici in cui si determinerebbero vacanze superiori al 20% dell’organico e per i magistrati in servizio presso altre sedi disagiate.

In tal modo è stato dunque abbandonato in via transitoria il sistema delle "sedi a copertura immediata", introdotto per effetto dell’art. 1, comma 1, D.L. 16 settembre 2008 n. 143 convertito con modificazioni in L. 13 novembre 2008 n. 181, prevedendo quindi la possibilità di trasferire alle sedi disagiate magistrati, per superiori esigenze di funzionalità degli uffici giudiziari, a prescindere – e a differenza, quindi, di quanto disposto dall’art. 1, comma 3, della L. 133 del 1998 – dal consenso o dalla dichiarazione di disponibilità degli interessati.

Dal che, pertanto, discende l’assoluta irrilevanza di tale ius superveniens rispetto al caso di specie, integralmente disciplinato infatti dalla disciplina antecedente: salvo denotare che – come a ragione evidenziato dal giudice di primo grado – lo stesso art. 3 del D.L. 193 del 2009 convertito in L. 24 del 2010 reca comunque un ben significativo elemento che, sotto un profilo sia letterale sia sistematico, conferma la natura costituiva e non meramente ricognitiva della delibera dell’Organo di autogoverno che individua le sedi disagiate à sensi dell’art. 1, comma 3, della L. 133 del 1998.

Infatti, se l’art. 3 anzidetto distingue, alle lettere a) e b), le ipotesi dei "magistrati in servizio presso uffici in cui si determinerebbero vacanze superiori al 20 per cento dell’organico" e dei "magistrati in servizio presso altre sedi disagiate", e, conferma, quindi la differenza tra le sedi già qualificate come disagiate, che rappresenta l’ipotesi tipica, e quelle che lo diventerebbero solo a seguito del trasferimento, la quale rappresenta pertanto un’ipotesi ulteriore.

Nel caso riguardante il C., né la delibera adottata dal Consiglio Superiore della Magistratura in data 16 marzo 2010 e recante l’individuazione e la pubblicazione parziale per l’anno 2010 delle sedi disagiate a’sensi dell’art. 1, comma 3, della L. 133 del 1998, né la delibera adottata dallo stesso Organo di autogoverno nella seduta del 3 giugno 2010 e recante l’individuazione e pubblicazione definitiva per l’anno 2010 delle predette sedi qualificano come sede disagiata la Procura della Repubblica di Taranto: e, poiché il dott. C. non proviene da una sede disagiata e ha già conseguito la quarta valutazione di professionalità, sussistono entrambi i presupposti previsti dall’art. 1, comma 4, della L. 133 del 1998 per dare corso al suo trasferimento.

4.3. Per quanto attiene invece alle censure formulate dalle appellanti nei riguardi della statuizione del giudice di primo grado di condanna "ad emanare, in esito alla dichiarazione di disponibilità al trasferimento d’ufficio avanzata dal dott. S. C. per la copertura di due posti di sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri di cui alla delibera in data 16 marzo 2010, il provvedimento di trasferimento d’ufficio del dott. S. C. presso la Procura della Repubblica di Locri", il Collegio rileva che la statuizione stessa discende dalla circostanza che il T.A.R. ha evidenziato che:

a) l’accoglimento dell’azione impugnatoria proposta dal C. ha determinato, per l’effetto, l’annullamento della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 23 giugno 2010 nonché l’annullamento della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura del 3 giugno 2010, limitatamente alla parte in cui sono pubblicati 2 posti vacanti anziché 1 per il "distretto di Reggio Calabria – Sostituto Tribunale Locri";

b) l’azione di accertamento del diritto del C. ad ottenere il trasferimento presso la Procura della Repubblica di Locri sarebbe in teoria inammissibile in quanto postula la natura di diritto soggettivo della posizione giuridica dedotta in giudizio: posizione che, nel caso di specie, ha invece natura di interesse legittimo; e, nondimeno, posto che à sensi dell’art. 32, comma 2, cod. proc. amm. il giudice qualifica l’azione proposta in base ai suoi elementi essenziali e, sussistendone i presupposti, può sempre disporre la conversione delle azioni, la richiesta del C. può essere qualificata, con relativa conversione dell’azione, come domanda di condanna c.d. "atipica" à dell’art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., à sensi del quale, in caso di accoglimento del ricorso, il giudice, nei limiti della domanda, condanna l’Amministrazione soccombente "all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio".

Il Collegio non condivide tale percorso argomentativo per quanto testè esposto sub b).

Il fatto che nell’attuale testo del codice del processo amministrativo sia stato espunto l’originario art. 40, il quale contemplava l’esperibilità di una specifica "azione di adempimento", con la quale poteva essere chiesta al giudice, contestualmente all’azione di annullamento o avverso il silenzio, "la condanna dell’Amministrazione all’emanazione del provvedimento richiesto o denegato", non implica – come, viceversa, nella sostanza sostiene il giudice di primo grado – che l’art. 34, comma 1, lett. c) cod. proc. amm. entrato per contro in vigore e in forza del quale – per l’appunto – il giudice condanna l’Amministrazione soccombente "all’adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio", assuma in sua vece la valenza di clausola generale del sistema processuale amministrativo specificamente deputata ad assicurare l’effettività della statuizione di annullamento, garantendo in tal senso la necessaria conformazione dell’attività della Pubblica Amministrazione al decisum del giudice.

La disposizione applicata nella specie dal T.A.R. non prefigura infatti una statuizione di "condanna atipica", non rinvenibile nell’ordinamento proprio in quanto neppure esiste, al di là delle tassative ipotesi di proposizione delle azioni di annullamento (art. 29 cod. proc. amm.), di condanna (art. 30 cod. proc. amm.) e in materia di silenzio e di nullità (art. 31 cod. proc. amm.), la possibilità per il titolare della posizione giuridica pretesamente lesa di avvalersi di un consimile istituto processuale.

In tal senso, l’art. 34, comma 1, lett. c) del codice del rito amministrativo non va quindi letto quale norma attributiva al giudice di un ulteriore e – per l’appunto – "atipico" potere di condanna, ma come estrinsecazione dei possibili contenuti di accoglimento dell’azione di condanna così come infungibilmente disciplinata dall’art. 30 del codice medesimo e, quindi, così come materialmente proponibile: e, se così è, non è allora possibile "riqualificare" à sensi dell’art. 32, comma 2, cod. proc. amm. la domanda di accertamento del diritto del ricorrente (peraltro, a ragione reputata inammissibile dallo stesso T.A.R.) in domanda di condanna ad uno specifico facere.

Viceversa, la domanda di accertamento della posizione giuridica del C., per il fatto stesso della riconduzione di quest’ultima ad interesse legittimo non può che essere compresa nell’alveo dell’azione di annullamento proposta dal medesimo ricorrente e accolta dal giudice, al quale comunque compete disporre, in dipendenza dell’effetto conformativo della statuizione giudiziale rispetto all’obbligo della Pubblica Amministrazione di eseguire la statuizione medesima, eventuali misure idonee a consentirne la materiale applicazione

Tale notazione di fondo conduce pertanto all’accoglimento della domanda delle Amministrazioni appellanti di riforma della sentenza di primo grado laddove letteralmente statuisce la condanna delle Amministrazioni medesime a disporre il trasferimento del C., rendendo con ciò irrilevante ai fini del decidere la disamina della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, lett. c) del codice del processo amministrativo sollevata dalle appellanti in relazione all’art. 105 Cost.: e ciò proprio in quanto l’azione nella specie proposta dal ricorrente non può in alcun caso sortire l’effetto dell’emanazione della statuizione di condanna ivi contemplata.

Allo stesso tempo va peraltro rimarcato che il trasferimento di cui trattasi si configura comunque quale atto dovuto, naturalmente discendente dalla caducazione ope iudicis degli atti impugnati e che, del resto, dalle dichiarazioni delle parti all’odierna camera di consiglio consta sia già stato disposto dal Consiglio Superiore della Magistratura nella stessa pendenza del presente appello.

Nel caso in esame, infatti, nessuna discrezionalità residua alle Amministrazioni soccombenti, non risultando che altri magistrati abbiano presentato istanza per l’assegnazione al medesimo posto chiesto dal C.: dimodochè il trasferimento di questi a Locri risulta del tutto ineludibile nella necessaria esecuzione della statuizione di annullamento emessa dal giudice amministrativo nell’esercizio della propria giurisdizione di cui al combinato disposto dell’art. 133, comma 1, lett. i) cod. proc. amm. e dell’art. 3, comma 1, del D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165.

Ciò esclude, pertanto, nella specie qualsivoglia sostituzione del giudice amministrativo alla discrezionalità dell’Amministrazione procedente, né viola il fondamentale principio costituzionale di separazione dei poteri.

Invero, una ben risalente tesi del Consiglio Superiore della Magistratura, mutuata dalla sua risoluzione del 27 maggio 1992, sostiene la non riconducibilità del Consiglio medesimo al novero delle pubbliche amministrazioni (cfr. per la tesi stessa, e per la sua puntuale confutazione, T.A.R. Lazio, Sez. I, 9 agosto 2010 n. 30410): ma è agevole rilevare in contrario che la rilevanza costituzionale dell’Organo di autogoverno della magistratura ordinaria assiste per certo gli aspetti dell’attività, status e guarentigie dei suoi componenti, ma non osta alla piena riconduzione della sua attività, ancorchè espletata in attuazione dell’art. 105 Cost., ai principi e alle garanzie cui deve soggiacere l’attività di ogni soggetto di diritto pubblico, ivi in primis inclusi gli indefettibili canoni di imparzialità e di buon andamento delle rispettive azioni amministrative, à sensi dell’art. 97 Cost.

La rilevanza costituzionale dell’Organo medesimo neppure osta alla piena applicazione, nei confronti della sua attività, delle garanzie costituzionali apprestate per i destinatari degli effetti dell’attività stessa, e ciò a tutela del loro inviolabile diritto di difesa (cfr. art. 24, commi primo e secondo, Cost.), anche con riguardo agli atti amministrativi, per i quali la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi ("sempre ammessa", à sensi dell’113, primo comma Cost.), non può essere esclusa o limitata "a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti" ( art. 113, comma secondo, Cost.).

Né, tantomeno, vi è ragione per privare i magistrati ordinari (con ciò distinguendoli in pejus da tutte le altre categorie di dipendenti di pubbliche amministrazioni pur esse in regime di diritto pubblico) di forme e mezzi di tutela previsti, in via generale, dalla disciplina del processo amministrativo.

Se, dunque, i provvedimenti adottati dal Consiglio Superiore della Magistratura non si sottraggono, in linea di principio, al sindacato del giudice amministrativo quanto meno sotto il profilo dell’esistenza dei presupposti e congruità della motivazione, nonché dell’accertamento del nesso logico di consequenzialità tra presupposti e conclusioni (cfr. al riguardo, ex plurimis, la decisione n. 212 dd. 22 gennaio 2010 di questa stessa Sezione), non si vede la ragione per cui dalle eventuali statuizioni di annullamento di tali provvedimenti non possa conseguire l’obbligo di conformazione dell’Organo di autogoverno della Magistratura ordinaria al dictumdel giudice.

5. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, stante la particolarità della questione trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge per quanto attiene alla statuizione di annullamento adottata dal giudice di primo grado, nel mentre lo accoglie per il resto.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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