Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 22-06-2011, n. 25103 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 05.11.2010 il Tribunale di Civitavecchia, in composizione monocratica, mentre assolveva N.A. dal reato di cui al capo A (illegale detenzione di una carabina marca "Diana", ritenuta non classificabile come arma comune da sparo), lo dichiarava colpevole della contravvenzione di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (TULPS) per avere omesso di ripetere la denuncia del possesso di un’arma comune da sparo (in particolare marca "Smith & Wesson" cal. 38, matricola n. (OMISSIS)), fatto descritto come commesso in (OMISSIS), così condannandolo alla pena di Euro 100 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello, poi convertito in ricorso per cassazione, l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione deducendo: per gli stesi fatti era stato assolto con sentenza 19.11.2010 del Tribunale di Roma.

3. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.

Ed invero la sentenza del Tribunale di Roma invocata dal ricorrente, prodotta dalla difesa, non riguarda assolutamente il reato contestato e riconosciuto nell’impugnata sentenza (afferente l’omesso rinnovo, dovuto ex R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (TULPS), della denuncia del possesso della pistola in questione, come sopra identificata, dopo il trasferimento), ma la detenzione della stessa in Roma, prima del suo trasferimento. E’ di tutta evidenza, pertanto, che non vi è identità di fatto giudicato nelle due sentenze, riguardando le stesse due condotte distinte, nei tempi e nei luoghi, oltre che nel contenuto ontologico della condotta ascritta, l’omessa denuncia del possesso, in un caso, l’omessa denuncia del successivo trasferimento, nell’altro.

Non si verte, dunque, nell’ipotesi di cui all’art. 649 c.p. che pretende assoluta identità di fatto.

L’unico motivo del ricorso, infondato in modo manifesto, deve pertanto essere dichiarato inammissibile, ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.

Alla declaratoria d’inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso proposto in termini del tutto infondati (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente N.A. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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