Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-06-2011, n. 3853

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il dottor G. D. L., già dipendente dell’amministrazione penitenziaria e direttore dell’Istituto Penale Minorile di Bari, ha agito per la revocazione della decisione con la quale questa Sezione, provvedendo sull’appello da lui proposto avverso una sentenza di parziale reiezione di una pluralità di ricorsi da lui proposti dinanzi al T.A.R. della Puglia, ha dichiarato improcedibile l’appello medesimo.

A sostegno del ricorso, ha dedotto: errore di fatto nella fattispecie della omessa pronuncia ai sensi dell’art. 395, nr. 4, cod. proc. civ. (in relazione alla statuizione che l’intervenuta cessazione del rapporto d’impiego avrebbe determinato il venir meno dell’interesse alla definizione del giudizio nel merito, laddove il ricorrente – oltre all’annullamento di provvedimenti disciplinari e sanzionatori adottati nei suoi confronti – aveva chiesto accertarsi i consequenziali diritti economici e retributivi, di modo che il suo interesse certamente permaneva anche dopo la risoluzione del rapporto).

Pertanto, il ricorrente ha riproposto come segue i motivi d’appello non esaminati:

1) incompetenza della Commissione di Disciplina costituita con il d.m. 20 maggio 1998; violazione dell’art. 148 del d.P.R. 10 gennaio 1957, nr. 3; eccesso di potere per sviamento; erronea presupposizione; disparità di trattamento; difetto di motivazione; violazione e falsa applicazione delle disposizioni del vigente C.C.N.L. comparto Ministeri, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale nr. 124 del 30 giugno 1995, in vigore dal 16 maggio 1995, relative alla sfera di applicazione ed alla procedura disciplinare (artt. 1, 2, 3, 4 e segg., da 23 a 28, 41), nonché violazione degli artt. 59, 72 e 74 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, nr. 29; violazione e falsa applicazione dell’art. 40 della legge 15 dicembre 1990, nr. 395; violazione e falsa applicazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, nr. 80 (artt. 45 e segg., 59); violazione e falsa applicazione dell’art. 25 Cost. e dell’art. 148 del d.P.R. nr. 3 del 1957; eccesso di potere per sviamento; violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. cod. civ. (in relazione al provvedimento del 16 luglio 1998 del D.G. dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile – Divisione IV del Personale, con il quale al ricorrente è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dalla qualifica per mesi quattro, con riferimento ai lamentati vizi procedurali e di composizione della Commissione di Disciplina);

2) violazione e falsa applicazione del d.P.R. nr. 3 del 1957 (artt. 92/97, 103, 107, 110, 111, 112, 114, 120 e 148); violazione e falsa applicazione della legge 7 febbraio 1990, nr. 19 (art. 9); eccesso di potere per difetto di istruttoria, sviamento, mancanza/difetto di motivazione, ingiustizia manifesta, illogicità manifesta (in relazione ai termini del procedimento ed alla motivazione del censurato provvedimento disciplinare);

3) eccesso di potere per sviamento; erronea presupposizione; disparità di trattamento; difetto di istruttoria; ingiustizia ed illogicità manifesta; violazione del principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione; sproporzione tra sanzione penale e disciplinare; violazione e falsa applicazione degli artt. 653 e 454 cod. proc. pen. (in relazione ai rapporti fra procedimento disciplinare e precedente procedimento penale cui il ricorrente era stato sottoposto);

4) eccesso di potere per sviamento; difetto di istruttoria; omessa analisi e valutazione degli elementi difensivi proposti dal ricorrente; ingiustizia e illogicità manifesta; violazione del principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione; sproporzione tra sanzione penale e disciplinare; disparità di trattamento; violazione dell’art. 98 del d.P.R. nr. 3 del 1957 (ancora in riferimento ai rapporti tra giudizio penale e procedimento disciplinare);

5) incompetenza della Commissione di Disciplina costituita con il d.m. 20 maggio 1998; violazione e falsa applicazione dell’art. 148 del d.P.R. nr. 3 del 1957; eccesso di potere per sviamento; erronea presupposizione; disparità di trattamento; violazione del principio di terzietà ed imparzialità del giudice; violazione e falsa applicazione delle disposizioni del vigente C.C.N.L. comparto Ministeri, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale nr. 124 del 30 giugno 1995, in vigore dal 16 maggio 1995, relative alla sfera di applicazione ed alla procedura disciplinare (artt. 1, 2, 3, 4 e segg., da 23 a 28, 41) e del successivo C.C.N.L. di rinnovo sottoscritto il 16 febbraio 1999, pubblicato sul B.U. del Ministero della Giustizia in data 3 aprile 1999 (art. 1); violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 59, 59 bis, 72 e 74 del d.lgs. nr. 29 del 1993; violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della legge nr. 395 del 1990; violazione e falsa applicazione del d.lgs. nr. 80 del 1998 (artt. 45 e 55/59); violazione e falsa applicazione dell’art. 41 della legge 27 dicembre 1997, nr. 449 (in riferimento al provvedimento del 17 febbraio 2000, col quale al ricorrente è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dalla qualifica per sei mesi, viziato per gli stessi motivi indicati sub 1);

6) violazione e falsa applicazione del d.P.R. nr. 3 del 1957 (artt. 148 e 149); violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, sotto il profilo della mancata esplicitazione delle norme che legittimerebbero gli attuali componenti della Commissione; eccesso di potere per contraddittorietà, errata presupposizione, sviamento, difetto di motivazione, ingiustizia manifesta, illogicità manifesta (ancora in relazione al provvedimento del 17 febbraio 2000);

7) violazione e falsa applicazione del d.P.R. nr. 3 del 1957 (artt. 80, 81 e 114); eccesso di potere per sviamento; difetto di istruttoria; omessa analisi e valutazione degli elementi difensivi proposti dal ricorrente; ingiustizia manifesta; illogicità manifesta; violazione del principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione (in relazione alle motivazioni poste a base della predetta ulteriore sanzione disciplinare inflitta al ricorrente);

8) violazioni di legge (art. 10 della legge 3 ottobre 1987, nr. 402; art. 1 della legge 10 marzo 1987, nr. 100; art. 13 della legge 2 aprile 1997, nr. 13; art. 1 della legge 6 dicembre 1950, nr. 1039; art. 32 del d.P.R. nr. 3 del 1957; art. 3 della legge nr. 241 del 1990; art. 97 Cost.); eccesso di potere per travisamento; sviamento; straripamento; erronea presupposizione; irrazionalità; illogicità; ingiustizia manifesta; disparità di trattamento (in relazione al mancato riconoscimento del trattamento economico di trasferimento con riferimento al trasferimento del ricorrente da Bari a Catanzaro);

9) violazione e falsa applicazione delle disposizioni del vigente C.C.N.L. comparto Ministeri, pubblicato sul Suppl. Ord. alla Gazzetta Ufficiale nr. 124 del 30 giugno 1995, in vigore dal 16 maggio 1995, relative alla sfera di applicazione ed alla procedura disciplinare (artt. 1, 2, 3, 4 e segg., da 23 a 28, 41), nonché violazione degli artt. 59, 72 e 74 del d.lgs. nr. 29 del 1993; violazione e falsa applicazione del d.lgs. nr. 80 del 1998 (artt. 45 e segg., 59); eccesso di potere per sviamento; straripamento; erronee presupposizioni; irrazionalità; illogicità; ingiustizia manifesta (in relazione alla normativa applicata ai fini del mancato riconoscimento del trattamento di trasferimento).

L’Amministrazione intimata si è costituita, opponendosi all’accoglimento del ricorso con atto formale.

All’udienza del 24 maggio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il dottor G. D. L. agisce per la revocazione della decisione con la quale questa Sezione ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’appello dallo stesso proposto avverso la sentenza del T.A.R. della Puglia di parziale reiezione di una pluralità di ricorsi che egli aveva proposto avverso provvedimenti di irrogazione nei suoi confronti di sanzioni disciplinari, nonché di mancato riconoscimento del trattamento economico di trasferimento del personale militare.

Avverso tale declaratoria di improcedibilità, indotta dalla constatata sopravvenuta cessazione del rapporto di impiego tra l’istante e il Ministero della Giustizia, il ricorrente rappresenta: a) che permane in ogni caso il suo interesse patrimoniale al riconoscimento, ora per allora, del trattamento economico di trasferimento; b) che persiste anche il suo interesse all’impugnativa dei provvedimenti disciplinari, ai fini della consequenziale rideterminazione del trattamento economico spettantegli.

2. Ciò premesso, il ricorso si appalesa almeno in parte inammissibile.

3. Ed invero, parte ricorrente assume la sussistenza di errore di fatto revocatorio ai sensi dell’art. 395, nr. 4, cod. proc. civ., sotto la specie dell’omessa pronuncia sui motivi d’appello.

Tuttavia è evidente che la mancata pronuncia, per costituire errore revocatorio nei sensi appena indicati, deve essere dovuta a un abbaglio dei sensi, ossia alla mancata percezione dell’esistenza in atti di uno o più motivi di censura sui quali il giudice avrebbe avuto il dovere di pronunciarsi, e non invece a una valutazione che porti a ritenere il venir meno di qualsivoglia utilità di detta pronuncia.

In altri termini, l’erronea declaratoria di improcedibilità dell’appello qui lamentata – ove sussistente – consisterebbe in un erroneo apprezzamento della questione della persistenza o meno di un interesse della parte originaria ricorrente alla definizione del giudizio nel merito, e non certo in un errore di percezione nel senso suindicato.

Più precisamente, il Collegio è dell’avviso che nella specie di errore di fatto possa forse parlarsi limitatamente alla domanda di accertamento (proposta con l’originario ricorso nr. 1711 del 1999) del diritto del ricorrente a percepire il trattamento economico di trasferimento: domanda della quale non è alcuna menzione nella decisione revocanda, e della quale pertanto può astrattamente ipotizzarsi sia del tutto sfuggita alla percezione dell’organo giudicante.

4. Al di là dell’assorbente rilievo che precede, reputa il Collegio che, sotto il profilo rescissorio, il ricorso sia infondato sia per la parte inammissibile quanto al rescindente sia per la parte che potrebbe essere astrattamente ammissibile.

Di conseguenza si procederà di seguito a esaminare, ad abundantiam, tutti i motivi di appello reiterati dal ricorrente nella presente sede, evidenziandone sinteticamente l’infondatezza.

4.1. Innanzi tutto, con riguardo alla questione centrale dell’applicabilità o meno, ai procedimenti disciplinari subiti dall’odierno ricorrente, della normativa di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, nr. 3, la Sezione condivide la conclusione del primo giudice, secondo cui la sopravvenuta normativa contrattuale di categoria non era applicabile al ricorrente, il quale era appartenente alla carriera direttiva del personale dell’Amministrazione penitenziaria, giusta la previsione di cui all’art. 1, comma 4, dell’invocato C.C.N.L. del 1995: tale norma rimetteva a successiva apposita contrattazione la definizione degli "ambiti di applicabilità" delle nuove norme contrattuali collettive a determinate categorie, fra le quali quelle del personale dipendente dell’Amministrazione penitenziaria di cui alla previsione dell’art. 40 della legge 15 dicembre 1990, nr. 395 (cui era certamente riconducibile l’istante).

A fronte di tale conclusione parte ricorrente, a sostegno di una difforme interpretazione, si limita ad addurre argomenti fattuali ricavati da pregresse o contestuali condotte della stessa Amministrazione convenuta: ma tali circostanze non appaiono in sé risolutive, avendo lo stesso giudice di prime cure avvertito dell’opinabilità della questione de qua e dei contrastanti orientamenti al riguardo adottati dall’Amministrazione (almeno fino a quel momento).

4.2. Per quanto concerne le censure relative alla nomina della Commissione di Disciplina, la parte appellante ha contestato la statuizione di inammissibilità del T.A.R. pugliese, assumendo che quest’ultimo avrebbe dovuto pronunciarsi su dette doglianze, a nulla rilevando che le stesse costituissero riproduzione di identiche censure proposte in separato giudizio (poi a sua volta definito dal T.A.R. del Lazio con sentenza di inammissibilità, sul presupposto dell’impossibilità di un’autonoma impugnazione dell’atto istitutivo della Commissione di Disciplina).

Tuttavia, ciò premesso l’istante si è limitato a chiedere l’esame dei motivi originariamente proposti con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti "da intendersi – qui – per integralmente riportati e trascritti": con ciò contravvenendo all’obbligo di analitica e puntuale esposizione dei motivi di censura, da tempo affermato dalla giurisprudenza e oggi esplicitato dall’art. 101 cod. proc. amm.

Ne discende che in parte qua l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato in ogni caso inammissibile.

Per il resto, il ricorrente rende intelligibile unicamente la propria critica alle modalità di nomina della Commissione alla stregua della normativa contrattuale collettiva, la quale però non risulta applicabile alla fattispecie per le ragioni testé evidenziate.

4.3. Infondate sono anche le censure mosse da parte appellante avverso la sentenza impugnata nella parte in cui, con riguardo al dedotto vizio di violazione del termine di 180 giorni di cui all’art. 9 della legge 7 febbraio 1990, nr. 19, per l’avvio del primo procedimento disciplinare, ha ritenuto rispettato il predetto termine richiamando la consolidata giurisprudenza secondo cui il dies a quo coincide non già con la data di irrevocabilità della sentenza di condanna, ma con il momento in cui l’Amministrazione ne abbia avuto conoscenza.

Sul punto l’appellante assume che, attraverso una successiva richiesta di informazioni alla Cancelleria del Tribunale di Terni (peraltro immediatamente soddisfatta), l’Amministrazione si sarebbe artatamente costituita un nuovo termine elusivo della citata disposizione: tuttavia, malgrado la dovizia argomentativa, non adduce alcun elemento idoneo a dimostrare che la medesima Amministrazione avesse avuto effettiva contezza del passaggio in giudicato della sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod. proc. amm. prima della data suindicata (unica circostanza che autorizzerebbe a parlare di un escamotage del tipo di quello ipotizzato dall’istante).

4.4. Da disattendere è anche il motivo di gravame sviluppato avverso la reiezione della doglianza inerente a preteso vizio motivazionale ed istruttorio, mancando nella specie ogni autonomo accertamento o giudizio in ordine ai fatti oggetto del procedimento penale.

Al riguardo, la sentenza impugnata è assolutamente in linea con la dominante giurisprudenza, secondo cui:

a) i fatti oggetto del procedimento penale cui il dipendente pubblico sia stato sottoposto, ove storicamente accertati, ben possono essere autonomamente valutati dall’Amministrazione ai fini disciplinari;

b) tale valutazione non è preclusa dall’essersi il giudizio penale definito con sentenza di c.s. patteggiamento, purché ovviamente dagli atti sia dato evincere con certezza la verità storica dei fatti ascritti al dipendente.

4.5. Del pari infondate sono le censure con le quali si lamenta la genericità della motivazione impiegata dal primo giudice per non condividere gli argomenti addotti dal ricorrente a sostegno dell’affermata irrilevanza disciplinare delle condotte ascrittegli, e comunque della sproporzione fra esse e la sanzione disciplinare irrogatagli.

In particolare, lamenta l’appellante che il T.A.R. non avrebbe in alcun modo spiegato le ragioni sottostanti il giudizio di incompatibilità delle predette condotte col decoro che deve connotare le funzioni – all’epoca rivestite – di direttore di un Istituto Penale Minorile, ed inoltre che non sarebbero state considerate la situazione drammatica in cui l’istante versava e le particolari motivazioni alla base del suo agire.

Tale ultimo rilievo è smentito in fatto, avendo rilevato il primo giudice – con considerazioni del tutto condivisibili in questa sede – che proprio in ragione della valutazione delle "attenuanti" del caso, l’odierno ricorrente è stato "assolto" da alcuni degli addebiti disciplinari originariamente mossigli.

Per il resto, può forse essere il caso esplicitare il giudizio di congruità della valutazione disciplinare dell’Amministrazione, rammentando che il procedimento a carico dell’istante trasse origine dall’arresto in flagranza dello stesso, unitamente ad altri soggetti, eseguito dopo che egli si era recato presso un sedicente operatore dell’occulto al fine di "recuperare" somme di denaro che questi aveva carpito a un suo figlioccio; insomma, un tentativo di "giustizia privata" con l’uso della forza, per il quale il ricorrente risulta poi aver patteggiato la pena per il delitto di cui all’art. 610 cod. pen. (violenza privata).

Al di là della oggettiva valenza negativa di tali condotte, è significativo del loro disvalore a fronte delle funzioni pubbliche ricoperte il fatto stesso che anche nel presente ricorso l’istante riconosca di essersi indotto a recarsi di persona dal presunto malfattore "avendo constatato l’infruttuosità delle reiterate richieste di intervento proposte all’Autorità di Pubblica Sicurezza": un atteggiamento – è quasi superfluo rilevarlo – del tutto incompatibile con il prestigio e l’autorevolezza che dovrebbe accompagnare l’appartenenza, peraltro nei gradi dirigenziali apicali, alle forze dell’ordine.

Ne discende l’insussistenza di qualsivoglia profilo di sproporzione o irragionevolezza nel giudizio espresso dall’Amministrazione in sede disciplinare, come pure nella sanzione irrogata con l’impugnato provvedimento del 16 luglio 1998 (essendo del tutto indimostrata l’affermazione per cui vi sarebbe stata, invece, una volontà persecutoria nei confronti di un dipendente "scomodo").

4.6. Quanto alle censure di cui sub 5) e 6) della narrativa in fatto, svolte avverso l’ulteriore provvedimento sanzionatorio del 17 febbraio 2000, queste sono di tenore assolutamente analogo a quelle già svolte in relazione alla sanzione del 1999 (incompetenza della Commissione di Disciplina e inapplicabilità delle norme di cui al d.P.R. nr. 3 del 1957), e pertanto – così come fatto dal primo giudice – vanno respinte sulla base degli argomenti sopra sviluppati ai punti 4.1 e 4.2.

4.7. Non occorrono molti argomenti anche per motivare l’infondatezza dell’ulteriore motivo di gravame articolato dal ricorrente in ordine al giudizio di rilevanza disciplinare formulato dall’Amministrazione circa il carattere oggettivamente denigratorio, e quindi contrario ai doveri d’ufficio, della lettera redatta dal dott. De Luisi in data 27 gennaio 1999.

In particolare, il primo giudice ha evidenziato da un lato come tale lettera s’inserisse all’interno di un contesto comportamentale caratterizzato da ripetuti contrasti con i superiori gerarchici, per altro verso come i toni usati nella missiva de qua, oggettivamente idonei a gettare discredito su persone e istituzioni appartenenti alla medesima Amministrazione, rendano del tutto marginale la questione se i rilievi critici formulati con la più volte citata missiva fossero storicamente fondati o meno.

A fronte di tale analitica e puntuale motivazione, rinvenibile negli atti impugnati e circostanziatamente ricostruita dal T.A.R., in modo da escludere qualsivoglia profilo di manifesta irragionevolezza o scorrettezza procedimentale, il "totalitario dissenso" espresso dall’istante – pur comprensibile e, magari, rispettabile – appare del tutto sganciato da elementi oggettivi e decisivi idonei ad avallare la sussistenza dei vizi denunciati.

4.8. Infine, si appalesano infondati anche i motivi d’appello articolati avverso la parte della sentenza di primo grado con la quale è stata respinta la domanda di accertamento del diritto del ricorrente all’indennità di trasferimento di cui all’art. 1 della legge 3 ottobre 1987, nr. 402, in occasione del trasferimento di sede da Bari a Catanzaro.

Sul punto, è del tutto condivisibile l’avviso del primo giudice, il quale ha rilevato come, a differenza dal precedente trasferimento da Camerino a Bari (per il quale la domanda attorea è stata accolta), il successivo trasferimento a Catanzaro non era inquadrabile fra i trasferimenti d’autorità, per i quali la normativa invocata prevede il diritto all’indennità de qua: infatti, pur essendo il predetto trasferimento "polifunzionale", esso era indubbiamente determinato dalle vicende penali e disciplinari che avevano coinvolto l’istante a Bari, essendo quindi assimilabile ai trasferimenti lato sensu indotti da incompatibilità ambientale del dipendente.

Né vale obiettare, in contrario, che all’epoca del trasferimento l’odierno ricorrente non era stato ancora rinviato a giudizio né era più sottoposto a sospensione cautelare dal servizio: è nota, infatti, l’ampia discrezionalità che caratterizza le valutazioni della p.a. in ordine alla situazione di incompatibilità ambientale in cui versa il dipendente, la quale può perfino derivare da fatti incolpevoli (e, pertanto, può a fortiori dipendere – come nel caso di specie – dall’essere stato egli tratto in arresto per gravi fatti).

5. In conclusione, s’impone una pronuncia di parziale reiezione e parziale declaratoria di inammissibilità (quanto a censure le quali, comunque, per quanto si è appena visto sono comunque infondate nel merito) del presente ricorso per revocazione.

6. In considerazione della peculiarità della vicenda che occupa e dell’assenza di articolate difese dell’Amministrazione nella presente fase, sussistono però giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e in parte lo respinge.

Compensa tra le parti le spese della presente fase del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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