Cons. Stato Sez. IV, Sent., 27-06-2011, n. 3851 Giustizia amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. L’attuale appellata, Sig.ra L. T., ha proposto innanzi al T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, i ricorsi sub R.G. 8445 del 1992 e 4177 del 1997, rispettivamente impugnando il decreto di occupazione in via d’urgenza e gli atti presupposti, ivi compresi la dichiarazione di pubblica utilità ed il piano di zona, e il decreto di esproprio n. 194 del 25 marzo 1997.

In particolare con la prima censura del ricorso proposto sub R.G. 4177/97 R.G. la T. ha dedotto il vizio d’invalidità derivata del decreto di esproprio quale conseguenza dell’asserita illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità e degli ulteriori atti già impugnati con il ricorso proposto sub R.G. 784/92 R.G., affermando che in tal modo sarebbero stati illegittimamente appresi i propri terreni catastalmente distinti alla partita n.3605, foglio 63, p.c. 481 per mq.1.200, p.c. 466 per mq.8.000, p.c. 144 per mq.1.360, foglio.107, p.c. 265 per mq.1.258 e p.c. 191 per mq.990.

1.2. Nel giudizio di primo grado si sono costituiti in giudizio il Comune di Benevento e l’Istituto Antonomo Case Popolari (I.A.C.P.) chiedendo la reiezione dei due ricorsi.

In esito avarie ordinanze il Comune di Benevento ha depositato agli atti di causa della documentazione afferente alla sentenza del Tribunale Ordinario di Benevento n.255 del 2007, recante la dichiarazione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della Giunta Speciale per le Espropriazioni e che è stata impugnata dalla Signora L. T. e dal Sig. Rocco Mazzeo innanzi alla Corte di Appello di Napoli, nonché afferente al procedimento di opposizione alla stima degli immobili appresi proposto sempre dalla Signora L. T. e dal Sig. Rocco Mazzeo innanzi alla Corte di Appello di Napoli e che è stato sospeso con ordinanza del 20 luglio 1998 stante la pendenza di separato giudizio a seguito della proposizione di azione risarcitoria.

Lo I.A.C.P. di Benevento, da parte sua, ha depositato la medesima documentazione,nonché copia di varie consulenze rese sull’area in contestazione e la relazione del direttore dei lavori sulle riserve formulate dall’impresa costruttrice, rappresentando che i 160 alloggi previsti dal progetto costituente il presupposto per l’esproprio di cui trattasi sono stati consegnati agli assegnatari sin dal 1997 e sono abitati dai medesimi.

1.2. Con sentenza n. 21165 dd. 5 dicembre 2008 la Sezione V^ dell’adito T.A.R. ha dichiarato i due ricorsi inammissibili per quanto attiene alle domande relative all’indennità di espropriazione e al risarcimento dei danni ivi proposte, nel mentre li ha accolti per quanto attiene alle domande impugnatorie, avuto riguardo – in via assorbente – all’avvenuta violazione dell’art. 13 della L. 25 giugno 1865 n. 2359 e dell’art. 7 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241 e, per l’effetto, ha annullato in parte qua tutti gli atti segnatamente resi oggetto di ricorso in primo grado, ossia: a) il decreto di esproprio definitivo n. 194 dd. 25 marzo 1997 emesso dal Sindaco del Comune di Benevento; b) la deliberazione n. 25 dd. 16 aprile 1991 con la quale il Consiglio Comunale del Comune di Benevento ha adottato il P.E.E.P. (Piano per l’edilizia economica popolare) di località Pacevecchia in variante al P.R.G.; c) la deliberazione n. 121 dd. 20 dicembre 1991 con la quale il Consiglio Comunale di Benevento ha esaminato le opposizioni proposte avverso il predetto provvedimento di adozione del P.E.E.P.; d) la deliberazione dd. 1 luglio 1991 con la quale il Consiglio Comunale del Comune di Benevento ha assegnato le aree allo I.A.C.P.; e) la deliberazione n. 2854 dd. 6 novembre 1991 con la quale la Giunta Comunale di Benevento ha approvato lo schema di convenzione; f) la deliberazione della medesima Giunta Comunale di Benevento n. 254 dd. 31 gennaio 1992; g) la deliberazione della medesima Giunta Comunale di Benevento n. 1285 dd. 12 giugno 1992; h) verbale d’immissione in possesso e stato di consistenza dd. 30 aprile 1992.

2.1. Con il ricorso in epigrafe il Comune di Benevento chiede la riforma della sopradescritta sentenza resa dal giudice di primo grado, deducendo al riguardo le seguenti censure.

a) Erroneità, illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, perplessità, violazione e falsa applicazione della L. 18 aprile 1962 n. 167, dell’art. 2 della L. 19 novembre 1968 n. 1187, dell’art. 9 della L. 18 aprile 1962 n. 167 e dell’art. 13 della L. 25 giugno 1865 n. 2359 vigenti all’epoca dei fatti di causa.

Secondo la prospettazione del ricorrente Comune e contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, l’art. 13 della L. 2359 del 1865, disciplinante all’epoca dei fatti di causa l’apposizione dei termini iniziale e finale delle espropriazioni per pubblica utilità, non sarebbe stato applicabile alle espropriazioni attinenti ai Piani di zona per l’edilizia economica popolare (P.E.E.P.), i quali dispiegherebbero invece la loro efficacia per 18 anni decorrenti dalla loro approvazione: e, in conseguenza di ciò, nella specie non sarebbe stata necessaria l’indicazione dei termini di cui al predetto art. 13 della L. 2359 del 1865 proprio in quanto la durata legale dell’efficacia del P.E.E.P. assolverebbe ex se alle esigenze per le quali, nel contesto dell’ordinario procedimento espropriativo, sopperiscono i termini fissati per l’inizio e il completamento delle espropriazioni e dei lavori.

b) Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 e ss. della L. 167 del 1962; violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990 n. 241; erroneità, illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

Il ricorrente Comune reputa inoltre inapplicabile nel caso di specie la disciplina di partecipazione al procedimento da parte dei privati, in quanto la partecipazione medesima risulterebbe già compiutamente normata nella disciplina speciale dell’espropriazione vigente all’epoca dei fatti di causa e puntualmente applicata nei riguardi dell’appellata.

2.2. Si è costituito in giudizio lo I.A.C.P., chiedendo in via preliminare di essere estromesso dal processo e – in subordine – eccependo l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso in primo grado e, comunque, concludendo per l’accoglimento dell’appello.

2.3. Si è parimenti costituita in giudizio l’appellata, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione dell’impugnativa.

In via tuzioristica l’appellata ha comunque riproposto le censure da essa dedotte innanzi al giudice di primo grado e da questi assorbite nella sua sentenza.

3. Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Il Collegio deve innanzitutto farsi carico di statuire sulla domanda di estromissione dal processo proposta dallo I.A.C.P.

4.2. Tale domanda va respinta, in quanto tale Istituto è stato correttamente evocato nel giudizio di primo grado dall’attuale appellata identificandosi nella procedura ablatoria quale beneficiario dell’espropriazione e – quindi – quale controinteressato nel processo, all’epoca à sensi dell’allora vigente art. 21, primo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 e – ora – à sensi dell’art. 41, comma 2, cod. proc. amm.: circostanza, questa, che si configura quindi quale presupposto necessario e sufficiente per fondare la legittimazione processuale dello I.A.C.P. nella presente causa.

4.3. Peraltro, e con riguardo alla complessiva posizione processuale dello I.A.C.P. medesimo, va pure denotato che il controinteressato soccombente nel giudizio di primo grado, il quale abbia interesse all’annullamento della relativa sentenza, deve impugnarla ritualmente, in via autonoma od in via incidentale dopo l’altrui impugnazione proposta per prima, nei termini dell’allora vigente art. 28 della L. 1034 del 1971 e – ora – dell’art. 92 cod. proc. amm., non potendo eludere tale onere mediante la mera costituzione, per di più con memoria non notificata, nel giudizio promosso da altro soccombente: sicché è inammissibile il motivo d’impugnazione dedotto con il suo atto di costituzione in giudizio (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 maggio 2009 n. 2908).

In considerazione di ciò, pertanto, le deduzioni autonomamente illustrate nella memoria dello I.A.C.P. di inammissibilità e di irricevibilità del ricorso proposto in primo grado dalla T. non possono che essere dichiarate inammissibili, in quanto non formulate mediante un idoneo atto di appello ma contenute in una semplice memoria defensionale.

Ad ogni buon conto, giova comunque evidenziare che il ricorso in primo grado non è stato proposto tardivamente, posto che dagli atti di causa consta che la T. ha avuto notizia dell’intervenuto avvio del procedimento ablatorio avente ad oggetto i terreni di sua proprietà soltanto per effetto della ricezione – avvenuta in data 5 giugno 1992 – della nota dello I.A.C.P. dd. 27 maggio 1992 con la quale le è stato comunicato che il Comune di Benevento aveva sia adottato il Piano di zona à sensi della L. 167 del 1962, sia disposto la localizzazione dell’area di intervento à sensi dell’art. 51 della L. 865 del 1971, e che rispetto a tale nota (in alcun modo preceduta da comunicazioni di qualsivoglia altro atto del procedimento) la proposizione del ricorso predetto risulta avvenuta in termini.

5.1. Tutto ciò premesso, l’appello del Comune di Benevento va respinto.

5.2. Come dianzi rilevato, l’Amministrazione Comunale reputa che il giudice di primo grado abbia nella specie fatto erronea applicazione dell’art. 13 della L. 2359 del 1865, all’epoca vigente: e ciò in quanto la disciplina in ordine alla prefissione dei termini per il completamento del procedimento espropriativo e dei lavori non si applicherebbe nell’ipotesi dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare di cui alla L. 167 del 1962.

Al fine di verificare la fondatezza di tale censura necessita, pertanto, verificare se la dichiarazione di pubblica utilità discende – nella specie – da una localizzazione del programma costruttivo disposta dal Consiglio Comunale à sensi dell’art. 51 della L. 22 ottobre 1971 n. 865, ovvero dall’adozione del piano di zona per il P.E.E.P. disposta dal medesimo Consiglio Comunale con la deliberazione n. 25 dd. 6 aprile 1991.

Va a tale riguardo evidenziato che dalla lettura delle premesse del decreto di esproprio n. 194 dd. 25 marzo 1997 e delle premesse della deliberazione della Giunta Comunale di Benevento n. 254 dd. 31 gennaio 1992, con la quale è stata disposta l’occupazione in via d’urgenza dei terreni della T., consta invero che la procedura ablatoria si fonda, nella specie, sia sulla deliberazione consiliare n. 25 dd. 16 aprile 1991 recante l’adozione di un Piano di zona P.E.E.P. ex L. 167 del 1962 in variante al P.R.G., sia sulla deliberazione consiliare n. 72 dd. 1 luglio 1991, adottata à sensi dell’art. 9 della L. 5 agosto 1978 n. 457 e degli artt. 3 e 8 del D.L. 2 maggio 1974 n. 115 conv. con modificazioni in L. 27 giugno 1974 n. 247.

Nella deliberazione consiliare n. 72 dd. 1 luglio 1991, con la quale il Comune di Benevento ha localizzato l’area dell’intervento e la conseguente sua assegnazione allo I.A.C.P., è richiamata l’avvenuta adozione del Piano di zona, ma è pure richiamato espressamente l’art. 3 della L. 247 del 1974 e l’art. 51 della L. 865 del 1971: né poteva essere diversamente, posto che a quel momento il Piano di zona anzidetto era stato soltanto adottato, e non già approvato.

Allo stesso modo, anche nel decreto di occupazione in via d’urgenza è richiamata anche la predetta deliberazione consiliare n. 72 del 1991: e anche in questo caso non poteva essere diversamente, poiché anche a quel momento il Piano di zona risultava adottato ma non ancora approvato.

Per quanto attiene al decreto di esproprio, va denotato che esso è invero successivo all’approvazione del Piano di zona: e, nondimeno, anche nelle premesse di tale provvedimento risulta espressamente ed esclusivamente richiamata la predetta deliberazione consiliare n. 72 del 1991.

Da quanto sopra consta, quindi, che nella specie soltanto la deliberazione consiliare n. 72 del 1991 costituisce il presupposto legittimante della procedura espropriativa e, quindi, la fonte della dichiarazione di pubblica utilità, con la conseguenza che il corretto – o meno – utilizzo dell’art. 13 della L. 2359 del 1865 va esaminato in relazione alla deliberazione n. 72 del 1991 di localizzazione à sensi dell’art. 51 della L. 865 del 1971, e non già al Piano di zona adottato con deliberazione consiliare n. 25 del 1991: e, del resto, a tale conclusione è già pervenuta questa stessa Sezione con la precedente sua decisione n. 806 dd. 13 febbraio 2009, resa su omologa fattispecie concernente il medesimo Piano di Zona (stessa procedura espropriativa; stesse pubbliche amministrazioni, stesso ambito urbano, diversi soltanto i soggetti privati e le relative aree).

Correttamente la difesa dell’appellata afferma che la giurisprudenza è del tutto concorde laddove distingue, in relazione all’art. 13 della L. 2359 del 1865, tra piano di zona e localizzazione disposta à sensi dell’art. 51 della L. 865 del 1971865/71: distinzione che, in effetti, concorda con la tesi dell’appellante secondo cui i termini di inizio e di fine lavori, nonché i termini per l’espletamento della procedura espropriativa non vanno indicati quando essi siano stati stabiliti direttamente dal legislatore, come – per l’appunto – nel caso dei Piani di zona di cui alla L. 167 del 1962, i quali assumono infatti l’efficacia di dichiarazione di pubblica utilità in quanto il termine legale di validità del piano rappresenta al tempo stesso il termine ultimo entro il quale devono essere compiute le espropriazioni ed ultimati i lavori (cfr. sul punto, ex plurimis, la decisione n. 4056 dd. 25 luglio 2001 resa da questa stessa Sezione).

Peraltro, per le localizzazione di cui all’art. 51 della L. 865 del 1971 va evidenziato che la relativa disciplina è palesemente alternativa a quella della L. 167 del 1962, come del resto chiaramente si evince dalla stessa lettera del medesimo art. 51, dove – per l’appunto – si afferma che "nei comuni che non dispongono dei piani previsti dalla L. 18 aprile 1962 n. 167, i programmi costruttivi sono localizzati su aree indicate con deliberazione del consiglio comunale nell’ambito delle zone residenziali dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione": e la circostanza che il Consiglio Comunale abbia voluto, quindi, utilizzare tale particolare e derogatorio procedimento rispetto a quello proprio della L. 167 del 1962 pur essendo anch’esso in itinere, mantenendone ferma l’applicazione sino al momento della pronuncia dell’espropriazione, significa che pertanto che l’Amministrazione Comunale ha consapevolmente scelto una via acceleratoria per la realizzazione del proprio programma di edilizia economicopopolare, scontando peraltro – in via altrettanto consapevole – l’applicazione della disciplina di cui all’art. 13 della L. 2359 del 1865 ordinariamente contemplata per la fissazione dei termini, entro i quali devono cominciarsi e compiersi le espropriazioni ed i lavori.

In conseguenza di ciò, quindi, non essendo stati nella specie fissati i termini di cui all’art. 13 della L. 2359 del 1865 nella deliberazione consiliare n. 72 del 1991 di localizzazione dell’intervento adottata à sensi dell’art. 51 della L. 865 del 1971, le censure proposte in primo grado sono state correttamente accolte dal T.A.R., con conseguente caducazione dell’intero procedimento ablatorio.

5.3. Altrettanto correttamente il giudice di primo grado ha, inoltre, accolto la censura – parimenti assorbente – di violazione dell’art. 7 e ss. della L. 241 del 1990.

Il Collegio, a tale riguardo, non sottace che – di per sé – la L. 241 del 1990 si configura quale disciplina generale sul procedimento e non già del procedimento amministrativo, con la conseguenza che essa, in linea di principio, non trova applicazione precettiva nelle ipotesi di procedimenti speciali o, comunque, già conformati alle sue disposizioni fondamentali, e che – per l’appunto – il procedimento di cui all’art. 6 della L. 167 del 1962 (peraltro, come dianzi evidenziato, nella specie non applicato all’ablazione subita dalla T.) di per sé garantisce adeguatamente le esigenze del giusto procedimento perseguite dalla medesima L. 241 del 1990.

Tuttavia, nei casi in cui – come, per l’appunto, quello riguardante l’attuale appellata – sussiste una dichiarazione di pubblica utilità c.d. "implicita", ossia insita nell’approvazione del progetto dell’opera pubblica, il relativo procedimento deve essere in defettibilmente preceduto dalla comunicazione prevista dall’art. 7 della L. 241 del 1990, anche in questo caso a pena della caducazione dell’intero procedimento medesimo (cfr. sul punto, ex plurimis, la decisione n. 2910 dd. 12 maggio 2009, resa da questa stessa Sezione): e, del resto – e come a ragione evidenziato dal T.A.R. – ciò risponde ad evidenti canoni di logica, poiché la comunicazione di avvio del procedimento ablatorio può assumere utilità soltanto se precede l’atto centrale ed essenziale del procedimento medesimo, ossia la delibera di dichiarazione di pubblica utilità e di localizzazione dell’opera, dal momento che una comunicazione successiva si rivelerebbe del tutto inutile.

Contrariamente a quanto affermato dall’appellante Comune, tale violazione della regola del giusto procedimento ha impedito alla T. di partecipare utilmente al procedimento per collaborare alla determinazione del contenuto del provvedimento finale, vanificando un meccanismo che ha inteso innestare nell’attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell’introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l’adeguatezza dell’istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 5 5 dicembre 2007n.6183).

6. Le spese e gli onorari del giudizio seguono la regola della soccombenza, e sono liquidati nel dispositivo.

Va inoltre dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna in solido il Comune di Benevento e lo I.A.C.P. di Benevento al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 3.000,00.- (tremila/00) oltre ad I.V.A. e C.P.A.

Dichiara – altresì – irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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