Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 22-06-2011, n. 25099 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 29.03.2010 la Corte d’appello di Lecce integralmente confermava la pronuncia di primo grado che, in esito a rito abbreviato, aveva condannato L.A. e T.F. alla pena di anni due di reclusione ciascuno per concorso nel reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies. Era così ritenuto provato che, al fine di eludere le conseguenze della misura di prevenzione patrimoniale gravante sul marito della L., condannato al pari della predetta per usura ed altro, costei aveva fittiziamente attribuito al genero T., che consapevolmente aveva incassato in data (OMISSIS), la somma di Euro 90.000, parte del maggior importo di Euro 102.000 derivante dalla vendita di un immobile, essendo stato questo sottoposto a sequestro con decreto 26.04.2006, come poi la somma derivante dalla vendita stessa (con decreto 05.07,2006).

2. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione entrambi gli anzidetti imputati che motivavano l’impugnazione con atti separati ma totalmente sovrapponigli con i quali deducevano: la Corte territoriale non aveva tenuto nel dovuto conto che, in realtà, la vendita era avvenuta nel Settembre 2005, il pagamento dell’acconto nello stesso mese ed il saldo era stato versato il 12.04.2006, attività tutte precedenti il disposto sequestro.

3. Gli analoghi ricorsi, manifestamente infondati in ogni loro deduzione, devono essere dichiarati inammissibili con tutte le dovute conseguenze di legge.

Le argomentazioni difensive proposte in questa sede sono, in realtà, le stesse già avanzate nelle precedenti sedi di giudizio e già correttamente respinte dai giudici del merito. I ricorsi, pertanto, che pure assumono quale unico denunciato vizio asserita illogicità motivazionale, risultano per ciò solo inammissibili per genericità, atteso che, in definitiva, non svolgono effettiva critica logico – giuridica all’impugnata decisione.

Va peraltro rilevato – con significato dirimente in questa sede – come l’assunto centrale dei ricorrenti (risalire la vendita, e la relativa riscossione del prezzo, al Settembre 2005) sia rimasto del tutto sfornito di prova sia in primo che in secondo grado, e come siffatta apodittica affermazione tale permanga anche in questa sede (nonostante la relativa notazione critica della Corte territoriale) con evidente vizio di non autosufficienza dei ricorsi in tali termini prodotti.- E’, infine, parimenti inammissibile, per totale infondatezza, il profilo dei ricorsi che intende rilevare la precedenza delle operazioni incriminate rispetto al decreto di sequestro. Deve essere preliminarmente rilevato come il reato in questione consista nella dolosa sottrazione di beni finalizzata ad eludere misure ablative, di tal che il paradigma di riferimento temporale non è l’intervenuto sequestro, ma la situazione che induca consapevolezza della possibilità di tale incombente ablazione (nella fattispecie le precedenti condanne e la procedura di prevenzione in atto); in tal senso è pacifica la giurisprudenza di questa Corte:

cfr., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 2, n. 29224 in data 14.07.2010, Rv. 248189, P.M. in proc. Di Rocco; Cass. Pen. Sez. 5, n. 5541 in data 15.01.2009, Rv. 243163, Corsini; Cass. Pen. Sez. 1, n. 19537 in data 02.03.2004, Rv. 227969, Ciarlante; ecc. Consegue l’assoluta irrilevanza della questione proposta (su cui, peraltro, ben valgono – in fatto – le deduzioni della Corte territoriale: quando l'(OMISSIS) i denari passano al T., momento consumativo del reato, già era stato emesso il decreto i sequestro 26 aprile 2006 avente ad oggetto l’immobile in questione).

Tutte le tesi difensive avanzate con i ricorsi non possono, dunque, avere ingresso in questa sede.

I ricorsi, infondati in modo manifesto, devono pertanto essere dichiarati inammissibili, ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.

Alla declaratoria d’inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna di entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso proposto in termini del tutto infondati (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi. Condanna i ricorrenti L. A. e T.F. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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