CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 8 novembre 2010, n.22653 PRELIMINARE DI VENDITA: OBBLIGO DEL ROGITO O DEL RILASCIO DI UNA PROCURA A VENDERE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1363 cod. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia. Avrebbe errato la Corte di merito nell’interpretare il contratto preliminare di cui si tratta nel senso che esso prevedesse che entro il termine fissato dallo stesso la promittente venditrice avrebbe dovuto alternativamente stipulare il rogito notarile o rilasciare al M. una procura a vendere.

Tale erronea esegesi sarebbe frutto di una lettura non organica del contratto, nel quale non si fa mai riferimento ad una procura a vendere, ma semplicemente ad una procura. Questa, inoltre, generalmente si accompagna ad un mandato, di cui non vi era traccia nella specie. Inoltre, sotto il profilo delle obbligazioni assunte dalle parti, si sottolinea nel ricorso che lo schema adottato dalle parti era quello del contratto di compravendita, avendo la C. promesso di “cedere e vendere” al signor M., il quale allo stesso modo aveva promesso di “accettare ed acquistare”. L’unica alternativa prevista dal contratto era quella riservata al compratore, che avrebbe potuto scegliere se acquistare per sé o per persona da nominare, mentre non vi sarebbe stato spazio, in base al significato letterale e complessivo delle clausole contrattuali, per ritenere, come aveva fatto la Corte di merito, che la venditrice si fosse alternativamente impegnata a vendere o a rilasciare una procura a vendere. Infine, quanto al comportamento delle parti anche successivo alla stipulazione del contratto, si rileva che dalla corrispondenza intercorsa tra le stesse, emergerebbe che la loro comune volontà non fosse quella del rilascio di una procura a vendere, ma solo quella di obbligarsi a concludere un contratto di compravendita immobiliare. Ed infatti, sin dalla prima lettera spedita al M. la C. si era dichiarata pronta ad adempiere l’unica prestazione cui si era obbligata, quella, cioè, a stipulare il contratto definitivo di compravendita. Ed anche il M. aveva quale unico interesse quello di acquistare l’appartamento a fini speculativi per rivenderlo, e per tale ragione si era obbligato ad acquistare per sé o per persona da nominare, che aveva confidato di reperire entro la scadenza prefissata. Solo in data 1 aprile 1996, a termine scaduto, e nella impossibilità di reperire alcuno, aveva proposto alla C. il rilascio di una procura a vendere, ottenendone un rifiuto.

2.1. – La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio.

2.2. – La interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, in quanto non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e dei principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa.

2.3. – Nella specie, la Corte di merito ha correttamente e congruamente dato conto del percorso logico-giuridico, condotto in conformità ai criteri ermeneutici dettati dall’art. 1362 cod. civ., che ha determinato il suo convincimento in ordine al reale contenuto del contratto preliminare de quo, attenendosi, per un verso, alle espressioni in esso contenute, e, per l’altro, valutando la intenzione comune delle parti, che era quella che, entro il termine del 20 febbraio 1996, dovesse essere, con il versamento del prezzo, stipulato il rogito ovvero rilasciata al M. la procura a vendere. La Corte lagunare ha altresì rinvenuto il fondamento logico-giuridico nella esigenza del M. di evitare, ove non fosse riuscito a reperire un acquirente entro la data indicata, un doppio trasferimento. Nel contempo, detta previsione – ha osservato il giudice di secondo grado – tutelava l’interesse della venditrice con la indicazione nel rogito del prezzo della vendita e del trasferimento del carico fiscale in capo al M. sin dal 1 gennaio 1996.

Deve, dunque, concludersi che sostanzialmente, al di là della invocazione delle norme ermeneutiche, la ricorrente abbia inteso, con la censura in esame, conseguire il risultato di una interpretazione del contratto per cui è causa diversa da quella fornita dal giudice di merito, operazione, codesta, inibita nella presente sede.

3.1. – Le suesposte argomentazioni danno conto, altresì, della infondatezza della seconda censura. Con essa si lamenta la incongrua ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonché la violazione degli artt. 1454 e 1460 cod. civ. Avrebbe errato la Corte di merito nella valutazione della condotta delle parti, finalizzata all’accertamento dell’adempimento o inadempimento agli obblighi assunti con la stipula del contratto preliminare. Partendo dall’erroneo presupposto che la posizione della C. sarebbe stata in contrasto con gli obblighi derivanti alla stessa dalla firma del contratto preliminare, il giudice di secondo grado aveva affermato che costei aveva, in giudizio, giustificato il proprio rifiuto di aderire alla richiesta del M. solo perché questi non aveva provveduto al pagamento del prezzo, laddove una tale asserzione non era stata mai pronunciata dalla donna, la quale si era, invece, sempre dichiarata disponibile all’adempimento del preliminare, sempre che questo consistesse solo nella obbligazione assunta di vendere l’appartamento. Del resto, il M., dopo essersi impegnato a stipulare il contratto definitivo, era stato sicuramente inadempiente, avendo lasciato scadere il termine imposto dalla venditrice.

3.2. – La censura risulta, invero, incentrata sul presupposto che la condotta della C. fosse conforme agli obblighi assunti con il preliminare, che non avrebbe contenuto la previsione del rilascio al M. della procura a vendere in alternativa alla stipulazione del contratto definitivo di compravendita: presupposto che, alla stregua di quanto rilevato sub 2.3. circa la correttezza logico-giuridica della interpretazione del contratto operata dalla Corte territoriale, si rivela infondato.

4. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In ossequio al criterio della soccombenza, le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi euro 4700,00, oltre ad euro 200,00 per spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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