Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 22-06-2011, n. 25048 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Barcellona P.G. sezione distaccata di Milazzo con sentenza del 25/5/2010 dichiarava I.P. colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 129 del 1959, artt. 6, 24. e 681 perchè intraprendeva una attività estrattiva abusiva, in difetto della prescritta denuncia di esercizio e senza avere nominato il direttore responsabile, in un’area di mq 4.000.00 circa, sita in Comune di (OMISSIS) e lo condannava alla pena di Euro 6.000.00 di ammenda, disponendo il mantenimento del sequestro preventivo sull’area de qua, fino al passaggio in giudicato della sentenza.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

-violazione dell’art. 516 c.p.p., commi 1 e 2, artt. 520 e 521 c.p.p. rilevando che il giudice ha modificato il capo di imputazione senza disporre la notifica del verbale di udienza all’imputato contumace:

errata valutazione delle emergenze istruttorie, che se correttamente analizzate, avrebbero permesso di escludere la sussistenza del contestato reato e consentito di pronunciare la assoluzione del prevenuto.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La argomentazione motivazionale adottata dal decidente si palesa del tutto logica e corretta.

Con il primo motivo viene eccepita la violazione dell’art. 516 c.p.p., commi 1 e 2, artt. 520 e 521 c.p.p. in quanto il giudice avrebbe modificato il capo di imputazione, potere questo attribuito in via esclusiva al p.m. peraltro, omettendo di disporre la notifica per estratto del verbale in cui è inserita la nuova contestazione all’imputato contumace, nel mancato rispetto del disposto di cui all’art. 520 c.p.p..

La doglianza è priva di pregio, visto che nella specie il decidente non ha proceduto ad alcuna modifica della imputazione o a muovere nuova contestazione, bensì, ferma la imputazione originaria quanto al fatto, e intervenuto con l’indicare la esatta normativa, regolante la fattispecie, ritenuta violata e ciò. di certo, non può essere causa delle eccepite nullità del provvedimento del 5.3.09 e della successiva sentenza, come sostenuto in ricorso.

Intatti, mentre la imputazione del fatto deve essere contestata all’imputato a pena di nullità, in forza dell’art. 521 c.p.p., comma 2 in relazione all’art. 522 c.p.p., la erronea qualificazione giuridica di esso deve, invece, sempre essere corretta dal giudice, che è tenuto a dare al fatto contestato la esatta "definizione giuridica" (ex plurimis Cass. 3/12/97. n. l1107).

Quanto alla ulteriore doglianza, attinente alla errata valutazione delle emergenze istruttorie, si ritiene di potere ravvisare il tentativo di procedere ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è precluso il riesame estimativo.

Esula infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 2/7/97 n. 6402).

Dal Vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la motivazione della gravata pronuncia emerge che il Tribunale ha svolto un discorso giustificativo compiuto e plausibile, applicando il giusto metodo di valutazione della prova: infatti, il decidente ha preso in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, verificando che essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una ricostruzione logica, armonica e consonante, tale da consentirgli, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, pervenendo, cosi, alla affermazione di responsabilità dell’ I. in ordine al reato ascrittogli.

Il giudice ha rilevato, preliminarmente, a giusta ragione, che all’imputato non è stata rilasciata alcuna autorizzazione a procedere alla estrazione di roccia dall’area in questione, sul punto richiamando le varie istanze avanzate dall’ I. agli enti preposti, nonchè i vari atti amministrativi resi dai Comuni di (OMISSIS) e in particolare, la nota del Distretto Minerario di Catania, del 21/11/05. con cui veniva negato alla ditta " I.P." il rilascio del titolo abilitativi alla apertura della cava.

Di poi lo stesso decidente ha riscontrato puntualmente i motivi avanzati dalla difesa, tendenti a rappresentare che il prevenuto non aveva posto in essere alcuna attività abusiva di estrazione, ma. al contrario, si era attivato per eliminare i rifiuti presenti nella cava, in ottemperanza a quanto disposto dall’Assessorato Territorio e Ambiente, con provvedimento del 21/9/05: il giudice di merito ha evidenziato la inconsistenza della tesi difensiva, che si pone in aperto contrasto con la piattaforma probatoria, da cui in maniera inconfutabile, è emersa la fondatezza dell’accusa mossa all’imputato.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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