Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 22-06-2011, n. 25038

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia con sentenza del 18/6/2010 ha dichiarato A.G., G.R., B.P. e B. G. responsabili del reato di cui al D.Lgs., art. 256, comma 2 perchè l’ A. gestendo una attività di allevamento avicolo, gli altri imputati tutti collaborando con costui, conferiva alla azienda agricola "Cereto Basso" circa 450 quintali di pollina non essiccata, rifiuto speciale non pericoloso, classificato con CER 02/01/2006 che venivano da detta azienda depositati, senza alcuna finalità agronomica, sui terreni individuali dal 11,37. mapp. 70 del Comune di Calcinalello. e condannava ciascuno degli imputati al pagamento di Euro 4.000.00 di ammenda.

Propongono ricorso per cassazione i prevenuti con i seguenti motivi:

– incostituzionalità del art. 256, commi 1 e 2, lett. A) del T.U. Ambiente rapportato all’art. 101, comma 7, lett. B) del medesimo decreto per violazione degli artt. 3 e 24 Cost..

– nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale relativamente alla mancanza di motivazione a sostegno della qualificazione come rifiuto della pollina, che con netta evidenza nella specie risulta destinata ad liso agronomico:

– errata valutazione delle emergenze istruttorie, che. se correttamente analizzate, avrebbero permesso di ritenere la destinazione della pollina all’uso agronomico, cosi da escludere la sussistenza del reato contestato.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

La motivazione della impugnata sentenza è sorretta da una argomentazione logica e corretta.

Infondata si rivela la eccezione di incostituzionalità del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 2, lett. A), sollevata in relazione all’ari. 101 del medesimo decreto, per la differenza oggettiva tra le acque retine provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che per loro natura non possono essere utilizzate a fini agronomici, contrariamente alle deiezioni animali, che. disperse sul terreno, hanno effetto fertilizzante. Tale differenza ha determinato una diversa regolamentazione delle fattispecie, anche dal punto di vista della sanzione in caso di violazione delle rispettive prescrizioni normative.

Con il ricorso, di poi si contesta che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che non fosse pregevole verificare la destinazione finale della pollina rinvenuta.

Sul punto il decidente ha evidenziato che l’ A. si serviva abitualmente per lo smaltimento della pollina di una ditta specializzata, in grado di recuperarla e trasportarla presso un impianto autorizzato.

All’epoca dei fatti la ditta che si occupava di detto smaltimento aveva avuto dei problemi che le impedivano di operare con l’ A. il quale, non avendo disponibilità di terreni che gli consentissero uno spandimento agronomico, aveva deciso, previo accordo con il B.P., di conferire la pollina gratuitamente alla azienda "Cereto Basso".

A giusta ragione il Tribunale osserva che non rileva stabilire, nella specie, se vi è stato o meno il rispetto sostanziale delle regole poste a presidio dell’ambiente, poichè la norma incriminatrice intende innanzitutto evitare che vengano tenuti comportamenti in assenza o in difformità di autorizzazione pregiudicando in tal modo il controllo e il governo del territorio da parte della P.A. cui deve essere sempre assicurata una immediata informazione e una preventiva valutazione delle attività potenzialmente pregiudizievoli per il suolo, anche per evitare possibili abusi.

Dalle risultanze istruttorie è emerso che il G., titolare della Cereto Basso non aveva curato l’aggiornamento del PUA e che dunque, lo stesso non era in attesa della pratica amministrativa al momento del sopralluogo dei funzionari dell’ARPA. Conseguentemente il letame era da considerarsi a tutti gli effetti un "rifiuto", D.Lgs. n. 15 del 2006, ex art. 256 e in caso di spandimento abusivo non sarebbe stata valutabile la finalità agronomica, proprio in dipendenza del predetto mancato aggiornamento del PUA. Rileva, altresì, il decidente, richiamando quanto dichiarato dal funzionario dell’ARPA P.. che presso la Cereto Basso non erano stati adottati gli accorgimenti previsti per lo stoccaggio dei rifiuti organici, in quanto la pollina era stata riposta sul terreno nudo e non invece, sopra una platea in cemento, provvista di cordoli di contenimento e relativo pozzetto di scolo, con il rischio che in caso di piaggia il letame confluisse nel sottosuolo e contaminasse le falde.

La stessa P. ha ritenuto di potere affermare che la pollina non fosse destinata a finalità di concimazione, ma che fosse stata provvisoriamente depositata in quel luogo in attesa di trasferirla in altro sito.

Ulteriore elemento a conferma della fondatezza della accusa mossa ai prevenuti è indicato dal Tribunale nelle dichiarazioni del consulente della azienda, l’agronomo Z.G., il quale ha riferito di avere avvertilo il G. della necessità di aggiornare il PUA e di ottenere la necessaria autorizzazione, prima di riceversi la pollina dall’ A..

Il giudice di merito, sulla base di tali rilievi, ha affermato, sviluppando un discorso giustificativo compiuto e plausibile, la responsabilità penale dell’ A. del G., del B. P. e del B.G., ritenendoli tutti coinvolti, per loro stessa ammissione, nella operazione non autorizzata.

Devesi rilevare inoltre, che con il ricorso si tende a procedere ad una analisi rivalutativa della piattaforma probatoria, su cui al giudice di legittimità è precluso ogni riesame estimativo.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, singolarmente, al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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