Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 22-06-2011, n. 25035 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Bergamo, sezione distaccata di Grumello del Monte, ha affermato la colpevolezza di P. M. e R.M. in ordine al reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 lett. a), loro ascritto, perchè, in qualità di legali rappresentanti della ditta Santa Monica di Rota Monica Giovanna & C. s.n.c., effettuavano attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da rottami di cavi elettrici, in mancanza di efficace autorizzazione o comunicazione. In particolare, la comunicazione di avvio di attività non era seguita dal prescritto nulla osta comunale.

Il giudice di merito ha accertato in punto di fatto che la comunicazione di inizio attività inviata dalla ditta alla Provincia di Bergamo in data 7.9.2005 non era completa di tutta la documentazione necessaria, non avendo la predetta ditta ottenuto, pur avendolo richiesto, il nulla osta del Comune di Grugliasco. In data 14.11.2006 la ditta Rottamaio aveva conferito alla ditta Santa Monica un carico di rifiuti, costituiti da rottame di cavo elettrico, allorchè il Comune di Grugliasco non aveva ancora rilasciato il nulla osta.

La sentenza ha inoltre dato atto che con L. del 7 aprile 2007 la Regione Lombardia ha sostituito il nulla osta comunale con una dichiarazione di inizio attività, statuendo altresì che le richieste di nulla osta già presentate ed il cui iter non era ancora concluso dovevano essere considerate, a tutti gli effetti, dichiarazioni di inizio attività. A seguito della entrata in vigore della nuova normativa la ditta Santa Monica aveva anche presentato, in via cautelativa, una dichiarazione di inizio attività, con il conseguente completamento della documentazione richiesta dalla Provincia.

Sulla base delle citate risultanze la sentenza ha affermato che alla data in cui erano avvenuti i fatti di cui alla contestazione il procedimento amministrativo, all’epoca necessario per la liceità della attività di recupero rifiuti, non era completo con la conseguente sussistenza della fattispecie contravvenzionale ascritta agli imputati.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore degli imputati, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con un unico mezzo di annullamento i ricorrenti denunciano la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), e art. 2 c.p., nonchè mancanza ed illogicità della motivazione della sentenza.

In estrema sintesi i ricorrenti, dopo aver esposto le stesse risultanze fattuali accertate dalla sentenza, osservano che a decorrere dall’entrata in vigore della L.R. Lombardia n. 8 del 2007 non è più richiesto il nulla osta comunale per lo svolgimento di attività di recupero di rifiuti non pericolosi, essendo all’uopo sufficiente la dichiarazione di inizio attività produttiva. Il fatto loro ascritto, pertanto, non è più previsto dalla legge come reato, con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto applicare, ai sensi dell’art. 2 c.p., le disposizioni più favorevoli successivamente intervenute. Il ricorso non è fondato.

La sentenza impugnata ha correttamente osservato che il termine di novanta giorni dalla comunicazione di inizio attività alla provincia competente, al cui decorso è subordinata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 216 la possibilità di svolgere attività di recupero dei rifiuti con procedura semplificata, deve riferirsi all’ipotesi in cui la documentazione inottrata alla provincia, unitamente alla comunicazione, sia completa di tatti gli elementi richiesti dall’amministrazione territorialmente competente.

Detta documentazione, nel caso in esame, non era completa, stante la carenza del nulla osta comunale all’epoca dei fatti richiesto dalla provincia.

Osserva, quindi, il Collegio che è stato già affermato da questa Suprema Corte in relazione a fattispecie, seppure diversa, ma compatibile con il principio di diritto da applicarsi nel caso in esame, che "La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (art. 2 cod. pen.) non si applica alla variazione nel tempo delle norme extra-penali e degli atti o fatti amministrativi che non incidono sulla struttura essenziale e circostanziata del reato, ma si limitano a precisare la fattispecie precettiva, delineando la portata del comando, che viene a modificarsi nei contenuti a far data dal provvedimento innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente commesso, sicchè il relativo controllo sanzionatorio va effettuato sulla base dei divieti esistenti ai momento del fatto". (sez. 3, 12.3.2002 n. 18193, Pata, RV 221943; cfr. anche per un interpretazione estensiva del principio di diritto più in generale alle norme penali in bianco: sez. 3, 16.10.2007 n. 43829, Idri, RV 238262; sez. 1, 16.5.2006 n. 19107, Tortora, RV 234217).

Orbene, la Corte ritiene pienamente condivisibile il citato principio di diritto, permanendo il disvalore sociale della condotta del trasgressore nell’ipotesi di violazione di norme del procedimento amministrativo da cui dipende l’autorizzazione all’esercizio di una determinata attività, che altrimenti costituisce illecito penale;

norme regolamentari che siano state successivamente modificate.

Con riferimento al caso in esame deve essere, pertanto, affermato che al procedimento amministrativo relativo alla autorizzazione alla gestione di rifiuti ovvero alle disposizioni che disciplinano la procedura semplificata non si applica il principio di retroattività della legge più favorevole ex art. 2 c.p., comma 4.

A ben vedere, infatti, non si può neppure affermare che le disposizioni relative a detto procedimento integrino direttamente una norma penale in bianco, essendo la struttura essenziale della fattispecie contravvenzionale prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 adeguatamente circostanziata, ma rilevano solo al fine di rendere configurabile la situazione di fatto le cui conseguenze sono sanzionate dalla norma penale.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna singolarmente i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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