Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-05-2011) 22-06-2011, n. 25142 Affidamento in prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata in data 15 ottobre 2010, depositata in cancelleria il 20 ottobre 2010, il Tribunale di Sorveglianza di Palermo rigettava l’istanza avanzata nell’interesse di G. M. volta a ottenere la misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova (in casi particolari) D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ex art. 94.

Il giudice in particolare argomentava che il richiedente si profilava quale soggetto proclive a delinquere, giuste le numerose condanne subite che portavano, per la loro gravita e natura, a dubitare della riconducibilità delle stesse al mero stato di tossicodipendente, atteso peraltro che le forze dell’ordine, a ciò interpellate, avevano segnalato che il G. era sospettato di appartenere alla criminalità organizzata. Inoltre la relazione di sintesi redatta dalla Casa Circondariale di Palermo segnalava scarse capacità critiche del soggetto e la sua non adeguata percezione del disvalore degli atti illeciti compiuti. Infine non era da escludersi la mera strumentalità della richiesta avanzata.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore, ha interposto tempestivo ricorso per cassazione il G. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. Il giudice non aveva tenuto conto che il ricorrente aveva già ottenuto gli arresti domiciliari presso quella stessa comunità ove ora ha richiesto di svolgere la misura, erroneamente altresì indicando una fine pena più lungo. Inoltre la connotazione di strumentalità contrastava con la misura di tipo residenziale, in una città, Messina, inoltre, al di fuori del territorio di Palermo, ove poteva essere ricollegata la pericolosità del soggetto.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

3.1. – Questa Corte di legittimità ha più volte ribadito il principio secondo cui la pericolosità rende inidonea la misura ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94. Il legislatore, con la L. n. 49 del 2006, proprio in riferimento all’istituto dell’affidamento terapeutico, disciplinato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94, prevede infatti al comma 4 che tale programma debba assicurare la prevenzione dei reati, così uniformandosi alla giurisprudenza di questa Corte, che più volte aveva segnalato come il giudice, ben lungi dall’accettare supinamente il programma stesso, dovesse valutare la pericolosità del condannato, la sua attitudine a intraprendere positivamente un trattamento, al fine di garantire un effettivo reinserimento nel consorzio civile (cfr. Cass., Sez. 1^, 4 aprile 2001, Di Pasqua; Sez. 1^, 10 maggio 2006, n. 18517). Questa condizione negativa rende sufficiente il diniego della richiesta in parola e corrobora la motivazione indicata dal giudice di merito.

Inoltre va osservato che il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94), nelle più recente versione offerta dal D.L. 30 dicembre 2006, n. 272, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2006, n. 49, ha sottoposto la concessione dell’affidamento in prova in casi particolari a condizioni sicuramente più rigide rispetto al passato e tali da impedire un ricorso strumentale all’istituto al fine di ottenere benefici altrimenti non concedibili, specie in relazione a scadenze di pena che non consentono la concessione di altre misure alternative. Ferma restando la natura discrezionale del provvedimento, l’art. 94 citato richiede, ai fini dell’ammissione al beneficio, oltre al fatto che la domanda provenga da un condannato tossicodipendente o alcooldipendente, anche che questi abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottacersi e che alla domanda sia allegata una certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata accreditata attestante lo stato di tossicodipendenza o di alcooldipendenza, la procedura con la quale è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche, l’andamento del programma concordato eventualmente in corso e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato (comma 1).

E’ altresì del resto giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità (Cass., Sez. 1, 24 maggio 1996, Bartolomeo) ritenere che l’istituto persegua l’obbiettivo non tanto di creare una nuova figura di misura alternativa, quanto piuttosto di ampliare e parzialmente modificare l’ambito applicativo della ordinaria misura dell’affidamento in prova di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 47.

La Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 32 Cost., della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 67, in relazione alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 bis e successive modificazioni, nonchè al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94, ha chiarito che la ratio dell’affidamento "terapeutico" di persona tossicodipendente o alcooldipendente, è quella appunto di perseguire la cura del reo, per cui il programma di recupero assume un ruolo di centralità nella applicazione della misura vista sempre nell’ottica di un affrancamento del soggetto vuoi dalla droga e/o dall’alcool vuoi dal mondo della devianza. Ne consegue che, a fronte di una valutazione a priori di pericolosità del condannato, il programma terapeutico diviene di per sè inidoneo ad arginare, per sua natura, le attitudini criminose del soggetto, posto che la riuscita del progetto di recupero dipende dalla collaborazione del medesimo interessato, negata in radice dalla sua stessa condizione di persona pericolosa.

3.2. – Ciò posto deve osservarsi che, alla luce di questi principi, il giudice dell’esecuzione, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha valutato negativamente la posizione del prefato valorizzando la sua biografia delinquenziale e le note provenienti dalle forze dell’ordine che evidenziavano un allarmante collegamento (attuale) con la criminalità organizzata che, certamente, non poteva venir meno per il solo fato che fosse stata scelta una città (Messina) in luogo di un’altra (Palermo) per l’espletamento della misura, esame che ha rafforzato il giudizio negativo già di per sè derivante dalla valutazione della personalità del soggetto quale lumeggiata dai suoi precedenti penali per reati che sono espressione di intolleranza alle regole del vivere civile.

Il giudice dell’esecuzione ha altresì correttamente valutato la genericità della documentazione prodotta dall’istante ritenendola non solo minusvalente rispetto al sep-pur positivo quadro trattamentale sino ad oggi ottenuto, ma anche meramente strumentale ai fini di accedere all’invocato beneficio. Queste considerazioni non sono vanificate dalle censure espresse in gravame che si profilano o infondate (circa la mancata rilevazione da parte del giudice che la comunità era già stata utilizzata dal richiedente) o meramente rivalutative (la non strumentalità della richiesta) o irrilevanti (la fine pena sarebbe in realtà più prossima).

4. – Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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