T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 27-06-2011, n. 1182 Edilizia e urbanistica Giudicato amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’atto introduttivo del giudizio, la curatela fallimentare della Società P.P. a r. l. agiva innanzi a questo Tribunale, a seguito di sentenza del Tribunale di Napoli – II Sezione Civile – n. 33/2004, declinatoria della giurisdizione del G. O. a conoscere dell’istanza risarcitoria, ivi azionata; la pretesa traeva origine da una procedura espropriativa, posta in essere dalla ex Casmez, divenuta illegittima, secondo la ricorrente, per l’inutile decorso del termine finale per la definizione della medesima; in particolare, la società ricorrente, già proprietaria di un fondo, sito in agro di Salza Irpina (AV), alla località Foresta e Ponticelli, della superficie complessiva di circa cinque ettari, catastalmente individuata al fol. 3 del predetto Comune, relativamente al quale era stata autorizzata dalla Regione Campania ad effettuare scavi nella cava di calcare, ubicata in loc. Foresta, premesso d’aver iniziato lo sfruttamento della predetta cava, facendo ricorso al credito per acquistare i moderni macchinari necessari, nonché premesso che, essendo stato intanto approvato il progetto, relativo all’arteria di scorrimento veloce Avellino – Lioni, che lambiva, in un tratto, la cava in questione, s’era vista respingere l’istanza di rinnovo dell’autorizzazione, a causa del mancato rispetto delle distanze tra la cava e l’intanto realizzato tracciato della strada a scorrimento veloce, di cui sopra; premesso, ancora, che la Casmez, con i cui fondi la strada era stata realizzata, aveva proceduto all’occupazione delle particelle n. 149, 154, 156 e 150 di sua proprietà, per un totale di circa un ettaro di terreno, al fine della realizzazione dell’opera pubblica, successivamente ridotta a mq. 6.300, a cagione dell’esclusione della p.lla 150, e che l’indennità di esproprio era stata determinata, dall’U. T. E. della Provincia di Avellino, in complessive Lire 18.050.000, oltre all’indennità d’occupazione ancora da calcolare; rappresentava che, con atto d’opposizione del 21.10.1991, aveva convenuto in giudizio, innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, l’ex Casmez, divenuta intanto Asmez, nonché il Ministero dei Lavori Pubblici, contestando la legittimità della procedura di esproprio ed il calcolo della relativa indennità; che, nelle more del giudizio, era intervenuto il decreto definitivo d’esproprio, notificato, tuttavia, in data 26.01.1993, oltre il termine finale della procedura, fissato al 4.02.1992; d’avere, allora, abbandonato il giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Napoli, "divenuto inutile per effetto della conclamata illegittimità della procedura espropriativa", e, con atto di citazione del 2.10.1993, aveva convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale d’Avellino, l’Asmez, chiedendo il risarcimento dei danni, derivati dall’illegittima, a suo avviso, procedura in questione; che l’Agensud, intanto subentrata all’Asmez, aveva eccepito l’incompetenza funzionale del Tribunale di Avellino, dovendo la causa essere incardinata nel Foro Erariale, rappresentato dal Tribunale di Napoli, sede dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, procuratrice e domiciliataria ex lege dell’Asmez nel distretto della Corte d’Appello di Napoli; che, intanto, era stata disposta c. t. u., che aveva accertato un danno, per la società attrice, pari a Lire 303.277.051; che, nelle more di tale giudizio, la società P. era stata dichiarata fallita, ed il giudizio era stato proseguito dalla curatela fallimentare, a tanto autorizzata dal Giudice delegato; che, con sentenza in data 8.07.2000, il Tribunale d’Avellino aveva rigettato l’eccezione, relativa alla competenza del Foro Erariale, ma che tuttavia, con ordinanza in data 27.02.2000, avendo rilevato che era venuta meno la capacità di stare in giudizio dell’ex Casmez – Asmez – Agensud, aveva interrotto il processo e disposto l’integrazione del contraddittorio, nei confronti del Ministero dei Lavori Pubblici e indicato la necessità di riassumere il processo innanzi al Tribunale di Napoli, competente funzionalmente, sussistendo nei confronti del Ministero, diversamente che per la Casmez, la necessità dell’applicazione delle disposizioni sul Foro Erariale; che, pertanto, il giudizio era stato riassunto, innanzi al Tribunale di Napoli che peraltro, con la sentenza n. 33/2004, aveva dichiarato la giurisdizione del G. A. a conoscere della presente controversia; che detta sentenza era stata notificata alla controparte in data 14.07.2004, e che, non essendo stata impugnata, era passata in giudicato, per quanto concerneva la declaratoria sulla giurisdizione; tanto premesso in via di fatto, la ricorrente curatela articolava i seguenti motivi di ricorso:

Sull’illegittimità dell’intera procedura espropriativa: come già riferito sopra, la procedura espropriativa, posta in essere dall’ex Casmez, era divenuta illegittima, per l’inutile decorso del termine finale per la sua definizione; il decreto d’esproprio era stato, infatti, emesso in data 3.12.1992 e notificato il successivo 26.01.1993, laddove il termine finale era scaduto il 4.02.1992; l’illegittimità della procedura espropriativa discendeva, inoltre, "dalla natura usurpativa dell’occupazione, essendo ampiamente decorsi i termini di occupazione legittima, senza che le opere fossero completate e senza che fosse reiterata la dichiarazione di p. u."; ne derivava, in ogni caso "la non applicabilità della l. 359/92 e succ." e, quindi, tutte le indennità andavano "liquidate per intero"; sulle somme dovute, andavano poi calcolati gli interessi e la rivalutazione monetaria, al soddisfo; l’illegittimità dell’esproprio schiudeva la porta "all’azione di risarcimento dei danni, da quantificarsi senza tenere conto dell’esistenza della procedura espropriativa", danni che s’erano "definitivamente materializzati, con la trasformazione irreversibile del suolo di proprietà della società P.";

Sul risarcimento del danno: i danni arrecati, dall’occupazione dei 10.000 (poi ridotti a 6300) mq., all’attività di sfruttamento della cava di calcare, esercitata dalla società ricorrente, fino a determinarne la chiusura, erano stati quantificati, nella c. t. u. disposta innanzi al Tribunale di Avellino, in Lire 303.277.051, con riferimento al valore del fondo all’emissione del decreto di esproprio, del 3.12.1992, e rivalutati al 23.10.1997; ma detta quantificazione era stata, a parere della curatela, "erroneamente ridotta, in applicazione della l. 359/92".

La ricorrente formulava, infine, istanze istruttorie; in particolare, pur ritenendo che l’allegazione della c. t. u., resa nel giudizio civile, innanzi al Tribunale di Avellino, integrasse piena prova dei danni dalla medesima subiti, essendo stata disposta dal giudice civile ed espletata nel contraddittorio delle parti, pur tuttavia, ove il Tribunale amministrativo lo avesse ritenuto necessario, se ne chiedeva la rinnovazione nel presente giudizio.

In ogni caso, la ricorrente chiedeva l’acquisizione dell’originale della predetta consulenza tecnica d’ufficio, con gli allegati ed il relativo fascicolo di causa, svolta nel giudizio innanzi al Tribunale Civile di Avellino (n. 3466/93 R. G.), poi confluito nel procedimento concluso, innanzi al Tribunale di Napoli – Seconda Sezione Civile, con la prefata declaratoria di difetto di giurisdizione (n. 2093/2001 R. G.).

Si costituiva in giudizio, con memoria di stile, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza pubblica dell’11.11.2010, la Sezione ordinava incombenti istruttori, ritenendo opportuno che, in via preliminare, l’Amministrazione resistente depositasse in giudizio una documentata relazione di chiarimenti (in cui fosse ricostruito il profilo fattuale delle vicende, oggetto del ricorso) e prendesse motivata posizione su tutte le richieste, esercitate da parte ricorrente, ivi comprese le domande, afferenti il profilo della quantificazione dei danni, subiti dalla medesima; tanto, nel termine perentorio di gg. sessanta, decorrente dalla notificazione a cura di parte, ovvero dalla comunicazione, in via amministrativa, della stessa ordinanza, restando riservata ogni decisione in rito, merito e sulle spese, oltre che sulle istanze istruttorie, avanzate da parte ricorrente.

In adempimento del suddetto ordine istruttorio, era dapprima prodotta, in parte, la documentazione pertinente al ricorso, nell’interesse del resistente Ministero; indi l’Avvocatura dello Stato produceva articolata memoria difensiva, in cui preliminarmente negava che il decreto d’esproprio fosse stato adottato, come dedotto ex adverso, oltre il termine finale, coincidente con il 4.02.93, anziché con il 4.02.92, come affermato in ricorso; in via subordinata eccepiva la prescrizione dell’azione risarcitoria in esame, siccome proposta oltre un quinquennio dalla data dell’ultimo atto interruttivo, rappresentato dall’atto di citazione innanzi al Tribunale Civile di Napoli, prescrizione cui non ostava la salvezza degli effetti, sostanziali e processuali, legati alla suddetta citazione, posto che nel presente gravame la parte non aveva fatto menzione alcuna della volontà di riassumere il giudizio, conclusosi con la declinatoria della giurisdizione da parte del G. O.; in via ulteriormente gradata contestava la determinazione del danno, come operata dal c. t. u. nominato dal Tribunale di Avellino, nella perizia in atti; in particolare negava che la cava fosse effettivamente coltivata, sicché il valore del fondo ablato doveva essere parametrato sulla vocazione agricola dello stesso (era citata giurisprudenza della S. C:, a supporto); e su tale valore doveva poi calcolarsi l’indennità d’occupazione, nella misura degli interessi legali sul medesimo.

All’udienza pubblica del 26.05.2011, il ricorso era trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Ritiene preliminarmente il Tribunale che sia necessaria una premessa: l’oggetto del presente giudizio (identificato tramite i tre elementi tradizionali delle "personae", del "petitum" e della "causa petendi") consiste nell’azione, esercitata dalla curatela del fallimento della Società P.P. a r. l., contro il Ministero dei Lavori Pubblici (oggi Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), volta alla declaratoria dell’illegittimità della procedura d’esproprio, condotta dall’ex Casmez, relativamente all’area – di superficie pari a 6.300 mq. – corrispondente alle p.lle catastali n. 149, 154 e 156 del fol. 3 del Comune di Salza Irpina, di proprietà della suddetta società, ed alla condanna dell’Amministrazione al risarcimento "dei danni tutti subiti dalla società P. e per essa dalla Curatela fallimentare e, quindi, al pagamento di tutte le indennità dovute, sia per l’occupazione legittima che illegittima, sia per l’ablazione definitiva, con interessi e rivalutazione al soddisfo e con ogni conseguenza, anche in ordine alle spese del presente giudizio".

L’azione, per così dire principale, esercitata dalla ricorrente, è rivolta ad ottenere, in pratica, ex art. 2043 cod. civ., il risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittima – in tesi – ablazione del bene di proprietà della società, poi dichiarata fallita.

Ciò presuppone, ovviamente, l’accertamento che la P. A. procedente ha posto in essere una condotta illecita, generatrice di danno ingiusto e pertanto, in primis, come del resto si ricava dalla stessa articolazione del ricorso, l’accertamento dell’illegittimità della procedura espropriativa "de qua".

La predetta azione, così individuata, rientra sicuramente nella sfera giurisdizionale del G. A., come correttamente statuito dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Napoli.

Cfr., in proposito, la seguente massima: "La controversia avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno relativa all’illegittima occupazione del terreno di proprietà della ricorrente, a seguito della vana scadenza del termine assegnato per l’emissione del decreto di esproprio, ha ad oggetto comportamenti dell’Amministrazione connessi all’esercizio dei pubblici poteri che, in considerazione delle previsioni dell’art. 34, d. lg. n. 80 del 1998 e dell’art. 53, d. P. R. n. 327 del 2001 e sulla base dei principi sanciti dalla Corte costituzionale con le sentenze 6 luglio 2004 e 11 maggio 2006 n. 191, è devoluta alla giurisdizione del g. a." (T. A. R. Calabria Catanzaro, sez. I, 15 aprile 2010, n. 467).

Diversamente si deve ritenere – come meglio emergerà dal seguito della motivazione – per altre azioni, che la ricorrente ha cumulato nello stesso atto introduttivo del presente giudizio, vale a dire quelle rivolte al pagamento ed alla quantificazione sia dell’indennità da occupazione legittima, sia dell’indennità d’esproprio (definita in ricorso come indennità "da ablazione definitiva" del bene).

Ma di tali profili si tratterà più diffusamente in seguito.

Concentrando per ora l’attenzione alla domanda, per così dire principale, esercitata nel presente giudizio, osserva il Collegio come la ragione dell’illegittimità della procedura espropriativa sia stata ravvisata, dalla curatela ricorrente, unicamente nel superamento, da parte dell’Amministrazione, del termine finale per l’emissione del decreto definitivo d’esproprio.

S’è affermato in ricorso, in particolare, che la stessa Avvocatura Erariale, nell’effettuare il computo del termine finale per il compimento degli atti espropriativi, l’aveva individuato nella data del 4.02.1992, laddove il decreto d’esproprio era stato emesso in data 3.12.1992 e notificato il successivo 26.01.1993, e quindi circa un anno dopo il prefato "dies ad quem".

S’è precisato, sempre nell’atto introduttivo del giudizio, che "la dichiarazione di p. u. costituisce l’indefettibile punto di partenza della procedura espropriativa ed è indissolubilmente collegato ai termini iniziale e finale per l’esecuzione dell’opera pubblica; decorso il termine finale, senza che l’opera sia eseguita o completata, cessa la dichiarazione di pubblica utilità e l’occupazione si trasforma in usurpativa, con tutte le conseguenze che ne derivano".

Occorre, quindi, anzitutto verificare se effettivamente, come dedotto in ricorso, il decreto d’esproprio sia stato emesso, oltre il termine finale per il compimento degli atti espropriativi.

Nella memoria in atti, l’Avvocatura Erariale ha negato che detto presupposto si sia, in realtà verificato, ed ha sostenuto, viceversa, la tempestività del decreto d’esproprio, posto che "al termine quinquennale, decorrente dalla data di occupazione dei suoli, avvenuta il 4.02.1983 (v. pag. 7 della relazione del c. t. u., ing. Vitulano), andava aggiunta la durata delle proroghe delle occupazioni in corso, disposte con le leggi 1.03.1985 n. 42 (un anno), 29.02.1988 n. 47 (due anni) e 2.05.1991 n. 158 (due anni), sicché il termine per le espropriazioni andava a scadere dopo un decennio dall’occupazione e, quindi, il 4.02.1993 (e non il 4.02.1992, come riportato, per evidente errore materiale, nella comparsa" dell’Avvocatura dello Stato di Napoli, depositata il 6.04.2001 nel giudizio civile, riproposto dinanzi a quel Tribunale, quale foro erariale).

Orbene, la ricostruzione del termine finale per il compimento degli atti espropriativi, effettuata dall’Avvocatura dello Stato, appare corretta.

E valga il vero: dalla relazione di consulenza tecnica dell’ing. P. Vitulano, costituente l’all. 4 del ricorso introduttivo del presente giudizio, si ricava che "in data 4.02.1983 la Casmez procedeva alla occupazione dei terreni oggetto di controversia, necessari per la realizzazione della strada a scorrimento veloce Avellino – Lioni, secondo quanto previsto dal piano particellare grafico e descrittivo di occupazione, approvato dal C. d’A. il 14.12.1978", e che "in data 3.12.1992 il Prefetto di Avellino decretava e pronunciava a favore dell’Agenzia per il Mezzogiorno l’espropriazione autorizzando l’occupazione permanente degli immobili siti nel Comune di Salza Irpina ed oggetto del presente giudizio".

Tale data del 3.12.1992 segnava in particolare, per il c. t. u., la data di irreversibile trasformazione dei fondi (come si ricava dall’esame del capitolo della consulenza, intitolato: "Risposte ai quesiti").

Dalla data dell’occupazione dei fondi de quibus (4.02.1983) alla data dell’espropriazione definitiva (3.12.1992), erano quindi decorsi nove anni e dieci mesi.

Ebbene, rileva il Collegio che il calcolo del termine finale di legge per l’emanazione del decreto d’esproprio, deve comprendere peraltro, oltre ai primi cinque anni, stabiliti nel decreto d’occupazione d’urgenza (ex art. 20, comma secondo, della l. 865/71), le proroghe ex lege, disposte:

a) dall’art. 1, comma 5 bis, della l. 42/1985 ("Per le occupazioni d’urgenza in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la scadenza dei termini di cui al secondo comma dell’articolo 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 è prorogata di un anno");

b) dall’art. 14 cpv. della l. 47/1988 ("Per le occupazioni d’urgenza in corso, la scadenza del termine, di cui al secondo comma dell’articolo 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, già prorogato dall’articolo 1, comma 5 bis del decreto legge 22 dicembre 1984, n. 901, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° marzo 1985, n. 42, concernente precedente proroga delle occupazioni d’urgenza, è ulteriormente prorogata di due anni");

c) dall’art. 22 della l. 158/1991 ("Per le occupazioni d’urgenza in corso, la scadenza del termine, di cui al secondo comma dell’articolo 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, da ultimo prorogata dall’articolo 14, comma 2, del decreto legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47, è ulteriormente prorogata di due anni").

Le tre proroghe legislative assommano, quindi, a cinque anni (uno + due + due), e aggiunte ai cinque anni, di cui al decreto d’occupazione d’urgenza, portano complessivamente il termine finale per il compimento degli atti espropriativi a dieci anni (cinque + cinque), con conseguente non superamento di detto termine finale, da parte della stessa P. A. (s’è visto sopra, infatti, come la definitiva ablazione della proprietà della ricorrente sia intervenuta a distanza di nove anni e dieci mesi dall’occupazione d’urgenza).

In materia deve tenersi, poi, necessariamente conto del disposto dell’art. 4 della l. 166/2002, secondo il quale:

"Le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza stabilite dall’articolo 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385, dall’articolo 1, comma 5 bis, del decreto legge 22 dicembre 1984, n. 901, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° marzo 1985, n. 42, dall’articolo 6 della legge 18 aprile 1984, n. 80, dall’articolo 1 del decreto legge 28 febbraio 1986, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 aprile 1986, n. 119, dall’articolo 14, comma 2, del decreto legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1988, n. 47, dall’articolo 1 del decreto legge 20 novembre 1987, n. 474, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1988, n. 12, dall’articolo 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, coordinate tra loro nelle scadenze, si intendono, con effetto retroattivo, riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti".

Al riguardo, in giurisprudenza è stato osservato quanto segue:

"In tema di espropriazione per pubblica utilità, le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni temporanee, disposte dal decreto legge n. 901 del 1984 (convertito nella legge n. 42 del 1985), dalla legge n. 534 del 1987 (convertito nella legge n. 47 del 1988) e dalla legge n. 158 del 1991, operano automaticamente, senza necessità di specifico provvedimento di proroga della P.A., in quanto esse, a differenza di quelle previste da precedenti disposizioni (legge n. 385 del 1980; decreto legge n. 396 del 1981, convertito nella legge 535 del 1981; decreto legge n. 298 del 1982, convertito nella legge n. 481 del 1982; legge n. 943 del 1982) si riferiscono alla scadenza del termine concretamente fissato dall’autorità amministrativa nel provvedimento di occupazione d’urgenza, attuandone il prolungamento, non già alla scadenza del termine massimo (quinquennale) di durata delle occupazioni d’urgenza, fissato dall’art. 20 della legge n. 865 del 1971" (Cass. Sez. I, sent. n. 7807 del 18.07.1995, Comune di Michelino c. Segre Amors (rv 493326).

Si tenga anche presente l’ulteriore massima, secondo la quale:

"In tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini di quanto stabilito dall’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, solo la scadenza del termine finale per il compimento dei lavori ha carattere perentorio, dovendo a tutti gli altri termini attribuirsi, invece, efficacia ordinatoria. Una tale interpretazione risulta avallata dall’art. 4 della legge 1 agosto 2002, n. 166, il quale – nel prevedere che le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza, stabilite dalle varie disposizioni di legge succedutesi in materia, coordinate tra loro nelle scadenze, si intendono, con effetto retroattivo, riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti – riferisce l’effetto di proroga anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio" (Cass. Sez. Unite, sent. n. 2630 del 08.02.2006 (ud. del 24.11.2005), Pallante c. Com. Avellino (rv. 586133).

Conforme a detta pronunzia delle SS. UU. la decisione della Cassazione civile, sez. I, del 28 aprile 2010, n. 10216, nella cui parte motiva è dato, in particolare, leggere quanto segue:

"La l. 1 agosto 2002, n. 166, art. 4 dispone che le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza stabilite dalle disposizioni di una serie di leggi specificatamente indicate (tra cui il D. L. n. 534 del 1987 convertito con l. n. 47 del 1988), e successivamente abrogate dal d. P. R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, coordinate tra loro, si intendono, con effetto retroattivo, riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti. Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che tale norma va interpretata nel senso che l’effetto di proroga già realizzato per le occupazioni d’urgenza investe anche i connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio. In tal senso depongono, infatti, sia la lettera della norma – che con l’avverbio anche (…"riferite anche"…) manifesta l’intento del legislatore di estendere gli effetti delle proroghe precedentemente disposte oltre i confini segnati dai termini di scadenza delle sole occupazioni di urgenza -, sia la ratio legis (giacché sarebbe inconcepibile il perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per l’emissione del decreto definitivo di esproprio) (Cass. 2630/06).

In altri termini, il legislatore ha voluto espressamente collegare alle proroghe delle occupazioni d’urgenza quelle per emanazione dei decreti d’esproprio.

Se, infatti, il decreto d’esproprio deve essere emanato entro il termine di occupazione d’urgenza è di tutta evidenza che prorogandosi quest’ultimo, deve necessariamente prorogarsi anche quello per l’emanazione del decreto di esproprio, altrimenti si verificherebbe che quest’ultimo avrebbe un termine più breve rispetto all’altro.

Questa Corte ha evidenziato anche ragioni di carattere sistematico che inducono a tale conclusione osservando che "le proroghe in questione furono infatti disposte dopo le sentenze della Corte Costituzionale del 30 gennaio 1980, n. 5, dichiarativa della illegittimità costituzionale, tra gli altri, della l. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 (comma 5, 6 e 7) e art. 20 (comma 3), come modificata dalla l. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 14, e del 19 luglio 1983, n. 223 (dichiarativa della illegittimità costituzionale delle norme della l. 29 luglio 1980, n. 385, reiterative delle disposizioni dichiarate incostituzionali con la precedente sentenza), in attesa della emanazione, relativamente alle aree a destinazione edificatoria, di una disciplina sostitutiva delle norme caducate (nelle more, trovava applicazione la l. n. 2359 del 1865, art. 39), poi disposta, fino all’emanazione di una disciplina organica della materia, dal D. L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, convertito dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, e successivamente dal d. P. R. 8 giugno 2001, n. 327, che ha anche abrogato le norme richiamate dalla l. n. 166 del 2002, art. 4, oltre che l’intero titolo 2A della pure citata L. n. 865 del 1971" (Cass. 2630/06)

"Orbene, poiché l’indennità di espropriazione presuppone la conclusione del relativo procedimento (diversamente, si avrebbe l’occupazione ed. usurpativa, e, quindi, un fatto illecito generatore di danno), la l. n. 166 del 2002, art. 4 – pressoché coevo all’entrata in vigore del citato testo unico del 2001, inizialmente fissata al 1 gennaio 2002 e poi prorogata al 30 giugno 2003 (D. Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302) – ha inteso sanare le situazioni pregresse anche agli effetti della definizione del procedimento espropriativo e, dunque, della determinazione della relativa indennità" (Cass. 2630/06).

Il medesimo principio è stato affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa: "L’art. 4 l. 1 agosto 2002, n. 166, nel prevedere che le proroghe dei termini di scadenza delle occupazioni di urgenza, stabilite dalle varie disposizioni di legge succedutesi in materia, coordinate tra loro nelle scadenze, si intendono riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti, riferisce l’effetto di proroga anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio" (T. A. R. Veneto, sez. I, 10 luglio 2006, n. 2002).

Nella specie, pertanto, posto che: "L’operatività dell’art. 4 della legge n. 166 del 2002, secondo cui le proroghe dei termini di occupazione d’urgenza disposte per legge, "coordinate tra loro nelle scadenze, si intendono, con effetto retroattivo, riferite anche ai procedimenti espropriativi in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti", presuppone che nelle proroghe di validità dei termini di occupazione non si sia verificata soluzione di continuità" (Cassazione civile, sez. I, 20 novembre 2006, n. 24576), occorre quindi verificare, ai fini della legittimità del decreto d’esproprio, se sia stato rispettato il termine finale per il compimento degli atti espropriativi, e se "nelle proroghe di validità dei termini di occupazione non si sia verificata soluzione di continuità".

La risposta ad entrambi tali quesiti è positiva: per il primo, valga quanto sopra rilevato, circa il mancato superamento del termine finale, essendo intervenuto il decreto d’esproprio dopo nove anni e dieci mesi dall’occupazione d’urgenza; quanto al secondo, s’osserva che l’occupazione d’urgenza, con durata quinquennale, disposta il 4.02.1983, è scaduta il 4.02.1988, con piena operatività, rispetto alla stessa, sia della proroga prevista dall’art. 1, comma 5 bis, della l. 42/1985 (applicabile alle "occupazioni d’urgenza in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto"), sia delle successive, portate dall’art. 14 cpv. della l. 47/1988 e dall’art. 22 della l. 158/1991 (entrambe applicabili alle "occupazioni d’urgenza in corso").

Dunque, il termine finale per il compimento delle operazioni espropriative "de quibus" è scaduto in dieci anni, decorrenti dalla data di occupazione d’urgenza (4.02.1983), vale a dire il 4.02.1993 (ne risulta confermato che la diversa indicazione del 4.02.1992, contenuta nella memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato di Napoli, era ascrivibile a mero errore materiale di calcolo).

Ma se così è, viene meno l’unico motivo di censura, sollevato dalla difesa della ricorrente curatela, avverso la legittimità della procedura espropriativa in esame, con conseguente affermazione della legittimità della medesima.

Nessun’altra doglianza è stata infatti espressa in ricorso, avverso la predetta procedura, attenendo ogni altra osservazione, in essa esposta, a problemi attinenti non già all’"an" dell’affermazione della responsabilità dell’Amministrazione (da ritenersi insussistente, giusta quanto sinora rilevato), bensì al "quantum" della stessa, ovvero alla misura del risarcimento dei danni, da corrispondersi alla medesima ricorrente.

Ci si riferisce, in particolare, alla censura sub 2), nella quale parte ricorrente ha osservato come l’occupazione del terreno di sua proprietà, da parte della Casmez, avesse determinato l’effetto della chiusura della cava di calcare ivi esistente, ed ha richiamato, ai fini della quantificazione del danno asseritamente subito, la citata consulenza tecnica d’ufficio espletata, nel corso del giudizio civile dinanzi al Tribunale di Avellino, dall’ing. Vitulano (che aveva "accertato un danno di Lire 303.277.051").

Orbene, la pretesa del riconoscimento di tale voce di danno è stata collegata, in ricorso, all’indefettibile presupposto, rappresentato dall’avere l’Amministrazione posto in essere "un’illegittima procedura espropriativa"; ma l’unica ragione dell’illegittimità di detta procedura è stata, sempre e comunque, identificata nel superamento del termine finale per il compimento degli atti espropriativi.

La stessa consulenza tecnica espletata in sede di giudizio civile, infatti, lungi dall’affermare che la procedura espropriativa era illegittima, ha semplicemente offerto, alla valutazione di quel giudice, la cronistoria degli atti amministrativi, succedutisi nella vicenda "de qua" (nel capitolo della stessa, intitolato "Risposte ai quesiti", s’afferma: "in ordine al formulato quesito inerente l’iter tecnico amministrativo seguito dalla procedura di espropriazione, si precisa che l’elenco e la sequenza cronologica degli atti sono riportati nel precedente capitolo"), per poi soffermarsi sulla stima del fondo ablato, distinguendo le ipotesi della vocazione agricola od industriale (cava di calcare) dello stesso.

In pratica, la doglianza relativa ai danni, asseritamente subiti per la chiusura della cava di calcare (in disparte qualsivoglia considerazione, circa la sua fondatezza o meno) rappresenta un aspetto della vicenda, che non può evidentemente trovare alcuno spazio in questa sede, una volta accertata l’assenza delle condizioni, richieste dalla legge per la configurabilità, a carico della P. A. procedente, di un’obbligazione risarcitoria, e quindi di un titolo di responsabilità aquiliana (essendo, l’indagine del Tribunale, rigidamente delimitata dai motivi di ricorso, facenti perno, lo si ribadisce, unicamente sul dedotto, ma in realtà insussistente, superamento del termine finale di dieci anni – giusta le proroghe ex lege, succedutesi senza soluzione di continuità – per l’emanazione del decreto d’esproprio).

In conclusione, l’azione di risarcimento del danno da espropriazione illegittima, esercitata dalla curatela ricorrente, è infondata, per le ragioni dianzi dette.

Neppure può ovviamente spettare alla ricorrente curatela – per ovvie ragioni – l’indennità da occupazione illegittima, pure richiesta nell’atto introduttivo del presente giudizio, posto che alcuna occupazione illegittima s’è verificata, giusta quanto sopra rilevato, nella specie.

Stabilita l’infondatezza della domanda di risarcimento del danno azionata dalla curatela del fallimento, ne deriva l’irrilevanza delle istanze istruttorie, avanzate dalla medesima parte ricorrente (non essendo ovviamente necessario ripetere l’incombente istruttorio, costituito dall’espletamento di c. t. u.).

Ciò posto, relativamente a quella che, all’inizio, s’è definita come l’azione principale, esercitata dalla curatela ricorrente, occorre ora occuparsi delle ulteriori richieste, costituenti – accanto all’azione risarcitoria suddetta – il "petitum" del presente giudizio, vale a dire le azioni rivolte a conseguire: a) l’indennità da occupazione legittima; b) l’indennità d’esproprio propriamente intesa (definita in ricorso da "ablazione definitiva"), con ogni connessa questione, attinente alla determinazione della misura delle stesse.

Orbene, il Tribunale ritiene che tali ulteriori azioni siano estranee alla sfera di giurisdizione del G. A.

Si tenga presente, riguardo al riparto di giurisdizione, concernente la prima di dette indennità, la seguente massima: "Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l’azione con la quale i proprietari di un’area hanno chiesto la restituzione del fondo o in subordine il risarcimento dei danni, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell’indennità di occupazione legittima, senza che l’eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l’attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione" (Consiglio Stato, sez. IV, 4 febbraio 2011, n. 804).

Quanto alla seconda di tali indennità, del pari soccorre la giurisprudenza unanime dei giudici amministrativi, per la quale cfr., ex multis, la seguente decisione: "Spetta al g. o. ogni domanda inerente la misura dell’indennità dovuta al proprietario espropriato, considerato che l’eventuale erronea quantificazione dell’indennità non potrebbe, in ogni caso, inficiare la legittimità del provvedimento e/o delle convenzioni poste in essere dall’ente espropriante. Invero, la riserva al g. o. discende dall’art. 53 comma 3, d. P. R. n. 327 del 2001, in base al quale deve ritenersi tuttora applicabile la previsione di cui al comma 4 dell’art. 20, l. n. 865 del 1971 (ancorché formalmente abrogata dal Testo Unico del 2001) che recita: "Contro la determinazione dell’indennità gli interessati possono proporre opposizione davanti alla Corte d’appello competente per territorio, con atto di citazione notificato all’occupante entro trenta giorni dalla comunicazione dell’indennità a cura del sindaco nelle forme prescritte per la notificazione degli atti processali civili" (T. A. R. Calabria Catanzaro, sez. I, 16 settembre 2010, n. 2559).

Cfr., in argomento, anche l’ulteriore massima, secondo la quale: "In tema di controversie sull’indennità di espropriazione occorre distinguere l’ipotesi in cui manchi la determinazione dell’indennità da quella in cui detta determinazione vi sia e si faccia unicamente questione della congruità della misura; mentre la prima ipotesi è qualificabile come vizio di legittimità del decreto di espropriazione, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, la seconda integra la violazione di un diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario" (Consiglio Stato, sez. IV, 2 luglio 2002, n. 3606); e nella specie – come risulta dalla stessa narrativa del ricorso – non v’è dubbio che la determinazione dell’indennità di esproprio vi sia stata ("Per l’occupazione delle aree l’U. T. E. della Provincia di Avellino ha determinato l’indennità di esproprio per complessive Lire 18.050.000, oltre all’indennità d’occupazione da calcolare"), con conseguente esclusione, anche sotto tale residuale profilo, di ogni ipotesi di giurisdizione dei T. A. R.

Né tali conclusioni, in punto di declinatoria della giurisdizione del G. A., possono revocarsi in dubbio, sol perché il Tribunale di Napoli – Seconda Sezione Civile – con la sentenza n. 33/04, ha dichiarato – con decisione, non fatta segno d’impugnativa dalla curatela ricorrente – la giurisdizione del T. A. R.

Nella sentenza in questione, infatti, si legge testualmente:

"Rilevato che parte attrice ha inteso promuovere ex novo un’azione di risarcimento danni per occupazione appropriativa a seguito dell’irreversibile trasformazione del proprio fondo a seguito della realizzazione di un’opera pubblica allorché erano scaduti rispetto all’emissione del decreto d’esproprio i termini previsti nell’occupazione d’urgenza e nella dichiarazione di p. u.".

"Rilevato che la causa è stata introdotta nel 2001 allorché per effetto della pronuncia di cui all’art. 34 del d. lgs. n. 80/98 così come modificato dalla legge 205/2000, la materia dell’urbanistica è devoluta, anche per ciò che concerne i comportamenti della P. A., alla giurisdizione esclusiva del T. A. R.".

"Rilevato che in tema di occupazione appropriativa, la giurisdizione del G. A. è stata affermata sia dal Consiglio di Stato (cfr. C. di S. 14.12.02 n. 6394) nonché dalla Cassazione (cfr. Cass. Civ. 15.10.03 n. 15471".

Sulla base di tali argomenti, il G. O. dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, e indicava il T. A. R. come giudice competente a conoscere della controversia, in tal modo qualificata.

Ora, poiché la domanda di risarcimento del danno da espropriazione illegittima, per inutile decorso del termine di scadenza, fissato per l’emanazione del decreto d’esproprio, vale a dire l’azione, per così dire principale, esercitata da parte ricorrente, e rispetto alla quale (e soltanto rispetto alla quale) il Tribunale di Napoli ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, è stata testé respinta nel merito, ne discende che nulla osta alla declaratoria di difetto di giurisdizione di questo Tribunale Amministrativo Regionale, rispetto alle altre azioni che parte ricorrente ha inteso esercitare, congiuntamente alla suddetta azione da risarcimento, vale a dire le prefate domande tendenti a ottenere il pagamento dell’indennità d’esproprio e di quella d’occupazione legittima.

Esse si presentano infatti, giusta la giurisprudenza citata in precedenza, irriducibili alla sfera di giurisdizione del G. A. e sulle stesse dovrà quindi pronunziarsi, previa applicazione delle regole in tema di riproposizione del processo, dettate, ora, dall’art. 11 c. p. a., il giudice civile, fornito di giurisdizione in merito.

La soluzione è conforme, del resto, all’orientamento consolidato, in tema di limiti oggettivi del giudicato civile, secondo cui: "L’autorità del giudicato copre non solo il dedotto, ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, cioè non soltanto le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte le altre proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, le quali sebbene non dedotte specificamente costituiscono tuttavia precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito)" (Cassazione civile, sez. III, 14 gennaio 2000, n. 375).

Nella specie, in particolare, deve fondatamente escludersi che la spettanza delle indennità, la cui domanda parte ricorrente ha inteso cumulare nel presente giudizio (avente quale suo oggetto principale la declaratoria dell’illegittimità dell’espropriazione in oggetto), vale a dire quella da occupazione legittima e quella d’esproprio, abbiano rappresentato "precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia" surriferita, resa dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Napoli, circa la non spettanza, a quel giudicante, della giurisdizione circa la controversia, per così dire principale, relativa alla legittimità, o meno, della procedura espropriativa "de qua" ed alla conseguente spettanza, o meno, in favore della curatela, del risarcimento del danno per illegittima apprensione degli immobili, già di proprietà della società fallita.

Quanto al governo delle spese processuali, sussistono, per la peculiarità della presente fattispecie, giustificati motivi per dichiararle integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge la domanda di risarcimento del danno da espropriazione illegittima, proposta dalla ricorrente curatela fallimentare.

Dichiara inammissibili, per difetto di giurisdizione del G. A., le azioni volte a conseguire l’indennità da occupazione legittima e quella d’esproprio (ovvero da ablazione definitiva), indicando il G. O. come giudice, fornito di giurisdizione in merito.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2011, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Antonio Esposito, Presidente

Ferdinando Minichini, Consigliere

Paolo Severini, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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