T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 27-06-2011, n. 1181

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’atto introduttivo del giudizio, la ricorrente curatela fallimentare impugnava gli atti e provvedimenti specificati in epigrafe, avverso i quali articolava le seguenti censure:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 63 della l. 448/98; Difetto dei presupposti: il Consorzio A. S. I., non essendo l’originario cedente di tutte le aree, oggetto della deliberazione impugnata, avrebbe illegittimamente applicato la norma di legge sopra indicata, rispetto ad un fattispecie in cui i beni, oggetto dello stesso provvedimento, erano stati acquistati (in parte) da terzi e non dal Consorzio medesimo;

Violazione degli artt. 63 l. 448/98, 36 l. 317/91, 9, 11, 12, 15, 16, 17 e 19 d. P. R. 327/01 e 42 Cost.; Eccesso di potere per erroneità dei presupposti; Nullità della deliberazione; Insussistenza di elementi essenziali: mancanza di finalità intesa come interesse pubblico; assenza della dichiarazione di p. u.; Violazione del giusto procedimento e del diritto di partecipazione: anzitutto la ricorrente deduceva come, dall’esame "dell’intero testo della l. 448/98", emergesse che i soggetti, legittimati al riacquisto non erano tutti i consorzi industriali, bensì soltanto quelli che presentavano le caratteristiche, di cui all’art. 36 della l. 317/91, ovvero quelli relativi ad agglomerati industriali, compresi in aree caratterizzate da una elevata concentrazione di imprese industriali, laddove il Consorzio A. S. I. di Avellino, a differenza, ad es., di quello di Salerno, non sarebbe rientrato in detta categoria, "non essendo limitato ai sistemi produttivi locali"; la deliberazione impugnata, inoltre, non avrebbe adeguatamente rappresentato: a) le concrete ragioni di pubblico interesse che imponevano il riacquisto dell’area; b) le esigenze di sviluppo industriale, sottese a tale iniziativa; c) i requisiti che in concreto giustificavano l’iniziativa; d) le ragioni, per le quali s’esercitava la facoltà di riacquisto di una determinata area; infine, la stessa deliberazione non sarebbe stata preceduta da un atto, emanato nel rispetto delle garanzie partecipative, che dichiarasse espressamente la pubblica utilità del riacquisto, né sarebbe stato apposto, sui beni del fallimento I. s. p. a., "il vincolo preordinato alla riacquisizione";

Violazione dell’art. 63 l. 448/98; Insussistenza dei presupposti; Eccesso di potere; Sentenza Corte Cost. n. 314/2007; Assenza di un valido P. R. T. dell’A. S. I.; Violazione degli artt. 12 e 16 d. P. R. 327/2001 e degli artt. 7 e 8 l. 241/90: era dedotta la scadenza del Piano Regolatore Consortile del Consorzio A. S. I. d’Avellino, per decorso del termine decennale, non potendo, ad avviso della ricorrente, trovare applicazione, nella specie, le proroghe della validità dei piani regolatori delle aree di sviluppo industriale, disposte con varie leggi della Regione Campania, atteso l’intervento, in materia, della sentenza della Corte Costituzionale del 20 luglio 2007, n. 314; qualora, poi, il Consorzio A. S. I. avesse provveduto ad una reiterazione dei vincoli, ovvero all’adozione di un nuovo piano regolatore, sarebbe stata allora omessa la comunicazione, al fallimento ricorrente, dell’avviso, ex artt. 12 e 16 del T. U. 327/2001; qualora, infine, fosse stato ritenuto, diversamente da quanto sopra argomentato, sussistere un efficace vincolo, preordinato al riacquisto dell’immobile, allora la nota del Consorzio A. S. I. del 18.10.2005, prot. 3290, non avrebbe potuto ritenersi conforme, attesa la sua genericità, alle disposizioni di cui agli artt. 7 e 8 della l. 241/90;

Violazione dell’art. 63 l. 448/98, degli artt. 737 e ss. c. p. c. e degli artt. 20 e ss. d. P. R. 327/2001; Violazione dei principi del contraddittorio, del giusto procedimento e del giusto processo: era dedotta la violazione della citata norma della l. 448/98 la quale, attraverso il rinvio alle disposizioni del codice di rito civile, disciplinanti la nomina, con rito camerale, di un perito per la stima del valore dell’immobile, avrebbe dovuto garantire la partecipazione della curatela al subprocedimento in tal modo instaurato, in assenza della quale la deliberazione impugnata doveva considerarsi "radicalmente nulla ed inefficace";

Violazione dell’art. 63 l. 447/98, del R. D. n. 267/1942, delle preleggi e del principio "tempus regiti actum"; Violazione del principio dell’imputabilità e delle norme sulle procedure sanzionatorie amministrative; Difetto di motivazione; Arbitrarietà: la decurtazione dei contributi pubblici, operata unilateralmente dal Consorzio sull’indennità di riacquisto – quantificata nella deliberazione impugnata in Euro 661.559,72 – non sarebbe stata opponibile ai creditori del fallito (atteso che la declaratoria di fallimento era intervenuta prima dell’avvio della procedura di riacquisizione) e, quindi, alla curatela; si negava, anzi, in radice, che l’I. s. p. a. avesse fruito di detti contributi pubblici, per la realizzazione dello stabilimento industriale.

Si costituiva in giudizio il Consorzio A. S. I. di Avellino, con memoria difensiva, in cui replicava alle censure di controparte.

In data 11.12.08 la Sezione accoglieva la domanda cautelare avanzata dalla ricorrente, con la seguente motivazione: "Rilevato che, nelle more della definizione, nella più opportuna sede di merito, delle numerose e complesse questioni di diritto, sottese all’adozione dell’atto impugnato, appare intanto indispensabile, nella presente fase cautelare, evitare l’irreparabile pregiudizio dedotto da parte ricorrente, garantendo, con immediatezza, il completamento delle operazioni di bonifica del sito, da parte della curatela del Fallimento I. s. p. a." (ordinanza, poi confermata dal C. di S., Sezione Quinta, con ordinanza del 21.04.2009).

Seguiva il deposito di memorie difensive riepilogative, nell’interesse delle parti costituite.

Da ultimo, la difesa del Consorzio depositava un precedente giurisprudenziale della Prima Sezione di questo Tribunale Amministrativo Regionale (sentenza n. 11834/2010) con la quale era stato respinto un ricorso, fondato su censure analoghe a quelle, sollevate nel presente gravame.

All’udienza pubblica del 12 maggio 2011 il ricorso era trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

La presente controversia ruota intorno alla deliberazione (n. 2008/10/226) del 21 – 29 ottobre 2009, notificata il 30 ottobre 2009, con cui il Comitato Direttivo del Consorzio A. S. I. della Provincia di Avellino, ritenute non condivisibili le osservazioni, di segno contrario, formulate dalla curatela del Fallimento della I. s. p. a., decideva di esercitare la facoltà, prevista dall’art. 63 della l. 448/98, e, pertanto, di acquisire al patrimonio del Consorzio la piena proprietà dello stabilimento, già sede dell’attività industriale della prefata società, attività cessata da oltre tre anni (essendo stata, la medesima società, dichiarata fallita nel 1990); nonché di far proprie le conclusioni, contenute nella relazione di stima e nella successiva integrazione, redatte dal perito nominato dal Tribunale; di fissare l’indennizzo o prezzo per il riacquisto in Euro 661.529,72; di dare atto che la stessa delibera costituiva titolo per la trascrizione del trasferimento nei pubblici registri immobiliari, dando mandato al Conservatore dei R. I. di provvedere a tale adempimento, con esonero per lo stesso da ogni responsabilità.

La norma, di cui il Consorzio ha fatto applicazione nella specie, è l’art. 63 della l. 448/98, che, sotto la rubrica "Provvedimenti per favorire lo sviluppo industriale", testualmente recita:

1. "I consorzi di sviluppo industriale di cui all’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, nonché quelli costituiti ai sensi della vigente legislazione delle regioni a statuto speciale, hanno la facoltà di riacquistare la proprietà delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali nell’ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione.

2. Gli stessi consorzi di cui al comma 1 hanno altresì la facoltà di riacquistare unitamente alle aree cedute anche gli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati nell’ipotesi in cui sia cessata l’attività industriale o artigianale da più di tre anni.

3. Nell’ipotesi di esercizio delle facoltà di cui al presente articolo i consorzi dovranno corrispondere al cessionario il prezzo attualizzato di acquisto delle aree e, per quanto riguarda gli stabilimenti, il valore di questi ultimi come determinato da un perito nominato dal presidente del tribunale competente per territorio, decurtato dei contributi pubblici attualizzati ricevuti dal cessionario per la realizzazione dello stabilimento.

4. Le facoltà di cui al presente articolo possono essere esercitate anche in presenza di procedure concorsuali.

5. La Cassa depositi e prestiti è autorizzata a concedere mutui ai consorzi di sviluppo industriale per la realizzazione di infrastrutture industriali e per l’acquisizione di aree e di immobili da destinare agli insediamenti produttivi".

In disparte tale ultimo comma, che detta una facoltà, per i Consorzi di sviluppo industriale, che non rileva in questa sede, l’istituto del riacquisto, da parte di detti Consorzi, della proprietà "delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali" nonché, "unitamente alle aree cedute" anche degli "stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati" trova compiuta disciplina, nei primi quattro commi della disposizione in commento.

Occorre quindi sostanzialmente verificare, nella specie, la conformità dell’azione, intrapresa dal Consorzio, a tale parametro di fonte legislativa.

Ciò posto, vanno analizzate le censure della ricorrente curatela, iniziando dalla prima, secondo cui l’esercizio della facoltà di riacquisto in parola non sarebbe consentito, allorché, come nella specie, i terreni non fossero stati originariamente ceduti (per intero) dal Consorzio, ma fossero stati acquisiti dalla società (anche solo in parte) da terzi, con atti di trasferimento, stipulati in regime di libero mercato.

La tesi si fonda su un precedente di questo Tribunale, rappresentato dalla decisione n. 3040 del 2005, nella cui parte motiva è dato, relativamente a tale punto, leggere quanto segue:

" (…) Passando all’esame del merito, rileva il Tribunale che la Curatela Fallimentare lamenta in primo luogo l’inapplicabilità al caso di specie della previsione di cui all’articolo 63 della legge n. 448/1998, rilevando che le aree industriali per cui è causa sarebbero state acquistate direttamente da soggetti privati e non anche dall’ASI, onde questa, con il potere ablatorio esercitato, non potrebbe dar luogo ad un "riacquisto" delle aree, fattispecie costituente il presupposto indefettibile di applicabilità della norma.

La doglianza è fondata.

In tal senso depone, infatti, inequivocabilmente la lettera della legge.

Il primo comma dell’articolo 63 citato prevede che "i consorzi di sviluppo industriale….hanno la facoltà di riacquistare la proprietà delle aree cedute per intraprese industriali o artigianali nell’ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione". Il secondo comma aggiunge che "… hanno altresì la facoltà di riacquistare unitamente alle aree cedute anche gli stabilimenti ivi realizzati nell’ipotesi in cui sia cessata l’attività industriale o artigianale da più di tre anni".

Osserva il Tribunale che il termine "riacquisto" indica chiaramente che il soggetto che acquisisce la proprietà delle aree è soggetto che ritorna ad essere titolare delle stesse, riferendosi etimologicamente l’atto del riacquistare al recupero di ciò che in precedenza si era perduto e che dunque apparteneva al soggetto medesimo.

L’inciso "riacquistare….le aree cedute" conduce, dunque, necessariamente ad interpretare la disposizione normativa, nel senso che la facoltà prevista dall’articolo 63, in favore del consorzio ASI, risulta esercitabile dal medesimo (nel senso del riacquisto delle aree e degli stabilimenti) solo nell’ipotesi in cui sia stato questi originariamente a cedere le aree per intraprese industriali o artigianali.

Orbene, nel caso in esame si afferma in ricorso (e tale circostanza non è smentita dalla difesa del Consorzio) che "le aree in questione non sono state mai cedute dal Consorzio alla società CO.FI.MA., ma sono pervenute alla stessa per mezzo di un atto di acquisto in regime di libero mercato….", evidenziandosi altresì, che "né la CO.FI.MA., né la sua dante causa Califano e Panico s.p.a. sono state mai beneficiarie di alcuna assegnazione di aree da parte del Consorzio ASI".

Risulta, poi, depositato in giudizio l’atto pubblico di compravendita, rogato per notar Trotta Gustavo in data 31 marzo 1982, dal quale emerge che le aree ed il compendio industriale in contestazione sono stati effettivamente trasferiti alla CO.FI.MA. s.p.a. dalla società "Califano & Panico s.p.a.", la quale, a sua volta, ne era divenuta proprietaria per effetto di decreto di trasferimento del 22.12.1981, del giudice delegato al fallimento della società "Ceramica C.A.V.A. spa".

Da quanto sopra, dunque, alla luce degli atti e delle deduzioni di causa, il gravame risulta certamente fondato, rilevandosi la illegittima applicazione dell’articolo 63 citato ad una fattispecie in cui i beni oggetto del provvedimento erano stati ceduti da terzi e non anche dal Consorzio, con conseguente inconfigurabilità di un’ipotesi di "riacquisto" degli stessi, costituente presupposto indefettibile per il legittimo esercizio del potere previsto dalla norma (…)".

Tornando alla fattispecie oggetto dell’odierno esame, s’osserva, in punto di fatto, che le aree di cui all’Allegato A della predetta deliberazione risultano, solo per una parte, originariamente cedute dal Consorzio A. S. I. alla I. s.p.a., posto che altra parte del compendio era stata acquistata direttamente dalla società I. da terzi privati, mediante normali atti di compravendita, in regime di libero mercato.

Invero, come emerge dalle perizie di stima redatte dagli ingegneri Giovanni Mazzone e Giancarlo Iandolo il 5 aprile 1993 ed il 14 maggio 1993 (doc. n. 8 e 9), la cui elaborazione è stata disposta con decreto del 3.12.1992 dal Giudice delegato della Sezione fallimentare del Tribunale di Avellino, l’opificio in esame è stato realizzato su una superficie complessiva di mq 40.391, previa acquisizione degli immobili di cui agli atti seguenti:

1) atto di acquisto dagli Eredi Bilotta Alberto fu Vincenzo, per Notaio Pesiri, del 4 luglio 1983, registrato il 18 luglio 1983 al n. 3606, delle particelle 47 e 931 del Foglio 17 Catasto Terreni Comune di Avellino, per una superficie complessiva di mq 2.714;

2) atto di acquisto dal Consorzio ASI di Avellino, per Notaio Pesiri, del 28 dicembre 1984 registrato il 16 gennaio 1985 al n.7248 della superficie di (effettivi) mq 30.887 (nell’atto, come rilevato dai due consulenti, veniva erroneamente riportata la superficie di mq 32.507 poiché alla particella 632 del foglio 7 era stata attribuita l’estensione di mq 7800 mentre la sua estensione è di mq 6300 e poiché la particella 793 della superficie di mq 120, di fatto risultava accorpata nella sede Stradale Consortile e, quindi, non era stata mai ceduta all’I.);

3) atto di acquisto dalla Ditta Efil Sud s.r.l., per Notaio Anzalone del 12 febbraio 1986, registrato il 25 febbraio 1986, delle particelle di cui al Foglio 17, nn. 182, 360, 740, 777 e 778, della complessiva superficie di mq 6.790.

Infine, come risulta dalle relazioni sopra indicate, lo stabilimento industriale, non ancora accatastato, risultava realizzato per una parte sulle aree acquisite dagli Eredi Bilotta e dal Consorzio ASI (lotto di cui al foglio 17 particella 45) e per altra parte sulle aree acquisite dalla società Efil Sud srl (lotto di cui al foglio 17 particella 360).

Tali circostanze, secondo la ricorrente, determinavano "una gravissima incertezza sugli immobili oggetto del riacquisto (e la conseguente erroneità, che si traduce in vizio, dell’atto impugnato) e la sostanziale impossibilità di operare il riacquisto, soprattutto ove si consideri che, nella fattispecie, le aree non risultano frazionabili e le strutture immobiliari sono indivisibili".

Nel caso in esame, quindi, il Consorzio ASI, che non era l’originario cedente di tutte le aree, oggetto della deliberazione oggi impugnata, avrebbe illegittimamente applicato l’art. 63 L. 448/1998 ad una fattispecie, in cui i beni oggetto del provvedimento impugnato erano stati acquisiti (anche) da terzi e non dal Consorzio.

Per tale ragione, il Consorzio, con il potere ablatorio esercitato, non avrebbe potuto dar luogo ad un "riacquisto", nel senso sopra evidenziato, delle aree predette.

Non ricorrendo, pertanto, un presupposto indefettibile per l’esercizio legittimo del potere previsto dall’art. 63 citato, non si sarebbe potuta configurare, nel caso concreto, un’ipotesi di riacquisto dell’intero compendio immobiliare della I. s.p.a.

Perciò, la deliberazione impugnata, dove disponeva la riacquisizione in capo al Consorzio dell’intero compendio dell’I. s.p.a., sarebbe stata illegittima, per difetto dei presupposti di legge e avrebbe dovuto essere, conseguentemente, annullata.

A tali osservazioni la difesa del Consorzio ha replicato, sostenendo che il precedente giurisprudenziale di questo Tribunale, a ben vedere, non si attaglia alla fattispecie in esame.

La I. s. p. a., infatti, aveva acquistato direttamente da terzi solo una minima parte (mq. 2.714 circa) dei fondi, sui quali aveva poi realizzato lo stabilimento industriale (complessivi mq. 40.000 circa) e, segnatamente, solo le particelle n. 47 e n. 931 del foglio 17, aventi una superficie complessiva di 2.714 mq., laddove le restanti particelle erano state cedute dal Consorzio ASI:

a) in parte (mq. 30.887), alla I. S.p.A., con atto per Notaio Pesiri de1 28.12.1984, registrato il 16.01.1985 al n. 7248;

b) in parte (mq. 6.790), alla Efil Sud s.r.l., con atto per Notaio Gorruso del 05.06.1980, registrato il 10.06.1980 al n. 181, società quest’ultima che successivamente aveva ceduto le medesime particelle alla I. S.p.A., con atto per Notaio Ansalone Fulvio del 12.02.1986, registrato il 25.02.1986 al n. 2478.

Ne discendeva, secondo l’Amministrazione, che anche i suoli oggetto di cessione da parte del Consorzio, in favore della Efil Sud s.r.l. dovevano considerarsi – sotto il profilo formale e sostanziale – ceduti direttamente alla I. S.p.A., avendoli quest’ultima acquisiti da società, cessionaria del medesimo Consorzio.

Quanto in precedenza evidenziato svalutava in radice, per la difesa dell’ente, le affermazioni di controparte, atteso che i fondi, ceduti dal Consorzio per l’intrapresa industriale, erano di gran lunga più consistenti, in termini di superficie complessiva, rispetto a quelli, acquistati dalla I. da terzi e non dal Consorzio A. S. I.

Sotto tale profilo, il Consorzio invocava il criterio della prevalenza, la cui applicazione questo Tribunale aveva, invece, correttamente escluso in altre e diverse ipotesi, in cui l’area, ceduta dal Consorzio all’impresa era nettamente inferiore, quanto ad estensione, a quella, acquistata dalla stessa impresa da terzi privati, mediante compravendita (cfr., oltre la sentenza n. 3040/2005, sopra citata, anche la n. 794/2005, pure richiamata dalla ricorrente curatela).

La difesa dell’ente rimarcava, altresì, come la realizzazione dello stabilimento industriale avesse determinato un radicale mutamento della natura giuridica dei fondi in parola, trasformandoli in un bene unitario, dal punto di vista funzionale ed economico (richiamava la decisione della Cass., Sez. I, n. 561 del 09.04.1997 e la sentenza, della stessa S. C., n. 6722 del 10.07.1998).

Ancora una volta, pertanto, i precedenti giurisprudenziali di questo Tribunale, richiamati dalla controparte, sarebbero stati "chiaramente inconferenti, in quanto riguardano una fattispecie concreta, tutt’altro che analoga a quella in esame, in cui l’impianto produttivo non era stato realizzato e i fondi oggetto della procedura di riacquisto avevano conservato autonomia e formale e sostanziale, tale da legittimare l’esercizio del potere, ex art. 63 della legge n. 448/98, solo per le aree cedute originariamente dal Consorzio in favore dell’impresa".

Laddove, nella specie, i fondi, acquistati direttamente dalla I. S.p.A. da parte di terzi privati, a seguito della realizzazione dello stabilimento, costituivano, secondo la difesa dell’ente, "area di sedime dello stesso, inscindibilmente compenetrata con la res immobilis"; "non senza evidenziare che il complesso immobiliare de quo costituisce un unicum inscindibile, sotto il profilo funzionale, non suscettibile di divisione fisica, pena la impossibilità di riavviare l’attività produttiva, che costituisce la finalità – sottesa all’esercizio del potere di riacquisto di cui all’art. 63 della legge n. 448/1998 – di favorire lo sviluppo industriale".

Secondo la ricorrente curatela, invece, non sarebbe stato possibile applicare il criterio della prevalenza, cui s’era riferito il Consorzio per legittimare la procedura di riacquisto in oggetto, "stante la totale edificazione dell’area" (posto che dalle perizie, prodotte dalla medesima curatela, e dalla stessa perizia di stima, prodotta dal Consorzio A. S. I., corredata da fotografie, emergeva in maniera inequivocabile che l’intera superficie era occupata da costruzioni le quali, anche in considerazione della tipicità e peculiarità dell’attività, svolta dalla I. s. p. a., erano "indivisibili e non frazionabili").

Ritiene il Tribunale che la censura sia infondata, nei sensi di seguito precisati.

Nella specie, infatti, dei 40.000 mq. di suolo, acquisiti dalla I. s. p. a. per la realizzazione dello stabilimento "de quo", oltre il 75% (mq. 30.887) le erano state cedute direttamente dal Consorzio, laddove dei restanti 9.500 mq. circa, più dei due terzi (mq. 6.790) riguardavano aree, comunque cedute dallo stesso Consorzio, ma ad altra ditta (Efil Sud s. r. l.), che le aveva, poi, trasferite alla I., laddove soltanto meno di un terzo (mq 2.714) era stato acquisito, da quest’ultima, sul libero mercato.

In definitiva, la proprietà dei 15/16 (37.500 mq. circa) dell’area su cui sorgeva lo stabilimento industriale, apparteneva in origine al Consorzio, laddove solo 1/16 era stato acquisito, dalla I., da privati.

In ogni caso, anche a voler tener fuori, dal computo di cui sopra, in aderenza alle osservazioni della curatela, le aree che erano state cedute, alla I., dalla Ifil Sud. s. r. l. (ritenendo cioè che il "riacquisto" della proprietà potesse riguardare soltanto le aree, cedute direttamente dal Consorzio, con esclusione di quelle che, pur provenendo, in origine, dal Consorzio, avevano subito comunque altri passaggi di proprietà), una percentuale altissima (oltre il 75%, giusta quanto osservato sopra) di detti terreni continuava a rispettare la condizione, testé esposta.

Nella specie deve quindi, a parere del Tribunale, correttamente trovare applicazione il criterio della prevalenza, che, atteso il carattere inscindibilmente unitario del compendio immobiliare, edificato sulle aree in questione (carattere, su cui del resto concordano entrambe le parti), comporta il riconoscimento della facoltà, in capo all’Amministrazione, di poter riacquisire integralmente, nel concorso ovviamente delle altre condizioni previste dalla legge, i terreni "de quibus", unitamente agli immobili realizzati sui medesimi.

La soluzione testé adottata trova conferma, "a contrario", proprio nella sentenza di questo Tribunale, n. 794 del 2005, pure sopra citata, nella cui parte motiva è dato, in particolare, leggere quanto segue:

"Né è possibile, a parere del Tribunale, invocare nel caso di specie il criterio della prevalenza, assumendosi comunque l’inapplicabilità della disposizione in virtù della circostanza che solo un terzo dell’area occupata dall’impresa fallita era stata originariamente ceduta dall’ASI.

Le aree, invero, risultano frazionabili ed in concreto alcuna questione si svolge nel presente giudizio in ordine alla concreta realizzazione di capannoni o altre strutture indivisibili insistenti in parte in zona ceduta dall’ASI ed in parte in zona ceduta da privati".

In quel caso, non era possibile l’applicazione del criterio della prevalenza, perché: a) solo un terzo dell’area occupata dall’impresa fallita era stata originariamente ceduta dall’ASI; b) non si poneva questione di strutture indivisibili insistenti in parte in zona ceduta dall’ASI ed in parte in zona ceduta da privati.

Nella specie, viceversa: a) (almeno) tre quarti dell’area occupata dall’impresa fallita erano stati originariamente ceduti dall’A. S. I.; b) sussiste l’indivisibilità degli opifici industriali, realizzati sull’intero compendio immobiliare: deve pertanto concludersi per la piena operatività del criterio in esame.

Tale criterio, in definitiva, s’ispira, in maniera evidente, al sottostante principio generale del bilanciamento degli interessi in conflitto e porta a concludere per il riconoscimento della legittimità dell’azione del Consorzio, titolare dell’interesse (di natura, per di più, eminentemente pubblicistica) prevalente, e tanto in conformità ad un giudizio di natura sia quantitativa (preponderanza delle aree cedute, direttamente od indirettamente, dal Consorzio) sia qualitativa (inscindibilità del compendio immobiliare, insistente sulle aree, in tal modo trasferite).

Altra considerazione, che convince ulteriormente il Collegio della validità di tale soluzione, consiste inoltre nella pratica irrealizzabilità di soluzioni diverse.

Attesa, infatti, la preponderante quantità di aree, cedute direttamente (e, in parte, indirettamente) dall’A. S. I. all’I. s. p. a., non potrebbe comunque predicarsi l’integrale illegittimità, sotto il profilo in esame, della deliberazione impugnata.

Ragionando in termini puramente ipotetici, al più potrebbe definirsi illegittimo il solo riacquisto, da parte del Consorzio, di una minima frazione, pari ad 1/16 (se si escludono le aree cedute, alla I., dalla Ifil Sud), o comunque, di una assai bassa frazione, pari ad 1/4 (se dette aree sono, invece, considerate) dei terreni, su cui l’I. ha, poi, realizzato lo stabilimento industriale; tuttavia, stante la ravvisata indivisibilità ed unitarietà del compendio immobiliare in questione, sarebbe assai problematico, se non impossibile, procedere materialmente allo scorporo delle aree in questione (e dei fabbricati, sulle stesse insistenti).

Sicché, anche sotto tale profilo, risulta confermato che, nella specie, l’inevitabile applicazione del criterio della prevalenza comporta, di necessità, il riconoscimento della legittimità dell’esercizio, da parte del Consorzio, della facoltà di riacquisto di tutte, indistintamente, le aree, su cui lo stabilimento era stato realizzato, e di tutte, indistintamente, le relative pertinenze immobiliari.

La seconda e la terza censura dell’atto introduttivo del giudizio possono essere esaminate congiuntamente, ponendo le stesse problematiche, in parte comuni.

In particolare, si ritiene opportuno esaminare, anzitutto, la terza doglianza sollevata dalla curatela, nella quale è stata dedotta la scadenza del Piano Regolatore Consortile del Consorzio A. S. I. d’Avellino, per decorso del termine decennale di validità dello stesso, non potendo, ad avviso della ricorrente, trovare applicazione, nella specie, le proroghe della validità dei piani regolatori delle aree di sviluppo industriale, disposte con varie leggi della Regione Campania, e ciò in considerazione dell’intervento, in materia, della sentenza della Corte Costituzionale del 20 luglio 2007, n. 314; qualora, poi, il Consorzio A. S. I. avesse provveduto ad una reiterazione dei vincoli, ovvero all’adozione di un nuovo piano regolatore, sarebbe stata, allora, omessa la comunicazione, al fallimento ricorrente, dell’avviso, ex artt. 12 e 16 del T. U. 327/2001; qualora, infine, fosse stato ritenuto, diversamente da quanto sopra argomentato, sussistere un efficace vincolo, preordinato al riacquisto dell’immobile, allora la nota del Consorzio A. S. I. del 18.10.2005, prot. 3290, non avrebbe potuto ritenersi conforme, attesa la sua genericità, alle disposizioni di cui agli artt. 7 e 8 della l. 241/90.

Preliminarmente si rileva come il P. R. T. C. che viene in rilievo nella specie sia quello della zona industriale A. S. I. di Pianodardine, come si ricava agevolmente sia dalla narrativa del ricorso, sia dagli allegati al medesimo (cfr., in particolare, gli allegati da 10 a 13).

Osserva il Tribunale, anzitutto, che circa la perdurante validità del Piano Regolatore Consortile dell’area industriale di Pianodardine (AV), questa Sezione s’è già pronunciata, espressamente, respingendo analoghe censure, circa la dedotta decadenza del medesimo (e, quindi, del vincolo preordinato all’esproprio, dallo stesso apposto alle aree, in esso comprese), con la sentenza, n. 1828/2009, resa nel ricorso n. 283/2008 R. G., nella cui parte motiva, per quanto qui rileva, può leggersi quanto segue:

"Quanto alla terza censura, impingente della dedotta decadenza del P. R. T. C. – Variante Agglomerato Industriale di Pianodardine – approvato con DD. PP. GG. RR. n. 2253 del 25.02.92 n. 21308 del 23.09.02, la stessa è del pari infondata.

Devono tenersi presenti, al riguardo, le seguenti disposizioni normative:

– art. 52, comma 1, d. P. R. 218/78: "Agli effetti del primo e penultimo comma del successivo art. 53 i vincoli di destinazione previsti dai piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale hanno efficacia per la durata di dieci anni a decorrere dalla data del provvedimento di approvazione"; tanto porta la vigenza del piano in esame al 23.09.2002;

– art. 10, comma 9, l. r. 16/98: "I piani dei Consorzi hanno efficacia decennale. La validità dei piani esistenti è prorogata per tre anni dalla entrata in vigore della presente legge"; al riguardo, la già citata sentenza, n. 2020/2004 di questo Tribunale, ha affermato: "L’interpretazione dell’art. 10, comma 9, L. R. 13 agosto 1998, n. 16 è che il termine di efficacia decennale dei piani regolatori consortili, scadenti in epoca successiva all’entrata in vigore della legge, è prorogato di un ulteriore triennio, il quale decorre dalla scadenza naturale dei predetti piani"; tanto porta la vigenza del piano in esame al 23.09.2005;

– l’art. 77, comma 1, della l. r. 10/2001: "L’efficacia dei Piani esistenti dei Consorzi delle Aree di Sviluppo Industriale è prorogata di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per quelle parti interessate a grandi opere pubbliche, quale "l’Alta Velocità", purché alla stessa data sia stato pubblicato il Bando per il conferimento dell’incarico ai progettisti per la redazione dei nuovi Piani o di varianti"; al riguardo si tenga conto che, con delibera di C. G., n. 2000/1/2 del 27.06.2000 (allegata alla memoria difensiva dell’Amministrazione), il Consorzio A. S. I. di Avellino ha provveduto ad incaricare gli uffici di approntare la necessaria documentazione tecnico – amministrativa per la redazione del nuovo piano di ampliamento dell’agglomerato industriale di Pianodardine; tanto porta la vigenza del piano in esame al 23.09.2006;

– l’art. 31, comma 28, della l. r. n. 1/2007: "Per la parte conforme ai piani territoriali sovraordinati adottati – piano territoriale regionale – PTR -, piano territoriale di coordinamento provinciale – PTCP -, piani di settori – nonché per la parte che risulta conforme ai piani sovraordinati, successivamente alla loro adozione – PTCP, piani di settori – è confermata e prorogata la validità dei piani regolatori ASI vigenti alla data di entrata in vigore della legge regionale 22 dicembre 2004, n. 16 fino alla esecutività dei PTCP che, ai sensi dell’articolo 18 della citata legge regionale, hanno valore e portata di piano regolatore delle aree dei consorzi industriali di cui alla legge regionale 13 agosto 1998, n. 16"; ne deriva la vigenza e l’efficacia del piano in esame, fino alla esecutività del piano territoriale di coordinamento provinciale; il medesimo piano, infatti, era vigente alla data di entrata in vigore della l. r. 16/2004, vale a dire il 29.12.04 (vedi sopra); inoltre, come da certificato a firma del Direttore Operativo dell’Amministrazione del 14.01.08, allegato (sub 17) alla memoria difensiva, depositata il 12.03.2008, "il vigente P. T. R. del Consorzio A. S. I. di Avellino per l’agglomerato industriale di Pianodardine è conforme agli indirizzi dettati dal P. T. R. (Piano Territoriale Regionale) adottato con deliberazione della Giunta Regionale, n. 1956 del 30 novembre 2006, nonché al preliminare del P. C. T. P. (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) adottato con delibera del Consiglio Provinciale n. 51 del 22 aprile 2004)"; si tenga inoltre presente che – come riferito con la memoria difensiva, depositata il 21.11.08 dall’Amministrazione, il P. T. R. – già adottato all’epoca dell’adozione dei provvedimenti impugnati, è stato poi approvato, con l. r. n. 13 del 13.10.08.

Non vale in contrario addurre, come hanno fatto le ricorrenti, che l’art. 31, comma 28, della l. r. n. 1/2007 non sarebbe applicabile, perché non è stato adottato il P. C. T. P., che costituirebbe il presupposto necessario per l’operatività della disposizione in commento.

La tesi è smentita dal tenore letterale della disposizione in oggetto, che per il P. T. C. P. consente che l’adozione intervenga successivamente ("(…) "nonché per la parte che risulta conforme ai piani sovraordinati, successivamente alla loro adozione – PTCP (…)".

Neppure può condividersi l’ulteriore deduzione di parte ricorrente, circa l’inapplicabilità del citato art. 31 comma 28 della l. r. n. 1/2007, perché tale disposizione sarebbe entrata in vigore dopo la scadenza dell’efficacia del Piano Regolatore A. S. I. (23.09.06); al riguardo, rileva il Collegio che tale disposizione è chiara nel "confermare e prorogare" la validità dei piani A. S. I., vigenti alla data del 29.12.04.

Quanto, invece, alla dedotta incostituzionalità delle proroghe dei piani A. S. I., disposte con le citate l. r. 16/98 e 20/01, s’osserva che con sentenza n. 314 del 2007 la Consulta ha affermato che: "È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto dell’art. 10, comma 9, l. rg. Camp. 13 agosto 1998 n. 16, e dell’art. 77, comma 2, l. rg. Camp. 11 agosto 2001 n. 10, nella parte in cui proroga per un triennio i piani regolatori dei nuclei e delle aree industriali già scaduti. La generalità dell’intervento di proroga dei piani Asi (che incidono direttamente sulle proprietà interessate, esponendole al procedimento espropriativo cui è prodromica la dichiarazione di pubblica utilità in essi implicita), infatti, non consente il bilanciamento dell’interesse pubblico con gli interessi dei proprietari destinatari del vincolo".

La disposizione che, letta in combinato disposto con l’art. 10, comma 9, della l. r. 16/98 è stata censurata dalla Consulta, è l’art. 77 comma 2 della l. r. 10/2001, secondo cui: "L’interpretazione autentica dell’articolo 10, comma 9 della L. R. 13 agosto 1998, n. 16, è la seguente: "La proroga di validità ed efficacia dei Piani regolatori delle Aree e dei Nuclei Industriali di cui all’articolo 10, comma 9, della L. R. 13 agosto 1998, n. 16, è intesa nel senso che la stessa si applica a tutti i Piani esistenti anche se medio tempore scaduti".

Come può agevolmente notarsi, la decisione della Corte Costituzionale ha riguardato i piani A. S. I. già scaduti, alla data d’entrata in vigore delle citate leggi regionali; ne consegue che nessuna valenza la stessa sentenza può rivestire, rispetto al piano in esame, il cui termine d’efficacia decennale è venuto a scadere il 23.09.02.

Né ha rilievo l’intervenuta abrogazione dell’art. 1, 1 comma della l. r. 10/07 ("Le disposizioni di cui alla legge regionale 19 gennaio 2007, n. 1, articolo 31, comma 28, si applicano anche ai piani ASI prorogati ai sensi della legge regionale 13 agosto 1998, n. 16, articolo 10, comma 9 e della legge regionale 11 agosto 2001, n. 10, articolo 77"), abrogazione disposta dall’art. 41, comma 3, l. r. 30 gennaio 2008, n. 1.

L’abrogazione de qua è evidentemente stata determinata dalla necessità d’adeguarsi alla citata pronunzia della Consulta, n. 314/2007, riferendosi la disposizione, poi abrogata, ai piani già scaduti alla data d’entrata in vigore della l. r. 16/98; ma il piano in esame, come già osservato, era all’epoca pienamente in vigore, essendo venuto a scadenza, lo si ripete, il 23.09.02.

Quindi l’abrogazione della norma de qua, nessun rilievo contrario può assumere, rispetto alla conclusione, raggiunta dal Collegio, circa la vigenza attuale del Piano A. S. I. in questione; la stessa abrogazione rende per di più irrilevante la questione di legittimità costituzionale della medesima, sollevata in ricorso.

Si tenga inoltre presente che il citato art. 31, comma 28, della l. r. n. 1/07 – contrariamente a quanto affermato in ricorso – non è stato affatto dichiarato incostituzionale, per effetto della citata sentenza della Consulta.

Qualora debba ritenersi che anche di tale disposizione legislativa le ricorrenti abbiano voluto sollevare questione di costituzionalità (pur essendo la stessa testualmente riferita, nell’atto introduttivo del giudizio, soltanto all’art. 1, comma 1, della l. r. 10/07), in ogni caso il Tribunale ne rileva la manifesta infondatezza, posto che la "conferma" di validità dei piani A. S. I., ivi disposta, "fino alla esecutività dei P. T. C. P.", si spiega agevolmente, con la necessità di evitare soluzioni di continuità nell’esercizio dei poteri di pianificazione delle aree industriali, in attesa del pieno dispiegarsi delle competenze conferite, dalla l. r. 16/2004, all’ente locale intermedio, id est fino alla esecutività dei Piani Territoriali di Coordinamento Provinciale".

Da quanto sopra argomentato discende, quindi, l’infondatezza della censura, nella parte in cui la stessa si basa sulla dedotta "assenza di un valido ed esecutivo Piano Regolatore A. S. I."; ne discende l’irrilevanza, più che l’infondatezza, del seguito della stessa (terza) censura, allorché s’ipotizza che, sempre nell’affermata carenza di un valido P. R. T. C., non sarebbe stato dato allora avviso, alla curatela ricorrente, dell’adozione di un (eventuale) progetto definitivo, equivalente – ex art. 12 T. U. 327/2001 – a dichiarazione di p. u.

Ma sempre nella medesima (terza) censura, è, infine, introdotto un altro profilo di (autonoma) doglianza, impingente stavolta nella dedotta inidoneità, della nota del Consorzio, prot. 3290 del 18.10.2005, a costituire un’efficace comunicazione d’avvio del procedimento, finalizzato al riacquisto del compendio immobiliare in questione, e tanto ai sensi delle disposizioni generali, di cui agli artt. 7 e 8 l. 241/90.

Premesso che, nella specie, la comunicazione in oggetto è effettivamente necessaria (cfr. la seguente decisione: "È illegittima l’emanazione del provvedimento di riacquisto della proprietà delle aree cedute dal Consorzio che non sia preceduta dalla comunicazione di inizio procedimento prevista dall’art. 7, l. n. 241 del 1990" – T. A. R. Puglia Lecce, sez. II, 22 ottobre 2002, n. 5301), tuttavia il Collegio ritiene che la censura in esame non abbia pregio, essendo la citata nota, prot. 3290 del 18.10.2005, a firma del Presidente del Consorzio A. S. I., inviata anche al curatore fallimentare, sostanzialmente conforme al dettato normativo, in tema d’avviso d’avvio del procedimento, come s’evince dalla sua lettura (cfr. all. 4 alla memoria di costituzione del Consorzio).

In particolare, nella stessa – intitolata: "Avvio del procedimento ex legge 241/90" – risultano ritualmente indicati: a) l’intenzione d’avviare la procedura "de qua", ex art. 63 l. 448/98, a causa della cessazione dell’attività produttiva della società da oltre tre anni; b) la possibilità di prendere visione dei relativi atti, presso la sede del Consorzio; c) la facoltà di presentare memorie scritte o documenti; d) il nominativo del responsabile del procedimento medesimo.

Degli elementi della comunicazione in parola, previsti dall’art. 8 della l. 241/90, è stata in pratica omessa soltanto l’indicazione della data entro la quale, secondo i termini previsti dall’articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e dei rimedi esperibili, in caso di inerzia dell’amministrazione.

Tuttavia tale omissione non può assumere, secondo la giurisprudenza prevalente, un carattere invalidante (cfr., al riguardo, la seguente massima: "La mancata indicazione del nominativo del responsabile del procedimento e dell’ufficio ove prendere visione degli atti, della data entro la quale il procedimento si deve concludere e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’Amministrazione costituiscono mere irregolarità e non integrano un vizio di legittimità" – T. A. R. Lombardia Milano, sez. II, 12 gennaio 2010, n. 20).

Ne deriva il rigetto, in toto, della (terza) censura, testé esaminata.

Quanto alla seconda, la stessa presenta in realtà, come s’è riferito in narrativa, un triplice ordine di doglianze: anzitutto, la ricorrente ha dedotto come, dall’esame "dell’intero testo della l. 448/98", emerga che i soggetti, legittimati al riacquisto non sarebbero tutti i consorzi industriali, bensì soltanto quelli che presentano le caratteristiche, di cui all’art. 36 della l. 317/91, ovvero relativi ad agglomerati industriali, compresi in aree, caratterizzate da un’elevata concentrazione di imprese industriali, laddove il Consorzio A. S. I. di Avellino (a differenza, ad es., di quello di Salerno), non rientrerebbe in detta categoria, "non essendo limitato ai sistemi produttivi locali"; la deliberazione impugnata, inoltre, non avrebbe adeguatamente rappresentato: a) le concrete ragioni di pubblico interesse che imponevano il riacquisto dell’area; b) le esigenze di sviluppo industriale, sottese a tale iniziativa; c) i requisiti che in concreto giustificavano l’iniziativa; d) le ragioni, per le quali s’esercitava la facoltà di riacquisto di una determinata area; infine, la stessa deliberazione non sarebbe stata preceduta da un atto, emanato nel rispetto delle garanzie partecipative, che dichiarasse espressamente la pubblica utilità del riacquisto, né sarebbe stato apposto, sui beni del fallimento I. s. p. a., "il vincolo preordinato alla riacquisizione".

Orbene, il primo profilo di doglianza, tendente ad espungere il Consorzio A. S. I. di Avellino dal novero di quelli, di cui all’art. 36 della l. 317/91, con conseguente difetto di legittimazione, per il medesimo Consorzio, ad attivare la contestata procedura di riacquisto, è smentito proprio dall’analisi della giurisprudenza, riportata dalla curatela ricorrente.

In particolare, nella già citata sentenza, n. 794/2005 di questo Tribunale, in riferimento ad analoga censura, s’è osservato: "Con il quarto motivo si sostiene che l’art. 63 della L. n. 448/1998 riguarderebbe solo i consorzi previsti dall’art. 36 della L. n. 317/1991, e cioè quelli limitati ai sistemi produttivi locali ed ai consorzi di sviluppo industriale, mentre il Consorzio ASI di Salerno sarebbe – a tutto concedere – un consorzio industriale e commerciale.

Anche tale censura è destituita di fondamento, atteso che l’art. 36, nello stabilire che "I consorzi di sviluppo industriale, costituiti ai sensi della vigente legislazione nazionale e regionale, sono enti pubblici economici", ha una portata di carattere generale, e non induce ad apportare quelle limitazioni suggerite dal ricorrente.

D’altra parte anche sul piano sistematico una opzione ermeneutica restrittiva non troverebbe agevole sostegno, data la finalità della norma che è quella di favorire lo sviluppo industriale attraverso la circolazione di immobili già posseduti da soggetti ormai non più in grado di inserirsi nel ciclo produttivo".

In base a tali condivisibili considerazioni, che se pur riferite al Consorzio A. S. I. di Salerno, per il loro carattere generale, sono agevolmente estensibili al Consorzio in argomento, tale parte della doglianza sub 2) si rivela, evidentemente, priva di pregio.

Quanto invece al secondo profilo della censura, sub 2), in esame, secondo cui il Consorzio avrebbe dovuto allegare uno specifico interesse pubblico al riacquisto dell’area in questione, e dello stabilimento industriale ivi insistente, nonché specificare le esigenze di sviluppo industriale, sottese a tale iniziativa, al Collegio non ritiene che l’operatività dell’istituto, di cui all’art. 63 della l. 448/98, richieda un supporto motivazionale di tal genere: gli unici requisiti, per poter procedere, infatti, al "riacquisto" delle aree cedute e degli immobili, a destinazione industriale, sulle stesse edificati, sono quelli, di cui ai primi due commi della disposizione di legge in commento, vale a dire: a) che il cessionario dei terreni non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione (primo comma); b) che sia cessata l’attività industriale o artigianale, esercitata negli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati, da più di tre anni (secondo comma).

Che tali siano gli unici presupposti di cui verificare la sussistenza nella specie (e che non sono stati posti in discussione, da parte della curatela del fallimento), si desume anche dall’esame della giurisprudenza in materia.

Ad esempio, nella parte motiva della decisione del T. A. R. Abruzzo Pescara del 6 aprile 2001, n. 344, è posto in risalto, in maniera significativa, quanto segue: "In realtà, tale art. 63 della L. 23 dicembre 1998, n. 448, nel dettare provvedimenti per favorire lo sviluppo industriale, ha disposto che i Consorzi di sviluppo industriale hanno la facoltà sia di riacquistare la proprietà delle aree cedute per intraprendere attività industriali o artigianali "nelle ipotesi in cui il cessionario non realizzi lo stabilimento nel termine di cinque anni dalla cessione", sia "di riacquistare, unitamente alle aree cedute, anche gli stabilimenti industriali o artigianali ivi realizzati nell’ipotesi in cui sia cessata l’attività industriale o artigianale da più di tre anni", potendo esercitare tale facoltà "anche in presenza di procedure concorsuali".

Tale norma, ad avviso del Collegio, relativamente alla materia in questione, ha in realtà introdotto una deroga alla normativa generale sulle espropriazioni sopra ricordata disponendo che i Consorzi possano essi stessi riacquistare la proprietà delle aree cedute per attività industriali o artigianali nell’ipotesi in cui gli stabilimenti non siano stati realizzati "nel termine di cinque anni dalla cessione", così come nelle ipotesi in cui gli stabilimenti industriali o artigianali siano stati sì realizzati, ma sia cessata l’attività industriale.

In definitiva, tale normativa dà facoltà ai Consorzi di riacquistare le aree al fine favorire lo sviluppo industriale e tale facoltà può esercitare "anche in presenza di procedure concorsuali", come nella specie ha dichiarato di voler fare il Consorzio in parola.

Per cui l’interesse del vecchio proprietario alla retrocessione ben può essere sacrificato, come nel caso in esame, a favore dell’interesse pubblico di favorire lo sviluppo industriale".

In pratica, è con la stessa previsione dell’istituto in commento che il legislatore ha già compiuto una valutazione di preminenza dell’interesse pubblico al riacquisto delle aree non utilizzate, ai fini dello sviluppo industriale (evidentemente, per consentire, in seguito al riacquisto, un proficuo riutilizzo delle aree medesime, ai medesimi fini), rispetto al quale l’interesse dei privati, ivi compresi i creditori del fallimento della società, già assegnataria di tali aree, è destinato inevitabilmente a cedere.

Si consideri anche – in proposito – la seguente massima, che ben illustra il rapporto, di subordinazione gerarchica, esistente tra le due categorie d’interessi in questione: "L’art. 63 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 è norma retroattiva e la ivi prevista facoltà di riacquisto delle aree assegnate per l’impianto di stabilimenti industriali, nell’ambito delle aree destinate ai nuclei di sviluppo industriale, persegue un indubbio interesse pubblico alla promozione di processi di crescita dell’economia nazionale, che si collocano su di un piano gerarchicamente superiore a quello del rispetto della "par condicio" dei creditori nell’ambito dell’eventuale procedura fallimentare in corso" (C. di S., Sez. VI, sent. n. 1637 del 22.03.2010 (ud. del 18.12.2009), Consorzio per lo Sviluppo Industriale del Sud Pontino c. Pesclaudio Spa – Riforma della sentenza del T.A.R. Lazio – Latina, sez. I, n. 149/2009).

Tanto basta a considerare come destituita di fondamento la (parte della) censura in esame, senza che occorra, quindi, neppure dimostrare, da parte del Consorzio, le esigenze di sviluppo industriale, sottese alla sua iniziativa, le quali debbono ritenersi già comprese, nelle stesse finalità istituzionali dei consorzi di sviluppo industriale in genere (cfr., al riguardo, il comma 5 dell’art. 36 della l. 317/91: "I consorzi di sviluppo industriale di cui al comma 4 promuovono, nell’ambito degli agglomerati industriali attrezzati dai consorzi medesimi, le condizioni necessarie per la creazione e lo sviluppo di attività produttive nei settori dell’industria e dei servizi. A tale scopo realizzano e gestiscono, in collaborazione con le associazioni imprenditoriali e con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, infrastrutture per l’industria, rustici industriali, servizi reali alle imprese, iniziative per l’orientamento e la formazione professionale dei lavoratori, dei quadri direttivi e intermedi e dei giovani imprenditori, e ogni altro servizio sociale connesso alla produzione industriale").

In definitiva, davvero non si comprende a cos’altro i terreni – e relative pertinenze immobiliari – riacquistati potrebbero servire, date le finalità istituzionali dei Consorzi de quibus, se non a favorire lo sviluppo industriale.

Per ciò che concerne, infine, il terzo ed ultimo aspetto della (seconda) censura in esame, secondo la ricorrente curatela la deliberazione del Comitato Direttivo dell’A. S. I. di Avellino, oggetto d’impugnazione, non sarebbe stata preceduta da un atto, emanato nel rispetto delle garanzie partecipative, che dichiarasse espressamente la pubblica utilità del riacquisto, né sarebbe stato apposto, sui beni del fallimento I. s. p. a., "il vincolo preordinato alla riacquisizione".

Anche tale parte della seconda doglianza di parte ricorrente non può trovare accoglimento.

Al riguardo, oltre a quanto diffusamente osservato sopra, con riferimento alla (analoga) censura, rubricata sub 3) nell’atto introduttivo del giudizio (ci si riferisce sia alla dedotta mancata osservanza delle garanzie partecipative, sia all’asserita – ma, in realtà, insussistente – carenza di un vincolo preordinato all’esproprio, in virtù dell’accertata perdurante vigenza del P. R. T. C. dell’area industriale di Pianodardine), si consideri sia che, secondo la richiamata sentenza del T. A. R. Abruzzo Pescara del 6 aprile 2001, n. 344, l’art. 63 della l. 448/98 avrebbe in realtà introdotto una deroga alla normativa generale sulle espropriazioni; sia che, secondo la sentenza del T. A. R. Lazio Latina, sez. I, 4 marzo 2009, n. 167, la prefata disposizione di legge, avrebbe attribuito ai Consorzi di sviluppo industriale un potere di tipo ablatorio, esercitabile tuttavia per mezzo di un provvedimento amministrativo, per il cui esercizio non sono previsti termini (salvo quelli relativi ai presupposti, cioè il decorso di 5 anni dalla cessione senza che lo stabilimento sia realizzato ovvero il decorso di un periodo di 3 anni dall’interruzione dell’attività).

Tali indici giurisprudenziali convergono nell’individuare, nel "riacquisto" in oggetto, pur nella riconosciuta natura, latamente ablatoria, dei suoi provvedimenti applicativi (cfr. anche la recente decisione di questo Tribunale, Prima Sezione, n. 11834/2010), una connotazione derogatoria, rispetto alla normativa generale in tema di espropriazioni (trattandosi, come testé osservato, di un istituto, subordinato a presupposti, modalità e termini suoi propri), la quale impone di respingere la completa assimilazione, invece proposta dalla ricorrente, delle relative discipline, e così di ritenere priva di pregio la doglianza, impingente nella mancata applicazione, alla fattispecie concreta, degli artt. 12 e ss. d. P. R. 327/2001.

Per ciò che concerne, infine, la dedotta necessità per il Consorzio, "in sede di redazione del Piano Consortile o di una sua variante", di "analizzare in maniera puntuale l’intero comprensorio industriale, accertando la sua completa saturazione, il mantenimento della destinazione assegnata originariamente ad ogni area e l’insufficienza delle aree disponibili per l’insediamento di ulteriori complessi produttivi", s’osserva, in maniera dirimente, che non risulta che parte ricorrente, ovvero la società fallita, abbiano impugnato, nei termini, il P. R. T. C. in questione, approvato nel 1992, con conseguente inammissibilità dei suddetti rilievi.

Quanto al quarto motivo del ricorso in esame, in esso è stata dedotta la violazione dell’art. 63 della l. 448/98 che, attraverso il rinvio alle disposizioni del codice di rito civile, disciplinanti la nomina, con rito camerale, di un perito per la stima del valore dell’immobile, avrebbe dovuto garantire la partecipazione della curatela al subprocedimento in tal modo instaurato, in assenza della quale partecipazione la deliberazione impugnata avrebbe dovuto considerarsi come "radicalmente nulla ed inefficace".

Orbene, il comma terzo della citata disposizione di legge prevede che: "Nell’ipotesi di esercizio delle facoltà di cui al presente articolo i consorzi dovranno corrispondere al cessionario il prezzo attualizzato di acquisto delle aree e, per quanto riguarda gli stabilimenti, il valore di questi ultimi come determinato da un perito nominato dal presidente del tribunale competente per territorio, decurtato dei contributi pubblici attualizzati ricevuti dal cessionario per la realizzazione dello stabilimento".

La censura analizzata si palesa priva di pregio: carattere decisivo – nonostante ogni contraria deduzione della ricorrente in proposito – riveste la considerazione dell’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "L’atto con il quale si partecipa agli interessati la richiesta di nomina di un perito per la determinazione del valore del bene ha un’efficacia circoscritta all’interno dell’unico procedimento di acquisizione del bene ex art. 63, l. n. 448 del 1998 e come tale è privo di valenza lesiva, la quale è propria del procedimento attivato, una volta conclusosi con il provvedimento definitivo di riacquisizione" (Consiglio Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 197).

Attesa la valenza non lesiva di tale atto, giammai la dedotta omessa garanzia del contraddittorio, nella fase in esame, potrebbe ridondare in illegittimità della deliberazione conclusiva del relativo procedimento (tanto, indipendentemente da ogni considerazione circa la sussistenza, o meno, nella specie, delle lamentate "violazioni di norme imperative").

Si tenga presente, in argomento, anche la seguente ulteriore massima, sempre ricavata dalla medesima decisione testé citata: "La "possibilità", o meglio la mera eventualità, che la procedura volta alla "riacquisizione" di un bene ceduto, ex art. 63 della L. n. 448/1998, una volta stabilito il valore del bene, venga portata a compimento non può certo significare che la riacquisizione del bene sia stata già definita, e che quindi sia riscontrabile la lesione dell’interesse, la cui attualità è necessaria per poter attivare il rimedio giurisdizionale. Ne consegue che il ricorso avverso il provvedimento di reiezione delle osservazioni del curatore del fallimento e di richiesta al Presidente del Tribunale di nomina del perito, essendo, questo, provvedimento meramente preparatorio e constando di un’efficacia circoscritta all’interno del procedimento di riacquizione, destinato eventualmente a concludersi con un provvedimento definitivo (l’unico avente efficacia direttamente lesiva della posizione del fallimento), va considerato inammissibile" (C. di S., Sez. VI, Sent. n. 197 del 25.01.2008 (ud. del 13.11.2007), F. I. A. S. p. A. c. C. L. S. I. S. e altri).

Che se poi, mercé la doglianza in esame, si fosse voluta, in realtà, contestare la determinazione del prezzo od indennità di riacquisto, operata dal perito, nominato dal Tribunale, questo G. A. sarebbe evidentemente privo di giurisdizione in materia, come si ricava agevolmente dalla seguente, recentissima, massima della S. C.: "Ai fini del riparto della giurisdizione tra g. o. e giudice amministrativo, la controversia avente ad oggetto l’esercizio, da parte di un consorzio di sviluppo industriale, del potere autoritativo di disporre la risoluzione del contratto ed il riacquisto dei beni venduti al privato per mancata realizzazione del programma industriale, ai sensi dell’art. 63 l. 23 dicembre 1998 n. 448, spetta al giudice amministrativo, mentre spetta al g. o. la giurisdizione sulla domanda relativa al prezzo di acquisto, atteso che quest’ultima integra una questione di tipo meramente patrimoniale" (Cassazione civile, Sez. Un., 24 febbraio 2011, n. 4462).

Passando all’analisi della quinta ed ultima doglianza, sollevata da parte ricorrente, in essa è stata contestata la decurtazione dei contributi pubblici, operata unilateralmente dal Consorzio sull’indennità di riacquisto – quantificata, nella deliberazione impugnata, in Euro 661.559,72 – e s’è sostenuto che la medesima non sarebbe stata opponibile ai creditori del fallito (atteso che la declaratoria di fallimento era intervenuta prima dell’avvio della procedura di riacquisizione) e, quindi, alla curatela; in pratica, secondo la ricorrente, la decurtazione dei contributi pubblici dal prezzo di riacquisizione avrebbe potuto operare, solo nei confronti dell’originario titolare della società, dichiarata fallita, e non anche nei confronti dei creditori fallimentari; si negava, inoltre, in radice, che l’I. s. p. a. avesse fruito di detti contributi pubblici, per la realizzazione dello stabilimento industriale.

Circa quest’ultimo punto, il Consorzio ha viceversa provato – mercé la produzione di un attestato del 9.12.2008, a firma del direttore generale del Consorzio A. S. I. di Avellino (cfr. l’all. 11 alla memoria di costituzione dell’ente) – che la I. s. p. a. "risulta beneficiaria di contributo in conto capitale erogato per la somma di Euro 1.783.274,03 a mezzo di mandato in data 13.01.98".

Circa, poi, la pretesa natura non retroattiva della disposizione di legge in commento, nonché circa la dedotta inopponibilità della decurtazione in questione ai creditori del fallimento, si tenga invece presente l’illuminante massima che segue: "L’art. 63, legge 23 dicembre 1998, n. 448, che consente ai consorzi, in determinate ipotesi, di riacquistare la proprietà delle aree cedute per imprese industriali o artigianali, ha natura retroattiva e si applica, pertanto, ai fallimenti già dichiarati alla data d’entrata in vigore della legge che lo contempla, tanto è dato desumersi non solo dal tenore letterale della norma – ed invero la disposizione legislativa in esame è esplicita nell’affermare come "le facoltà di cui al presente articolo (quindi anche il riacquisto) possono essere esercitate anche in presenza di procedure concorsuali" – ma anche dalla circostanza ulteriore che la facoltà di riacquisto delle aree assegnate per l’impianto di stabilimenti industriali persegue un indubbio interesse pubblico alla promozione di processi di crescita dell’economia nazionale, che si collocano su di un piano gerarchicamente superiore a quello del rispetto della "par condicio" dei creditori nell’ambito della procedura fallimentare in corso" (Consiglio di Stato, Sez. VI, sent. n. 1637 del 22.03.2010 (ud. del 18.12.2009), C. I. S. I. S. P. c. Pe. S. p. A. e altri).

Si tenga infine presente quanto riferito, a proposito di analoga doglianza, nella motivazione della già citata sentenza di questa Sezione, n. 11834/2010: "Inoltre, il richiamo al riguardo della par condicio creditorum prevista dall’art. 2741 c.c. pure appare privo di rilevanza se si considera la menzionata discrezionalità del legislatore, il preminente interesse pubblico a cui è improntata la materia de qua ed il garantito soddisfacimento delle ragioni dei creditori sull’importo pecuniario relativo al prezzo della riacquisizione".

Anche detta ultima doglianza è, pertanto, priva di pregio.

In conformità a tutte le superiori considerazioni, il ricorso va, in conclusione, respinto.

Attesa la peculiarità della fattispecie e la complessità delle questioni, di fatto e di diritto, sottese alla presente decisione, sussistono giustificate ragioni per dichiarare integralmente compensate, tra le parti, le spese e gli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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