Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-05-2011) 22-06-2011, n. 25098

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 28 giugno 2010, depositata in cancelleria il 16 settembre 2010, la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza 16 ottobre 2009 del Tribunale di Torre Annunziata, rideterminava la pena per E.S. A., I.L. e O.A., imputati di due episodi di estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, l’ E.S. e l’ O., alla pena di anni quindici, mesi sette e giorni venti di reclusione e Euro 3.600,00 di multa ciascuno e l’ I.L. alla pena di anni sette, mesi due e giorni venti di reclusione ed Euro 1.450,00 di multa.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, E.S.A., I.L. e O. A. commettevano in concorso tra loro, ai danni di S. A., il reato di estorsione aggravata di Euro 3.000,00 e un tentativo di estorsione aggravata per l’ulteriore somma di Euro 3.000,00. 1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito, in via di principalità, dalle dichiarazioni della parte lesa S.A., il quale affermava di aver incaricato nel 2002 l’imprenditore P. dei lavori di ristrutturazione per la casa della suocera, lavori che però non erano stati ultimati pur avendo l’imprenditore ugualmente preteso la somma di L. 8/9 milioni.

Nel (OMISSIS), mentre il S. si trovava a (OMISSIS), veniva avvicinato da due persone, E.S.A. e O. A., che gli chiedevano la somma di Euro 9.000 assumendo l’ E. che il P. gli era debitore sicchè la somma in questione doveva essere a lui versata. Al rifiuto del pagamento della somma l’ O. assestava uno schiaffo al S.. Dopo ulteriori minacce la parte lesa accondiscendeva a pagare la somma di Euro 3.000. Successivamente alla consegna, poichè le richieste estorsive non cessavano, il S. decideva di denunciare il fatto tanto che si perveniva all’arresto di I. e O. presentatisi per il versamento della ulteriore somma di Euro 3.000.

Il giudice indicava, a riscontro delle dichiarazioni della parte lesa, la testimonianza dell’agente di PG (che per primo raccolse la denuncia orale della parte lesa), la testimonianza del P. (che pur confermando di essere ancora creditore del S. negava di aver eseguito dei lavori per gli imputati), le riprese filmate attestanti le visite di E. e dell’ O. alla parte lesa, le dichiarazioni della sorella parte lesa F. circa la colletta tra i familiari per racimolare la somma dovuta, le dichiarazioni del convivente della sorella D.G.M. che si era interessato per far pervenire all’ O. la somma richiesta.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite i propri rispettivi difensori avv.ti Giuseppe Ricciulli, (per E.S.A. e O.A.) e Filippo Torrente (per I.L.) hanno interposto tempestivo ricorso per cassazione i prevenuti chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

2.1 – E.S.A. e O.A.:

a) con il primo motivo rilevava l’erronea applicazione dell’art. 629 c.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b); si sosteneva che nella fattispecie era ravvisabile il diverso reato di cui agli artt. 323 e 324 c.p., posto che, come risultava dalla messa in mora inviata a suo tempo per i lavori eseguiti dal P. al S. la somma richiesta era di circa Euro 9.938;

b) con il secondo motivo veniva rilevata la manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e); il giudice aveva erroneamente ritenuto trattarsi di due episodi distinti (ipotesi consumata l’una, tentata l’altra) mentre in realtà si era trattato di un unico fatto, posto che l’indicata carenza di una quietanza (come indicato dal giudice), appresso la consegna della prima franche di danaro nulla informava sulla esistenza di una doppia estorsione posto che la quietanza sarebbe stata rilasciata solo a pagamento del totale dovuto. Peraltro sul punto non era stata raggiunta la prova della consegna dei primi Euro 3000 giuste le contraddizioni in cui erano caduti D.G. e il S.. Infatti il D.G. in un primo momento aveva affermato di non aver ricevuto il danaro dalla convivente (sorella della parte lesa) per poi affermare di aver preso i soldi ma di aver restituito la somma alla convivente, mentre il S. aveva affermato di aver consegnato lui il danaro agli imputati per poi affermare che l’aveva fatto il cognato per poi tornare, dopo il confronto con il cognato, alla iniziale versione.

Peraltro la conversazione intercettata relativa al giorno dell’arresto di I. e O. non corroborano l’ultima versione della parte lesa.

3. – O.A.;

a) con il primo motivo di impugnazione eccepiva l’omessa valutazione della richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale. Era stata per vero richiesta l’esame di V. A. e l’acquisizione del registro presenze della ditta di pulizie per cui lavorava S. nei giorni in cui si sono svolti i fatti onde verificare l’attendibilità delle dichiarazioni del P. e della parte lesa. b) mancanza di motivazione in ordine alla effettiva dazione del danaro da parte del S. agli imputati attese le contraddizioni in cui sono caduti sia il D.G. che la parte lesa e visto che dalle intercettazioni non emerge che l’ O. li avesse presi. c) con il terzo motivo veniva rilevata la violazione dell’art. 192 c.p.p. e vizio di motivazione in relazione all’art. 629 c.p.; manca una qualsiasi verifica in ordine al rapporto esistente tra il P. e la persona offesa. Bastava verificare che l’entità della richiesta avanzata dagli imputati fosse uguale a quella formulata dal P. tramite il proprio legale per comprendere che vi fosse rispondenza tra l’una richiesta e l’altra. d) con il quarto motivo veniva eccepita la carenza e illogicità della motivazione con riferimento all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: la sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli, altra sezione.

4.1 – Il primo motivo di ricorso dell’impugnazione E.S. – O. non è fondato e deve essere respinto.

4.2 – Deve per vero rilevarsi, non solo che il ricorso sul punto non è autosufficiente per non essere stata allegata all’impugnazione la messa in mora cui fa riferimento la difesa nel ricorso, ma tale circostanza non risulta neppure essere stata fatta oggetto di gravame. Inoltre va chiarito che il P., come evidenziato dalla Corte territoriale, nulla in realtà, a suo dire, doveva ai due prevenuti tanto da legittimare un loro intervento presso il S. in via compensativa, nè aveva dato loro incarico di recuperare il credito vantato presso lo stesso soggetto e ciò, secondo l’argomentare logico e non contraddittorio del giudice distrettuale, è definitivamente caducatorio della prospettiva di una diversa qualificazione del fatto suggerita in ricorso. Tale profilo dunque, pur evocato a gran voce dai ricorrenti, è rimasto al rango di mera illazione, avversata peraltro dalle risultanze di causa esaminate dal giudice di merito.

4.3 – Il secondo motivo di gravame è invece meritevole di accoglimento.

4.3.1 – A prescindere dalle contraddizioni in cui sono caduti il D. G. e il S., il giudice della cognizione sottolinea che la consegna della somma di Euro 3.000 era risultata un espediente per prendere tempo, essendo ben al corrente la parte lesa che in realtà la cifra complessiva da versare era superiore come da lui stesso ammesso. Vi è motivo di ritenere pertanto, secondo le stesse argomentazioni espresse dal giudice, che ebbe a trattarsi in realtà di un unico episodio estorsivo, ancorchè a modalità di pagamento successive. Inoltre si coglie nella lettura della parte motivazionale della sentenza la non risolta (da parte del giudice) forte contraddittorietà del dato probatorio del reale pagamento della prima tronche di Euro 3.000, giusta non solo la ritrattazione della parte lesa sul punto e le deposizioni non collimanti della sorella F. e del cognato, ma anche l’esito della conversazione intercettata tra il S. e gli estorsori al momento del versamento della supposta seconda rata, posto che, all’affermazione della parte lesa di aver effettuato la consegna dei primi Euro 3000, si è contrapposto da parte degli interlocutori un equivoco silenzio che non aggiunge alcunchè in termini di certezza al verificarsi del fatto.

4.4 – Il primo motivo di ricorso dell’impugnativa O. è invece infondato.

4.4.1 – Va osservato che la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicchè il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Cass., Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni; Sez. 1, 11 novembre 1999, Puccinelli ed altro). Atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 3, 29 luglio 1993; Cass., Sez. 1, 15 aprile 1993) Ceraso) deve sottolinearsi che la motivazione della sentenza impugnata da conto, in modo inequivoco, delle ragioni per le quali non è stata accolta la richiesta di rinnovazione parziale, essendo stato ritenuto che gli elementi probatori disponibili risultano completi e concludenti per la formazione del convincimento del giudice di secondo grado (Sez. 1, 19 marzo 2008, n. 17309, Calisti). Ed è altresì consolidato principio di questa Corte ritenere, che la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio d’appello può costituire violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado ( art. 603 c.p.p., comma 2) (Sez. 5, 8 maggio 2008, n. 34643, P.G. e De Carlo e altri, rv. 240995) mentre l’error in procedendo è rilevante ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), e configurabile soltanto quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa; la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito (ex plurimis, Cass., Sez. 4, 14 marzo 2008, n. 23505, Di Dio, rv.

240839). Ciò che è deducibile in questa sede è semmai il vizio di motivazione ove il giudice di merito abbia fondato la ricostruzione dei fatti su indimostrate affermazioni o su pareri tecnici legalmente acquisiti al processo ma non valutati criticamente. La sentenza impugnata è però esente da tali censure per quanto sopra detto. Le richieste istruttorie, infine, non solo non hanno il connotato della decisività, ma neppure della novità e non arrecherebbe alcun beneficio probatorio non consentendo alcun progresso nell’accertamento della verità. 4.5 – Il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, vertendo sulla stessa tematica (unicità dell’episodio estorsivo) più sopra affrontata. Sulla questione si veda a paragrafo 4.3.1. 4.6 – Il terzo motivo di ricorso (vizi motivazionali sulla valutazione della prova) è invece destituito di ogni fondamento e deve essere rigettato.

4.6.1 – Contrariamente a quanto assunto dalla difesa la sentenza ha analiticamente preso in esame il rapporto P. – S. tanto da poter escludere, come più sopra ribadito, che il credito del P. sia stata la causale o l’antecedente logico non solo dell’estorsione, ma addirittura dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Sulle residue argomentazioni difensive si richiama quanto più sopra esposto al paragrafo 4.2. 4.7 – Il quarto motivo di ricorso (vizi motivazionali in relazione all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7) è infondato e deve essere reietto.

3.7.1 – La circostanza aggravante in questione si applica per vero a tutti coloro, partecipi o non di qualche sodalizio criminoso, la cui condotta sia riconducibile a una delle due forme in cui può atteggiarsi (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) e, per i soggetti partecipi, opera anche con riferimento ai reati-fine dell’associazione (Sez. 1, 20 dicembre 2004, n. 2612, P.G. in proc. Tornasi ed altri, rv. 23045). Nella vicenda per cui è giudizio è stato in modo condivisibile evidenziato dal giudice di merito come il metodo mafioso sia stato rilevabile non tanto e non solo dalla metodica propria del commesso reato, ma anche nel significato che il fatto ha in relazione alla consorteria criminosa cui si riferisce.

Ancorchè la metodologia mafiosa sia risultata dalle dichiarazioni della sola parte offesa, la Corte territoriale ha ben argomentato sul fatto che non fossero emersi elementi contraddittori e tali da inficiare la deposizione sul punto della parte lesa.

4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 623 c.p.p. come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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