Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-05-2011) 22-06-2011, n. 25097

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 6 novembre 2009, depositata in cancelleria il 22 dicembre 2009, la Corte di Appello di Napoli, esclusa la contestata continuazione, rideterminava la pena per B.M. e T.A., con la diminuente del giudizio abbreviato, ad anni cinque di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa per ciascuno. In particolare la Corte territoriale rilevava che doveva essere accolta l’impugnazione del Pubblico Ministero (proposto sotto la forma del ricorso per cassazione, convertito poi in gravame) rideterminando in aumento la pena base fissata dal primo giudice (elevando così la pena da anni quattro ad anni sette e mesi sei di reclusione).

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, B.M. e T.A. avevano avanzato richieste estorsive all’appaltatore Be.Ra. impegnato nella realizzazione di una palazzina per conto dei cognati e soci D. F.E. e D.F.A..

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito:

– dalle osservazioni di polizia giudiziaria del 5 febbraio 2008 presso l’officina Iorio ove risultava da precedenti intercettazioni telefoniche che la parte lesa Be. doveva incontrarsi con il B. in ordine alla richiesta estorsiva di Euro 9.000;

– da intercettazioni telefoniche e ambientali tra cui andava indicata quella relativa a quell’episodio in cui risultava che il T., conversando con il B., giuste le resistenze della parte lesa intenzionata a corrispondere solo "un regalo" agli estorsori e non la somma richiesta, lo incitava a passare alle maniere forti;

– dalle dichiarazioni di diversi soggetti tra cui la parte lesa Be. che aveva riconosciuto in fotografia sia il B. che il complice, P.F..

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite i propri rispettivi difensori aw.ti Francesco liguori e Finizio di Tommaso, hanno avanzato ricorso per Cassazione B.M. e T. A. chiedendone l’annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali.

2.1 – In particolare B.M., con il primo motivo, ha rilevato la mancanza di motivazione della sentenza gravata in punto di aumento della pena su impugnativa del Pubblico Ministero, aumento che viola l’art. 443 c.p.p., posto che la sentenza di primo grado era stata resa in regime di giudizio abbreviato e il Pubblico Ministero aveva proposto ricorso per Cassazione, poi convertito ai sensi dell’art. 580 c.p.p.. b) con il secondo motivo di gravame veniva rilevata la violazione dell’art. 63 c.p.p. posto che sono state utilizzate le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dal B. in data 6 febbraio 2008 nonostante che lo stesso si fosse dimostrato in un primo momento reticente e che abbia poi reso le dichiarazioni accusatorie nei confronti del prevenuto solo dopo essere stato edotto delle conseguenze penali cui andava incontro se rendeva dichiarazioni mendaci; essendo emersi indizi di reità a suo carico le dichiarazioni dal B. rese erano da ritenersi inutilizzabili;

c) con il terzo motivo veniva eccepita la violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); il giudice di merito non ha preso in considerazione le doglianze della difesa considerato che dalla lettura della sentenza il prevenuto è stato ritenuto responsabile solo del reato relativo all’episodio dell’ultimo incontro con il Be. atteso peraltro che egli si era rivolto alla parte offesa come "amico" onde sottrarsi alla minacce da altri poste in essere. Inoltre il B., soggetto incensurato, non risulta affiliato ad alcun clan camorristico.

4. – T.D., con il suo ricorso, si doleva:

a) – con il primo motivo di doglianza della nullità della sentenza per mancanza e/o quantomeno contraddittorietà della motivazione quanto alla affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di estorsione aggravata; violazione degli artt. 110, 56 e 629 c.p.p. comma secondo in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, L. n. 203 del 1991, art. 7; la sentenza non ha tenuto conto delle censure difensive contenute nel gravame e in particolare che nè le parti lese, nè le persone informate sui fatti esaminati, fanno riferimento al ricorrente come persona coinvolta nella estorsione. La presenza del ricorrente nell’officina Iorio è solo un indizio del tutto neutro, mentre le intercettazioni non possono essere considerate fonte di prova autonoma dovendo sottostare alla regola della valutazione degli indizi. Peraltro le conversazioni telefoniche attribuite al T. sono dubbie, incerte e contraddittorie, mentre dagli atti processuali non è dato evincere che l’utenza indicata in sentenza sia riconducibile al prevenuto. b) con il secondo motivo veniva rilevata la nullità della sentenza e contraddittorietà della motivazione quanto alla sussistenza dell’aggravante della L. n. 203 del 1991, art. 7. c) con il terzo motivo veniva chiesta la nullità della sentenza per inosservanza ed erronea determinazione della pena, con violazione dell’art. 443 c.p.p., comma 3, e art. 133 c.p., con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). d) nullità della sentenza per mancanza totale di motivazione quanto al diniego della concessione della attenuanti generiche prevalenti o quantomeno equivalenti alle contestate aggravanti, con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: la sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli con le limitazioni di cui al dispositivo.

5.1 – Il primo motivo di ricorso, in particolare, è fondato e deve essere accolto.

5.1.1 – Al riguardo va citata innanzitutto la giurisprudenza di questa Corte, (Cass., Sez. 4, 11 luglio 2007, n. 39618 rv. 237986, sub art. 443 c.p.p., nonchè Sez. 2, 23 aprile 2007, n. 18253, rv.

236404, sub art. 443 citato), che consentono la conversione del mezzo di impugnazione formulato dal PM. E’ appena poi il caso di rammentare il limite di cognizione che ha la Corte di appello, in caso di conversione dell’atto di impugnazione (ricorso) del PM. Alla stregua di quanto stabilito con la sentenza di questa Corte, Sez. 1 del 14 febbraio 2006, n. 15025, rv. 234039 (Conforme, Sez. 6, 23 ottobre 2008, n. 42694 e Sez. 4, 24 giugno 2008, n. 37074) ove è stato deciso che "in tema di giudizio abbreviato, quando l’imputato propone appello contro la sentenza di condanna, l’eventuale ricorso per cassazione proposto dal pubblico ministero si converte in appello in applicazione dell’art. 580 c.p.p., ma conserva la propria natura di impugnazione di legittimità. Ne consegue che la Corte di Appello deve sindacarne l’ammissibilità secondo i parametri dell’art. 606 c.p.p. e i suoi poteri di cognizione sono limitati alle censure di legittimità.

Tuttavia, una volta che ritenga fondata una di dette censure, la Corte riprende la propria funzione di giudice di merito e può adottare le statuizioni conseguenti, senza necessariamente provvedere in via formale all’annullamento della pronuncia di primo grado". 5.1.2 – Ciò posto deve osservarsi che la pena base per il reato di estorsione tentata è per vero, ai sensi degli artt. 56 e 629 c.p. in relazione al capoverso dell’art. 628 c.p., pari ad anni due di reclusione ed Euro 344,00 (considerata la massima riduzione di 2/3 per il tentativo) sicchè la pena fissata dal giudice di primo grado di anni quattro di reclusione ed Euro 1.000 di multa non era di per sè illegale, ma esercizio di un potere discrezionale. Ne consegue che l’aumento stabilito dal giudice di secondo grado, peraltro senza motivazione alcuna, ubbidisce a una ragione di adeguamento proporzionale alla gravità del fatto nell’esercizio ancora una volta, dunque, di un proprio potere discrezionale, del tutto interdetto dall’art. 443 c.p.p. sopra citato.

5.2 – Il secondo motivo di gravame è invece privo di pregio e va rigettato.

5.2.1 – Occorre per vero rilevare che, nella fattispecie, è applicabile l’art. 63 c.p.p., comma 1 e non il comma 2 dello stesso articolo, posto che il propalante è persona offesa del reato e dunque soggetto nè imputato nè indagato e dunque non si tratta di persona che avrebbe dovuto sin dall’inizio essere assistita da un difensore. Nella fattispecie va richiamata inoltre la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, ai sensi dell’articolo citato, l’assenza del difensore determina l’inutilizzabilità delle dichiarazioni pregiudizievoli al soggetto che viene sentito, nei limiti delle dichiarazioni cantra se (Cass., Sez. 6, 20 giugno 1994, n. 10775, rv.

200171, P.M. e Bruzzaniti ed altri. P.M. Albano.) La normativa richiamata è prevista infatti, per sua esclusiva ratio, quale garanzia del medesimo loquens affinchè non deponga a suo danno senza essere informato che potrebbe avvalersi della facoltà di non rispondere.

5.3 – Parimenti manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione.

5.3.1 – Da respingersi è anche la doglianza in relazione alla pretesa erronea valutazione di sussistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7. La circostanza aggravante in questione si applica per vero a tutti coloro, partecipi o non di qualche sodalizio criminoso, la cui condotta sia riconducibile a una delle due forme in cui può atteggiarsi (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) e, per i soggetti partecipi, opera anche con riferimento ai reati-fine dell’associazione (Sez. 1, 20 dicembre 2004, n. 2612, P.G. in proc. Tornasi ed altri, rv. 23045). Nella vicenda per cui è giudizio è stato in modo condivisibile evidenziato dal giudice di merito come il metodo mafioso sia stato rilevabile non tanto e non solo dalla metodica propria del commesso reato, ma anche nel significato che il fatto ha in relazione alla consorteria criminosa cui si riferisce. Peraltro il giudice di merito non ha isolato la condotta censurata nell’ambito dell’unico episodio indicato dalla difesa, ma l’ha calata nella condotta complessivamente tenuta nella vicenda, come rilevabile dalle captazioni ambientali e telefoniche e da quanto riferito dalla parte lesa, facendogli così assumere la connotazione che gli è propria per la maggior aderenza con la realtà. 5.3.2. – Come evidenzia inoltre la Corte territoriale, nulla autorizza a ritenere che il B. abbia effettivamente agito come "amico" e non nell’esclusivo interesse della consorteria, atteso che è il prevenuto che, di fronte all’ennesima resistenza del Be., proferisce la frase minacciosa "adesso vi mandano i casalesi a chiudere il cantiere" con ciò corroborando la matrice della condotta illecita e l’impronta mafiosa della estorsione, rendendo del tutto non rilevante l’incensuratezza dell’imputato, visto che egli era comunque conosciuto dalla parte lesa come personaggio gravitante nell’orbita del clan Belforte.

6. – Il primo motivo di ricorso dell’impugnativa T. è infondato.

6.1 – Il giudice di secondo grado ha posto in chiara evidenza che il soggetto interlocutore del B., nella captazione ambientale del 5 febbraio 2008, colui il quale cioè incitava il B. medesimo a vincere la resistenza del Be. a corrispondere il dovuto, passando alla violenza, è stato riconosciuto dalla polizia giudiziaria come il T.. Il ruolo svolto dal prevenuto in un momento cruciale della vicenda, come fa implicitamente intendere la sentenza, è stato tale da poter essere censurato con la sentenza di condanna.

6.2. – Giova peraltro ribadire che questa Corte si è già espressa sul punto della autonomia probatoria delle intercettazioni avendo ritenuto che "le dichiarazioni, captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata, con le quali un soggetto si autoaccusa della commissione di reati hanno integrale valenza probatoria, non trovando applicazione al riguardo gli artt. 62 e 63 c.p.p., giacchè l’ammissione di circostanze indizianti fatta spontaneamente dall’indagato nel corso di una conversazione legittimamente intercettata non sono assimilabili alle dichiarazioni da lui rese dinanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, e le registrazioni e i verbali delle conversazioni non sono riconducibili alle testimonianze "de relato" su dichiarazioni dell’indagato, in quanto integrano la riproduzione fonica o scritta delle dichiarazioni stesse delle quali rendono in modo immediato e senza fraintendimenti il contenuto" (Cass., Sez. 4, 2 luglio 2010, n. 34807, Basile e altri, rv. 248089). Ed è comunque appena il caso di rammentare come la Corte territoriale abbia evidenziato che il riscontro, nella fattispecie, sia stato fornito dal riconoscimento della voce del prevenuto da parte dell’operatore di polizia giudiziaria.

6.3. – Inammissibile perchè generica e inducente una rivalutazione in fatto delle argomentazioni già esposte dal giudice della cognizione è la doglianza che attiene alla mancanza di chiarezza del contenuto delle conversazioni riferite al T..

La stretta contiguità temporale del colloquio intercettato e il precedente incontro dei prevenuti con la parte lesa presso l’officina Iorio, assegnano, secondo la motivazione argomentata del giudice di merito, un significato inequivoco alle affermazioni captate nel senso propugnato dalla pubblica accusa.

6.4. – Infondata è anche la doglianza che attiene alla non riconducibilità dell’utenza indicata dal giudice nella sentenza e il ricorrente. La sentenza, con chiarezza, fa riferimento al fatto inequivocabile che, sull’utenza in parola, il T. aveva ricevuto la telefonata della propria moglie.

6.5 – Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile. Trattasi di mere rivalutazioni di quanto già deciso dal giudice con argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici. Sulla questione si richiama quanto più sopra evidenziato ai punti 5.3.1. e 5.3.2..

6.6 – Il terzo motivo di ricorso è invece fondato e va accolto secondo quanto già espresso al paragrafo 5.1.1. 6.7 – Il quarto motivo di ricorso è altresì fondato e deve essere accolto: effettivamente la sentenza nulla argomenta sulla mancata applicazione delle attenuanti generiche.

4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 624 c.p.p. come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di entrambi gli imputati limitatamente alla determinazione della pena e, nei confronti del solo T., limitatamente alle attenuanti generiche e rinvia per nuovo giudizio sui punti anzidetti ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.

Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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