Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-05-2011) 22-06-2011, n. 25034 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 giugno 2010, la Corte d’Appello di Napoli confermava la sentenza con la quale, in data 14 maggio 2009, il Tribunale di Nola aveva affermato la penale responsabilità di F.M., V.A., V.E., A. A.L. e S.L. per i reati di cui agli artt. 81 cpv., 609 octies e 609 ter c.p., art. 61 c.p., n. 11.

Costoro erano infatti accusati di avere, in concorso ed in riunione tra loro e con altri soggetti non identificati ed in più occasioni, usato violenza e minaccia nei confronti della minore VI. E., nata il (OMISSIS) e, pertanto, minore di anni dieci, imponendole di non dire nulla ed impedendole di gridare mediante l’applicazione di nastro isolante sulla bocca e con abuso di autorità e di relazioni domestiche, stante la qualità di genitori di V.E. e A.A.L., di nonno paterno di V.A. e di soggetto convivente di F.M., costringendola così a compiere e subire atti sessuali consistiti in toccamenti delle parti intime determinanti lesioni della membrana imenale ed in rapporti orali.

Avverso tale decisione F.M., V.A. e S.L. proponevano ricorso per cassazione.

In particolare, il V. ed il S., con separati ricorsi di identico contenuto, deducevano, premessa una ricostruzione dei fatti, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale non avrebbe tenuto in considerazione alcuni rilievi circa la nullità o inutilizzabilità di dati processuali prospettati dalla difesa.

In particolare, l’individuazione fotografica eseguita dalla persona offesa non era stata preceduta dalla preventiva descrizione del soggetto da riconoscere; la deposizione del teste dott. VI., psichiatra infantile, non era utilizzabile in quanto non nominato perito del Tribunale o consulente del Pubblico Ministero; l’incidente probatorio era stato condotto non correttamente, senza fonoregistrazione e senza osservare le indicazioni della cd. Carta di Noto.

Aggiungevano che i giudici dell’appello si erano appiattiti sulla decisione di primo grado, omettendo di esaminare compiutamente tutti gli elementi loro offerti e mancava, infine, una puntuale motivazione in merito alla negata concessione delle attenuanti generiche.

F.M., con un primo motivo di ricorso, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per consentire un nuovo esame della minore parte lesa o una perizia.

Lamentava, a tale proposito, che lo svolgimento dell’incidente probatorio era connotato da gravi irregolarità nell’assunzione della prova che rendevano necessario un nuovo esame della minore e che la Corte d’Appello non aveva argomentato in maniera sufficiente la decisione di non dare seguito alla richiesta.

Il giudice aveva infatti condotto personalmente l’esame ed aveva concesso alle parti di formulare soltanto residuali domande senza consentire loro di ascoltare la bambina mentre raccontava liberamente gli avvenimenti relativi agli abusi subiti. Su tali rilievi, puntualmente formulati, la Corte territoriale non aveva fornito risposta.

Con un secondo motivo di ricorso rilevava, infine, il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

Tutti insistevano per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato, con riferimento alla posizione di V.A., che è pervenuto certificato di morte dello stesso e, pertanto, la conseguente estinzione del reato comporta l’annullamento senza rinvio dell’impugnata decisione.

Gli altri ricorsi sono infondati.

Occorre in primo luogo rilevare come gli stessi siano connotati da una sostanziale genericità e ripropongano questioni che la Corte territoriale ha compiutamente affrontato dopo aver più volte ricordato che le doglianze mosse con l’atto di appello erano state già sottoposte all’esame dei giudici di prime cure e da questi puntualmente analizzate.

Si tratta, in particolare, di questioni inerenti, per lo più, alla validità o utilizzabilità di alcuni atti, mentre la ricostruzione della vicenda operata dai giudici del merito non viene posta in contestazione.

Ciò premesso, deve osservarsi, con riferimento ai ricorsi del V. e del S. che, contrariamente a quanto affermato, le questioni sollevate e già affrontate dal Tribunale sono state esaminate e ritenute infondate dalla Corte territoriale con argomentazioni del tutto immuni da censure.

In particolare, con riferimento alla individuazione fotografica effettuata dalla piccola vittima degli abusi, i giudici del merito hanno ricordato che tutte le parti processuali avevano acconsentito all’acquisizione al fascicolo processuale di tutti gli atti di individuazione fotografica ai sensi dell’art. 493 c.p.p., comma 3 e che, in ogni caso, il compimento di tale attività di indagine non richiedeva, diversamente dalla ricognizione, la previa descrizione della persona da individuare.

Si rileva, a tale proposito, che l’acquisizione concordata tra le parti di tali atti ne consentiva la piena utilizzabilità da parte dei giudici ai fini della decisione e che gli stessi, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, non potevano ritenersi inficiati da nullità o irregolarità.

Come ricordato dalla giurisprudenza di questa Corte, infatti, il riconoscimento fotografico è qualificabile come manifestazione riproduttiva di una percezione visiva riconducibile nel più generale concetto di dichiarazione, con la conseguenza che la sua forza probatoria non scaturisce dalle modalità formali del riconoscimento ma, come avviene per la testimonianza, dal valore della dichiarazione confermativa (Sez. 6 n. 6582, 12 febbraio 2008; Sez. 2 n. 5043, 9 febbraio 2004; Sez. 2 n. 47871, 15 dicembre 2003; Sez. 5 n. 12027, 21 ottobre 1999), esso non è disciplinato dal codice di rito e costituisce un accertamento di fatto che il giudice può utilizzare in base ai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento, in quanto la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (Sez. 5 n. 22612, 29 maggio 2009; Sez. 1 n. 32436, 1 agosto 2008;

Sez. 2 n. 25762, 25 giugno 2008; Sez. 4 n. 16902, 9 aprile 2004).

Inoltre, la natura di atto di indagine atipico della individuazione fotografica ne evidenzia la differenza con la ricognizione, che è espressamente regolata dal codice di rito e ne consente l’utilizzazione ai fini della decisione anche se compiuta senza particolari formalità (Sez. 5 n. 33118,17 settembre 2001; Sez. 5 n. 12027/99 cit.).

Altrettanto correttamente la Corte territoriale ha ribadito la piena utilizzabilità delle dichiarazioni del teste VI., psichiatra infantile il quale aveva esaminato la parte lesa nell’ambito di una consulenza psicodiagnostica effettuata per conto del Tribunale per i minorenni di Napoli, in quanto oggetto di testimonianza su circostanze direttamente apprese nell’espletamento del proprio ufficio di perito.

Non meno corretta appare, inoltre, la valutazione operata dalla Corte territoriale in merito alla regolarità dell’incidente probatorio, posta in contestazione in tutti i ricorsi.

Anche sul punto i giudici dell’appello hanno ricordato che le doglianze mosse in tal senso erano del tutto analoghe, se non addirittura identiche, a quelle puntualmente confutate dal primo giudice e, con argomentazioni del tutto immuni da vizi logici, hanno chiarito come le modalità di espletamento dell’atto erano state necessariamente considerate tenendo conto dell’età e delle condizioni della persona offesa la quale, anche in ragione dell’attesa di oltre quattro ore dovuta ad un ritardo nella traduzione di uno degli imputati detenuti, manifestava difficoltà di concentrazione che richiedevano sollecitazioni da parte di chi conduceva l’esame.

Veniva anche rilevata la necessità dei contatti preliminari per la familiarizzazione della bambina e la non rispondenza al vero dell’affermazione secondo la quale non si era consentito alla stessa di procedere ad un racconto libero dei fatti. La Corte territoriale, inoltre, illustra in oltre cinque pagine le ragioni per le quali ha ritenuto la piena validità dell’incidente probatorio, analizzando ciascun elemento critico prospettato dalle difese.

Anche sul punto, pertanto, la sentenza impugnata non viene intaccata dalle doglianze evidenziate nei ricorsi.

Del tutto irrilevante risulta, infine, l’inosservanza delle indicazioni contenute nella cd. Carta di Noto, dal momento che, come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte, non sussiste alcun obbligo di osservare, nell’esame di soggetti minorenni abusati sessualmente, il suddetto documento che non ha alcun valore normativo e contiene meri suggerimenti diretti a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso (Sez. 3 n. 20568, 22 maggio 2008). Ne consegue che l’eventuale inosservanza delle prescrizioni in essa contenute non comporta nullità dell’esame (Sez. 3 n. 6464, 11 febbraio 2008).

La ritenuta irregolarità formale dell’incidente probatorio è posta a sostegno anche dell’ulteriore doglianza mossa con il ricorso di F.M. e concernente la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

Anche tale assunto si palesa del tutto infondato.

Va ricordato, a tale proposito, che dall’esame della motivazione della sentenza impugnata emerge chiaramente come la Corte d’Appello abbia correttamente applicato il disposto dell’art. 603 c.p.p. in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

La richiamata disposizione, infatti, consente tale possibilità al giudice dell’appello solo nel caso in cui ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.

Si tratta, pertanto, di un’evenienza del tutto eccezionale, poichè deve superare la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado, alla quale il giudice può ricorrere solo quando a ritenga necessaria ai fini della decisione (così Sez. 3 n. 24294, 25 giugno 2010).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto superflua la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, evidenziando non solo le ragioni per le quali si riteneva del tutto valido, come si è già detto, l’incidente probatorio espletato, ma anche la imponenza dei dati probatori acquisiti.

Invero, non solo è stata ampiamente considerata la piena attendibilità della persona offesa ma viene dato anche ampio risalto, con puntuale analisi, dei numerosi riscontri alle dichiarazioni della stessa e consistenti nelle dichiarazioni delle numerose persone che raccolsero le confidenza della bambina, nelle risultanze della consulenza psicodiagnostica ed in quelle della consulenza ginecologica nonchè in ulteriori dati fattuali acquisiti indicati in dettaglio e con completezza nella motivazione dell’impugnata decisione.

La Corte territoriale correttamente ricorda, inoltre, come un ulteriore elemento impeditivo della richiesta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale doveva rinvenirsi nel disposto dell’art. l90 bis c.p.p., comma 1 bis e nell’esigenza di non sottoporre ad ulteriore stress la piccola vittima di abusi ormai da tempo collocata in una nuova famiglia.

La sentenza impugnata non presenta, inoltre, alcun profilo di illegittimità neppure con riferimento alla negata concessione delle attenuanti generiche oggetto di critica in tutti i ricorsi.

Occorre infatti ricordare che la concessione delle attenuanti generiche presuppone la sussistenza di positivi elementi di giudizio e non costituisce un diritto conseguente alla mancanza di elementi negativi connotanti la personalità del reo, cosicchè deve ritenersi legittimo il diniego operato dal giudice in assenza di dati positivi di valutazione (Sez. 1 n. 3529, 2 novembre 1993; Sez. 6 n. 6724, 3 maggio 1989; Sez. 6 n. 10690, 15 novembre 1985; Sez. 1 n. 4200, 7 maggio 1985).

Inoltre, riguardo all’onere motivazionale, deve ritenersi che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o risultanti dagli atti, ben potendo fare riferimento esclusivamente a quelli ritenuti decisivi o, comunque rilevanti ai fini del diniego delle attenuanti generiche (v. Sez. 2 n. 3609, 1 febbraio 2011; Sez. 6 n. 34364, 23 settembre 2010) con la conseguenza che la motivazione che appaia congrua e non contraddittoria non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità neppure quando difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei reclamati elementi attenuanti invocati a favore dell’imputato (Sez. 6 n. 42688, 14 novembre 2008; Sez. 6 n. 7707, 4 dicembre 2003).

Sul punto la Corte d’appello ha chiaramente specificato che la determinazione della pena operata dal primo giudice doveva ritenersi pienamente condivisibile in ragione della eccezionale gravità delle condotte poste in essere e che la reiterazione nel tempo di simili condotte evidenziava la piena legittimità di una valutazione di estrema pericolosità sociale dei prevenuti.

Tale risolutiva valutazione appare del tutto esaustiva ai fine dell’assolvimento dell’obbligo motivazionale.

I ricorsi devono pertanto essere rigettati con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza, impugnata nei confronti di V.A. per morte dell’imputato. Rigetta i ricorsi di F.M. e S.L. e li condanna ciascuno al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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