Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-05-2011) 22-06-2011, n. 25026 Costruzioni abusive e illeciti paesaggistici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di S.U. in ordine ai reati: a) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c); b) di cui al D.Lgs n. 42 del 2004, art. 181, a lui ascritti per avere eseguito lavori edili diretti alla realizzazione di una struttura coperta a piano terra e di un vano al primo piano in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza il permesso di costruire e senza l’autorizzazione dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva eccepito la nullità del decreto di citazione a giudizio e quella conseguente della sentenza di primo grado; dedotto l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato, in quanto il manufatto ricade in zona completamente urbanizzata; l’insussistenza del reato per avere lo S. provveduto a demolire l’opera; la mancanza di danno civile risarcibile nei confronti del Comune di Ugento. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente, denunciando violazione ed errata applicazione degli artt. 415 bis, 181 e 491 c.p.p. ripropone l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio e degli atti consequenziali.

Si osserva che nell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. era stato contestato all’imputato il solo reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), mentre con il decreto di citazione a giudizio è stato contestato un fatto diverso, costituito dalle condotte di cui alla affermazione di colpevolezza, con la conseguente violazione del diritto di difesa dell’imputato. Pertanto la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevare e dichiarare la nullità del decreto. Si aggiunge che anche la contestazione della permanenza del reato fino al 12 luglio 2005, contenuta nell’imputazione di cui al decreto di citazione per il giudizio, risulta errata, in quanto a seguito del sopralluogo effettuato dalla polizia giudiziaria il 10.2.2005 erano stati apposti i sigilli al manufatto con la conseguente cessazione delle violazioni a detta data.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, art. 22 e art. 44 lett. c) e vizi di motivazione della sentenza. Si deduce che con i motivi di appello era stata contestata la stessa sussistenza dei reati ascritti all’imputato e non solo la mancanza dell’elemento psicologico. Gli interventi eseguiti., infatti, non rientrano tra quelli per i quali è necessario, ai sensi delle disposizioni citate, il permesso di costruire, trattandosi solo della copertura di mura preesistenti e della realizzazione di un vano tecnico. La Corte territoriale ha totalmente ignorato il motivo di gravame, con conseguente carenza di motivazione della sentenza sul punto.

Per le esposte ragioni avverso il diniego della chiesta autorizzazione da parte del Comune di Ugento era stato proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, sicchè il processo penale doveva essere sospeso in attesa della definizione del procedimento giurisdizionale amministrativo. Si osserva, infine, che nella vantazione della illiceità dell’intervento edilizio si sarebbe dovuto anche tener conto che lo stesso è stato realizzato in zona completamente urbanizzata, in cui è diffuso l’abusivismo.

Con il terzo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, nonchè vizi di motivazione della sentenza.

Si deduce che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto irrilevante l’eseguita demolizione delle opere abusive, in quanto ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, la rimessione in pristino delle aree e degli immobili soggetti a vincolo prima che venga disposta di ufficio dall’autorità amministrativa o della sentenza di condanna estingue il reato. Nel caso in esame lo S. aveva chiesto di poter accedere all’immobile per procedere alla rimessione in pristino ed era stato a ciò autorizzato. Si deduce che la sentenza di primo grado ha totalmente ignorato la eseguita demolizione e quella di appello il dedotto profilo della questione prospettata dall’appellante.

Con il quarto mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311 e l’omessa pronuncia su uno dei motivi di appello.

Si deduce che ai sensi della disposizione citata il Comune ha solo un potere mediato in tema di risarcimento del danno ambientale, appartenendo la legittimazione a costituirsi parte civile solo al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Il Comune peraltro nella specie non ha fornito alcuna dimostrazione del danno subito.

Si deduce, infine, la intervenuta prescrizione dei reati ascritti all’imputato.

Con memoria la difesa del ricorrente ha ribadito le precedenti deduzioni con particolare riferimento alla tesi secondo la quale l’intervento edilizio non necessitava del permesso di costruire e alla dedotta estinzione del reato paesaggistico per la demolizione delle opere abusive.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La sentenza impugnata ha già puntualmente osservato, in relazione al primo motivo di gravame, che il difetto di contestazione nell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., come l’assenza totale di detto avviso, doveva essere eccepita nella fase degli atti preliminari al giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 491 c.p.p., trattandosi di nullità a regime intermedio.

L’eccezione, però, non risulta essere stata proposta tempestivamente in quella sede.

Il ricorrente, pertanto, ha ignorato i corretti rilievi della sentenza in punto di diritto, riproponendo l’eccezione così come formulata in appello.

L’esatta indicazione della data di cessazione della permanenza del reato si palesa irrilevante nei reati edilizi e, peraltro, essendo stato sequestrato l’immobile la data esatta era ben nota all’imputato, che poteva difendersi sul punto.

Anche il secondo motivo di ricorso si palesa manifestamente infondato.

La sentenza ha esaminato anche l’aspetto oggettivo delle condotte ascritte all’imputato, osservando correttamente che le stesse integrano le fattispecie di cui all’imputazione, in quanto la costruzione descritta nel capo a) della rubrica ha comportato una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio eseguita senza il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica. Inoltre non risulta essere stata dedotta nella sede di merito la natura pertinenziale del vano realizzato al primo piano. In ogni caso le dimensioni dello stesso, così come contestate nel capo di imputazione, appaiono incompatibili con la nozione di pertinenza.

Il giudizio penale, infine, è del tutto autonomo rispetto ai procedimenti giurisdizionali amministrativi riguardanti la richiesta del permesso di costruire, sicchè non sussiste alcuna pregiudiziale, che peraltro non risulta neppure dedotta nella sede di merito.

E’ altresì manifestamente infondato il terzo motivo di gravame.

Va in primo luogo rilevato che il ricorrente non aveva dedotto nei motivi di appello di avere proceduto alla demolizione dell’opera abusiva, sicchè la sentenza impugnata ha, tra l’altro, osservato, in relazione a quella che è stata presumibilmente una deduzione in dibattimento, che comunque manca la prova di detta demolizione.

Sicchè la denuncia di violazione di legge sul punto è esclusivamente fondata su un accertamento di fatto insussistente e di cui non è stata fornita prova nella sede di merito.

Peraltro, lo stesso ricorrente sostanzialmente afferma di aver proceduto solo ad una demolizione parziale delle opere abusive, come peraltro rilevato anche nella sentenza, in quanto avrebbe demolito la struttura in ferro posta nel resede dell’immobile e reso inaccessibile il vano tecnico.

Orbene, il D.Lgs. n. 142 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies, fa conseguire l’effetto estintivo del reato ambientale al ripristino dello stato dei luoghi e degli immobili, che deve essere totale.

Nessun effetto produce inoltre la successiva demolizione del manufatto abusivo sulla violazione edilizia.

Anche l’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente cita impropriamente il T.U. delle legge ambientali, mentre la costituzione di parte civile del Comune si riferisce al reato per la violazione edilizia in relazione al quale, secondo l’assolutamente consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, le violazioni urbanistico-edilizie determinano nei confronti dell’ente comunale un danno risarcibile, poichè violano l’interesse dell’ente pubblico alla realizzazione del programmato sviluppo urbanistico del territorio. Trattasi di un danno di natura sia patrimoniale, qualora comporti nuovi oneri o la perdita concreta di utilità o di posizioni di vantaggio delle quali l’ente territoriale fruiva, che non patrimoniale, determinato dalla mancata o ritardata realizzazione dell’interesse pubblico, (sez. 3, 12.4.2005 n. 26121, Rosato, RV 231953; sez. 3, 9.8.2002 n. 29667; sez. 3, 20.10.1983, Della Giovanna).

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c., con le conseguenze di legge, tra cui la preclusione per questa Corte di rilevare l’esistenza di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., verificatasi dopo la sentenza impugnata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2011

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