Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-11-2011, n. 23248 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che M.N., C.G. e C. L.F., con ricorso del 16 luglio 2010, hanno impugnato per cassazione – deducendo cinque motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Brescia depositato in data 3 giugno 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso delle predette ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio ha chiesto il rigetto del ricorso -, ha respinto il ricorso;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 7.375,00 ciascuna per l’irragionevole durata del processo presupposto proposta con ricorso del 6 marzo 2009 – era fondata sui seguenti fatti: a) la M. e le C. avevano proposto domanda di pagamento somme e di risarcimento dei danni dinanzi al Tribunale di Milano con citazione del 30 giugno 2003 nei confronti di B.C. e del locale Condominio (OMISSIS); b) la causa era stata decisa con sentenza del 27 maggio 2008;

che la Corte d’Appello di Milano, con il suddetto decreto impugnato:

a) ha determinato la durata complessiva del processo presupposto in tre anni e quattro mesi circa, con inizio "formale" dal 28 ottobre 2008, data della udienza di comparizione indicata dalle attrici, e con inizio "sostanziale" alla data del 13 gennaio 2005, data in cui il contraddittorio è divenuto completo a seguito della chiamata in causa di terzi da parte dei convenuti; b) ha osservato che la durata complessiva di tre anni e quattro mesi circa è del tutto ragionevole, tenuto conto della natura non complessa della causa, della pluralità delle parti coinvolte e delle diverse posizioni processuali.

Motivi della decisione

che con i motivi di censura vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la fissazione dell’inizio del processo alla data della prima comparizione delle parti, anzichè della notificazione della citazione; b) la detrazione dei rinvii per consentire l’integrazione del contraddittorio; c) la negazione di un anno e dieci mesi circa di durata irragionevole del processo; d) la determinazione del quantum in contrasto con i parametri elaborati dalla Corte EDU;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata;

che infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo civile, il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del processo deve essere normalmente individuato, con riguardo ai processi introdotti con atto di citazione, nel momento della notifica di tale atto, con la quale il processo stesso inizia, salva l’ipotesi in cui si accerti l’intento dilatorio della parte sotteso alla indicazione di un abnorme intervallo tra la data della notifica e la data indicata per la prima udienza (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 6322 del 2011, nonchè l’ordinanza n. 23323 del 2007);

che anche la censura sub b) è manifestamente fondata;

che infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, ai fini della eventuale ascrivibilità all’area della irragionevole durata del processo dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., la violazione della durata ragionevole discende non – come conseguenza automatica – dal fatto che sono stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dalla citata L. n. 89 del 2001, art. 2, con la conseguenza che da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando invece gli altri rinvii addebitabili alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla pubblica amministrazione evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 11307 del 2010);

che, nella specie, la motivazione della Corte di Milano al riguardo è estremamente carente, apodittica e contraddittoria, nella misura in cui evoca una serie generica di rinvii addebitandoli tutti implicitamente al comportamento processuale delle odierne ricorrenti, nonostante l’esplicito riconoscimento che tali rinvii furono determinati non già dalle ricorrenti ma dalla necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di terzi chiamati in causa su istanza dei convenuti;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato;

che le censura sub c) e sub d) sono assorbite;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che il processo presupposto ha avuto una durata complessiva di circa quattro anni ed undici mesi, sicchè, detratti tre anni di ragionevole durata, il periodo di irragionevole durata va definitivamente determinato in un anno ed undici mesi;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che pertanto, nella specie, sulla base di tali criteri, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va equitativamente determinato in Euro 1.450,00 per l’anno ed undici mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi -, in complessivi Euro 1.150,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 400,00 (Euro 280,00+Euro 120,00 per le altre due ricorrenti) per diritti ed Euro 700,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio, compensate per la metà in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento a ciascuna ricorrente della somma di Euro 1.450,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.150,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 400,00 per diritti ed Euro 700,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, nella metà dell’intero, intero che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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