Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 04-05-2011) 22-06-2011, n. 25000

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18 giugno 2010 depositata il 26 agosto 2010, la Corte di Cassazione, 6A sezione penale, ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Venezia del 20.11.2007 nei confronti di C.G. perchè i fatti non sussistono in relazione ai reati di calunnia e tentata violenza privata addebitati.

Con atto datato 20.12.2010, depositato in Cancelleria il 4.2.2011, il difensore della parte civile D.S.G., premesse considerazioni in diritto per sostenere la legittimazione ovvero la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 625 bis c.p.p. per la parte in cui legittima al ricorso solo il procuratore generale o il condannato, ha proposto ricorso a norma dell’art. 625 bis c.p.p. contro la suddetta sentenza per l’evidente errore in cui era incorsa nell’escludere il delitto di calunnia perchè, come accertato dai giudici di merito, il dott. C. aveva accusato la Dott.ssa D. S. del reato di falso e nell’escludere il delitto di violenza privata perchè dalle sentenze di primo e secondo grado era risultata la palese volontà di costringere la persona offesa a ritirare la propria candidatura alla carica di primario.

Motivi della decisione

L’art. 625 bis c.p.p. ammette la richiesta per la correzione dell’errore materiale o di fatto soltanto a favore del condannato e legittima alla proposizione della relativa istanza il procuratore generale o il condannato.

D.S.G., costituita parte civile, non è stata condannata e quindi non è legittimata a proporre ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p..

La giurisprudenza di questa Corte e costante nel ritenere che il ricorso, improponibile in rito, deve essere dichiarato inammissibile con le conseguenze tutte di legge. Deve rilevare invero questa Corte regolatrice come il testo della norma invocata dal ricorrente per legittimare la sua richiesta ricorso straordinario per errore di fatto, ex art. 625 bis c.p.p. – ne limiti espressamente l’esperibilità al condannato ed al Procuratore Generale.

Tale dato normativo, ovviamente del tutto pacifico nel suo obbiettivo contenuto letterale, è del resto ben presente alla ricorrente, che nel processo riveste la qualità di parte civile, che invero – posto tale indiscutibile presupposto normativo – invoca interpretazione estensiva della norma in esame, ovvero solleva questione di legittimità infondatezza, la violazione dell’art. 24 Cost., dappoichè la limitazione al ricorso di un rimedio processuale di carattere straordinario non appare ragionevolmente idonea a comprimere il diritto alla difesa nè, tampoco, il diritto ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti.

Nel caso di specie il titolare di situazioni giuridiche soggettive di natura civilistica ha ancora la possibilità di sottoporre a delibazione giudiziale la sua pretesa senza dover necessariamente stazionare nell’ambito della giurisdizione penale. Quanto, infine, al potere di ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., in capo al Procuratore Generale, se del caso esercitato a richiesta della parte civile, è noto che secondo questa Corte "Il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, che ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., può essere proposto soltanto dal condannato e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione nell’esclusivo interesse del condannato stesso, non può essere avanzato a favore della parte offesa" (Cass. Sez. 5, 19/06/2002, n. 35186, ric. Marcon). Nè siffatta limitazione può meritare censure di coerenza costituzionale per le ragioni già innanzi rappresentate, riferite, per un verso, all’eccezionalità dell’istituto e, per altro verso, alla legittima scelta del legislatore di limitare il ricorso ad esso alle sole parti necessarie del processo".

In definitiva il ricorso, improponibile in rito, deve essere dichiarato inammissibile. Restano assorbite le questioni di merito.

Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, che in ragione dei profili di colpa rinvenibili nelle rilevate cause di inammissibilità, si quantifica in Euro mille in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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