CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – SENTENZA 2 agosto 2010, n.17993 CONDOMINIO E PARTI COMUNI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

RICORSO PRINCIPALE PROPOSTO DA M. E L. (N. 16234/04 R.G.).

Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ., delle regole ermeneutiche di interpretazione del contratto nonché carenza ed illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), censurano la decisione gravata che, nel ritenere non applicabile la presunzione di cui alla citata norma, aveva escluso la comunione della terrazza in considerazione del fatto che non svolgeva soltanto funzione di copertura avendo anche quella panoramica o di belvedere, laddove invece sono oggetto di comunione anche le terrazze a livello in cui non sia comunque estranea tale funzione di copertura, funzione comunque svolta dai lastrici solari e dalle terrazze a livello; erroneamente la Corte aveva enunciato il principio secondo cui la funzione di belvedere della terrazza ne supporrebbe l’appartenenza allo stesso piano a cui rende utilità atteso che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’attribuzione legale della terrazza in proprietà condominale ai proprietari di piano o di porzioni di piano, è derogabile solo in virtù di titolo contrario che ne stabilisca il diverso regime di proprietà superficiaria a favore dell’acquirente dell’immobile ad essa Co.guo.

Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ. nonché contraddittorietà e illogicità della motivazione, censurano la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che, non essendo menzionata nelle scritture del 28-4-1982, doveva escludersi che la terrazza avesse formato oggetto di comproprietà quando successivamente la stessa sentenza – relativamente alla corte comune – aveva espresso il principio secondo cui la comproprietà può essere esclusa solo se l’atto lo specifichi, altrimenti va ricompresa, senza peraltro indicare le ragioni in base alle quali avevano risolto in modo diametralmente opposto problematiche similari; le terrazze di copertura devono essere assimilate ai tetti e ai lastrici solari ai fini del’applicazione della presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ.

Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando il vizio di motivazione consistito nell’omesso esame di documenti concernenti un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), censurano la sentenza per avere omesso di esaminare il contratto di acquisto da cui era emerso che essi ricorrenti avevano acquistato il fabbricato contrassegnato con la particella n. 58 da terra a tetto, che era nettamente separato dalle proprietà limitrofe ed in particolare dalla particella n. 61 che corrisponde alla villa principale, per cui, in mancanza di espressa previsione contraria, la terrazza di copertura del fabbricato, del quale costituisce parte integrante, era stata acquistata dal M. e dalla L.: la volontà delle parti di separare le proprietà – separazione avvenuta con il frazionamento allegato agli atti di compravendita – trovava conferma nel fatto che originariamente, quando era di proprietà della società venditrice, il complesso immobiliare era rappresentato catastalmente senza alcuna separazione fra il resede della villa principale e il fabbricato di proprietà degli attori M. e L..

Con il quarto motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale (art. 1362-1371 cod. civ.), dell’art. 1021 cod. civ. nonché vizio di motivazione, censurano la sentenza laddove, nell’avere attribuito la proprietà della terrazza al proprietario della villa padronale in considerazione del preesistente stato di fatto, aveva erroneamente interpretato la scrittura del 12-11-1984 avendo confuso il diritto di uso con quello di proprietà, tenuto conto che – a stregua del tenore letterale della predetta scrittura – lo stato di fatto preesistente consisteva soltanto nel diritto di godimento esclusivo della terrazza a favore della società venditrice la quale era pertanto titolare soltanto del diritto di uso, del quale essi attori avevano chiesto l’accertamento dell’avvenuta estinzione, e del quale sarebbe stato inutile affermare esplicitamente l’esistenza se la società fosse stata anche proprietaria della terrazza.

I motivi, essendo stranamente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Le censure sono infondate.

La sentenza ha accertato: a) che negli atti di acquisto del M. e dei danti causa della L. non si faceva alcuna menzione della terrazza de qua; b) sin da quando l’insieme costituito dai vari fabbricati rappresentavano un unico complesso appartenente all’originario proprietario, la terrazza de qua, che non aveva solo funzione di copertura dei sottostanti piani, era asservita ab origine alla Co.gua villa padronale ed era dotata di autonomo accesso da essa; c) l’esistenza, di conseguenza, di un vincolo pertinenziale fra la villa padronale e la terrazza; d) l’originaria destinazione della terrazza al servizio e ornamento della villa era dimostrata anche da quanto emerso dalla scrittura del 12-11-1984 da cui era emerso che la società venditrice era rimasta nel godimento esclusivo della terrazza, tant’è vero che gli attori avevano chiesto la declaratoria di estinzione del diritto di uso.

La stessa espressione usata nella scrittura del 6-1-1982 in cui si faceva riferimento alle porzioni sottostanti la terrazza Pacchiani inducevano la Corte ad escludere che le parti avessero inteso ricomprendere fra i beni oggetto della vendita anche detto cespite.

Orbene, ai fini di stabilire se potesse operare la presunzione di comproprietà di cui all’art. 1117 cod. civ. invocata dai ricorrenti, va considerato che il diritto di condominio sulle parti comuni dell’edificio ha il suo fondamento nel fatto che tali parti siano necessarie per l’esistenza ovvero che siano permanentemente destinate all’uso o al godimento comune. La richiamata disposizione di cui all’art. 1117 cod. civ., che Co.ene un’elencazione non tassativa ma meramente esemplificativa dei beni da considerare oggetto di comunione, può essere superata se la cosa, per obbiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, venendo meno in questi casi il presupposto per il riconoscimento di una Co.tolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.

Nella specie, occorre considerare che, secondo gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito, il fabbricato acquistato dagli attori è autonomo e distinto dalla villa Pacchiani e la sentenza ha accertato che, in considerazione della peculiare funzione della terrazza – come si è detto – risultata asservita ab origine in modo esclusivo alla villa padronale, la stessa costituisce un belvedere panoramico che conferisce particolare pregio alla villa stessa, di cui costituisce un accessorio. Evidentemente, la particolare destinazione strutturale della terrazza al godimento esclusivo della villa padronale e il valore che all’appartamento essa attribuisce hanno indotto correttamente i Giudici ad escludere che ricorressero i presupposti della comunione di cui all’art. 1117 cod. civ. D’altra parte, deve escludersi la dedotta contraddittorietà della sentenza laddove la stessa, con riferimento alla corte comune, ha applicato la presunzione di comunione posto che, come si vedrà in occasione dell’esame del primo motivo del ricorso incidentale n. 17542/2004 R.G., del tutto diversi sono i relativi presupposti fattuali. Ed allora, se in assenza dei presupposti di cui all’art. 1117 citato il silenzio del titolo non avrebbe potuto assumere alcuna rilevanza, sarebbe stata necessaria una specifica previsione con cui le parti avessero inteso comprendere nell’alienazione anche la terrazza così da disporre la vendita della cosa accessoria separatamente da quella principale rimasta in proprietà della venditrice (art. 818 secondo comma cod. civ.). Invero la sentenza, nell’indagare al riguardo la volontà delle parti, ha ricercato la comune intenzione attraverso l’interpretazione delle scritture del 28-4-1982 e del 6-1-1982, correttamente verificando, secondo i criteri di cui all’art. 1362 cod. civ., anche il comportamento complessivo tenuto dai contraenti prima e dopo il contratto di vendita. Ed invero la sentenza, nel procedere alla ricostruzione della volontà contrattuale, ha correttamente preso in esame anche quanto le parti avevano dichiarato nella scrittura del 6-1982 in cui le stesse, nell’individuare i beni compravenduti, avevano fatto riferimento alle porzioni sottostanti alla terrazza Pacchiani, pervenendo così alla conclusione che la mancata espressa menzione della terrazza nel rogito d’acquisto di tale bene ha comportato che la terrazza sia rimasta in proprietà del soggetto proprietario della Villa Pacchiani, di cui faceva parte. D’altra parte, il riferimento alla scrittura del 12-11-1984, dal quale era risultato che a distanza di due anni dalla vendita la società venditrice era rimasta nel godimento esclusivo della terrazza, è stato dai Giudici compiuto al fine di sottolineare che la predetta terrazza aveva mantenuto la funzione di asservimento, così da ritenere dimostrato l’esistenza e il permanere dell’originario vincolo pertinenziale, avendo chiarito come con tale scrittura era stata regolata la necessaria compartecipazione alle spese di tutti i condomini nelle proporzioni di cui all’art. 1126 cod. civ. In merito poi, al significato che dalle espressioni contenute nel rogito ovvero se dal mancato autonomo accatastamento della terrazza dovesse ritenersi che nell’oggetto del trasferimento fosse compresa anche la terrazza, la denuncia si risolve nelle censura relativa all’operazione ermeneutica riservata al giudice di merito che, come tale, è incensurabile in sede di legittimità.

RICORSO INCIDENTALE PROPOSTO DA T., CE., PA. CARLO E PA. NICOLA (N. 17542/2004 R.G.).

Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1363, 1366, 1369 e ss., 817, 818 e 819 cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), deducono che avevano contestato la tesi difensiva sostenuta dal M. e dalla L. di avere acquistato la comproprietà del cortile, tenuto conto che nei contratti definitivi di trasferimento degli immobili dai medesimi acquistati non se era fatta menzione: anzi la corte veniva indicata come confine dei beni alienati né, d’altra parte, era stata espressa la volontà da parte delle venditrice di costituire su di essa un vincolo pertinenziale o vi era alcun riferimento all’esistenza di accessori; nel contratto di acquisto del M. si precisava che la corte è di uso e a servizio di tutti i fabbricati che da essa hanno accesso ed in conseguenza di ciò la X a Lucignano II aveva manifestato la volontà di procedere a modifica dell’accampionamento catastale, visto che la corte risultava come accessorio del solo mappale 62; pertanto, la corte restava di proprietà della venditrice che riconosceva un diritto di uso a favore degli immobili venduti che vi avevano accesso. D’altra parte, non poteva trovare applicazione l’art. 1117 cod. civ. che disciplina la comunione forzosa nel condominio, mentre le porzioni di fabbricato acquistate dagli attori erano unità immobiliari autonome ricavate nel complesso villa Pacchiani, costituito da più corpi di fabbrica distinti l’uno dall’altro senza alcun vincolo di condominialità, ed alienate singolarmente: non poteva configurarsi alcuna comunione fra il fabbricato degli attori e tutti gli altri.

La sentenza, nel ritenere che, a differenza di quanto ritenuto a proposito della compravendita effettuata a favore dalla Ta., il M. e la L. avevano acquistato la comproprietà del cortile, era caduta in contraddizione perché, pur rilevando che nell’atto di alienazione la corte non era menzionata e che anzi la stessa era indicata come confine dei beni venduti, aveva poi ritenuto che il bene era stato oggetto di trasferimento. Pur essendo stato nel contratto specificato che il cortile era di uso e al servizio di tutti i fabbricati che da esso avevano accesso, aveva interpretato l’aggettivo comune nel senso di comune a chi vende e a chi compra.

La sentenza era contraddittoria ed illogica, perché, se si fosse ritenuto applicabile l’art. 1117 cod. civ., non sarebbe stato necessario pattuirne il trasferimento, che in tal caso opera de iure; la decisione era illogica laddove aveva invece escluso il diritto per quanto concerne va la Ta. e aveva riconosciuto al M. una quota di comproprietà: in mancanza di determinazione, le quote si presumono uguali con la conseguenza che la venditrice e l’acquirente sarebbero stati comproprietari al 50% ma, avendo poi la venditrice alienato ai Fornari – Clemente, non si comprendeva chi avesse acquistato il 50% dell’intero e chi il 50% della venditrice, a meno di escludere che i predetti avessero acquistato la corte di cui non era fatta menzione nell’atto; d’altronde, se l’acquisto da parte del M. era stato effetto della apposita clausola inserita nel contratto preliminare intervenuto con quest’ultimo non si comprendeva come potesse ritenersi la comproprietà anche a favore dei Fornari – Clemente sul rilievo che “non dissimile è il tenore della coeva scrittura di acquisto dei coniugi Fornari – Clemente”.

Il motivo va accolto nei limiti di cui si dirà infra.

La sentenza gravata ha accertato – a stregua di quanto previsto nel contratto di trasferimento del 28-4-1982 a favore del M. e in quello coevo (di contenuto non dissimile dal primo) stipulato con i danti causa della L. – che la corte de qua “è al servizio e di uso comune a tutti i predetti fabbricati che da essa hanno accesso”: con la scrittura del 6-1-1982, che era stata conclusa qualche mese prima del contratto definitivo era stato previsto che “essa verrà accampionata come accessorio comune ai fabbricati che da essa hanno accesso” con l’obbligo assunto dalla venditrice (non trasfuso nell’atto di acquisto del 28-4-1982) di trasferirne la proprietà della stessa senza corrispettivo agli interessati in base ai rispettivi diritti di proprietà. Pertanto, pur non essendo menzionata fra i beni oggetto del trasferimento, doveva considerarsi comune in considerazione della destinazione e della funzione del cortile, avendo al riguardo i Giudici ritenuto che la comproprietà della corte scaturiva dalla presunzione legale di cui agli artt. 1117 cod. civ.

Orbene, è appena il caso di ribadire che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti incidentali, la presunzione legale di comunione di taluni beni, stabilita dall’art. 1117 cod. civ., è senz’altro applicabile anche nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano. E, come si è detto, nella specie l’attitudine del cortile a svolgere tale funzione è stata accertata dalla decisione impugnata nell’ambito dell’indagine riservata al giudice di merito, tenuto conto che l’espressione “l’uso e il servizio comune dei fabbricati che da essa hanno accesso” stava ad indicare le caratteristiche funzionali dei beni indicati dall’art. 1117 cod. civ. E peraltro la sentenza, nell’applicare la presunzione di comproprietà ed escludere che agli acquirenti dei fabbricati fosse stato attribuito soltanto l’uso ovvero un diritto di servitù, i Giudici non hanno tenuto nella giusta considerazione quanto in precedenza avevano rilevato in sede di esame dell’atto del 4-11-1981 stipulato con la Ta., laddove avevano ritenuto che quest’ultima aveva acquistato una servitù di passo attraverso la corte di accesso mentre la relativa proprietà era rimasta alla società venditrice che con il contratto definitivo aveva assunto l’obbligo di trasferirla all’interessata, obbligo che avrebbe perciò dovuto attuarsi con un successivo atto mai posto in essere: obbligo che, del resto, era previsto anche nella scrittura del 6-1-1982 con il M. e i danti causa della L., obbligo peraltro – a differenza di quanto previsto nell’atto di vendita intercorso con la Ta. – non trasfuso nei contratti definitivi conclusi con questi ultimi. Ma allora, se con la compravendita del 4-11-1981 che aveva preceduto i contratti di acquisto stipulati con gli altri attori la società venditrice non aveva trasferito la proprietà della corte che di conseguenza avrebbe a sé riservato, tale circostanza avrebbe dovuto essere valutata al fine di verificare se, nel silenzio del titolo di acquisto del M. e dei danti causa della L., potesse operare la presunzione legale di cui all’art. 1117 cod. civ. ovvero se la stessa fosse stata derogata dal titolo contrario, cioè dalla riserva di proprietà contenuta nella scrittura del 4-11-1981 conclusa con la Ta. ed in tal caso agli acquirenti sarebbe stato possibile riconoscere soltanto l’uso del cortile, giacché – ove quello concluso con la Ta. fosse stato il primo atto di trasferimento dei vari fabbricati al servizio dei quali era destinata la corte – tale atto sarebbe stato titolo idoneo a superare la presunzione di cui all’art. 1117 cod. civ., in quanto rappresentava l’atto che, attribuendo a soggetti diversi il diritto appartenuto all’originario unico proprietario, avrebbe determinato, in assenza di contraria pattuizione, la costituzione della comunione della corte fra i proprietari dei diversi fabbricati al servizio dei quali la stessa era destinata.

Pertanto, la motivazione è carente laddove la sentenza non ha compiuto la necessaria indagine di cui si è detto.

Con il secondo motivo i ricorrenti, lamentando nullità per omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ., violazione degli artt. 1480,1483, II e 1484 cod. civ. artt. 91 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, censurano la sentenza relativamente al rigetto della domanda di manleva proposta nei confronti della Y relativamente alla comproprietà della corte: il motivo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale e dal conseguente annullamento della statuizione che ha dichiarato la comproprietà della corte.

Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonché violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., censurano la sentenza laddove, senza alcuna giustificazione e senza che fossero stati specificati i giusti motivi ivi menzionati, erano state integralmente compensate le spese del doppio grado di giudizio relative al rapporto intercorso con la Ta., nonostante che la predetta fosse risultata soccombente.

Il motivo è fondato.

La sentenza ha integralmente compensato le spese del doppio grado di giudizio relative al rapporto intercorso con la Ta. senza alcuna motivazione, non potendo certo ritenersi soddisfatto tale obbligo con la non meglio precisata indicazione di giusti motivi che non potevano essere ricavati dall’esito complessivo della lite, tenuto conto che non solo la Ta. è stata riconosciuta soccombente in entrambi i gradi del giudizio ma che la stessa sentenza, nell’escludere il diritto di comproprietà del cortile a favore della Ta. di cui aveva messo in evidenza la peculiare posizione, aveva evidenziato che il testo contrattuale era al riguardo troppo chiaro, intendendo con ciò dire che la previsione dell’obbligo di cui alla scrittura del 4-11-1982 rendeva palese la necessità di un atto di trasferimento del diritto che nella specie invece non vi era stato.

Con il quarto motivo i ricorrenti, lamentando omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonché violazione degli artt. 96 e 112 cod. proc. civ., censurano la sentenza impugnata laddove non era stata accolta la domanda di responsabilità aggravata tenuto conto dell’assoluta insufficienza della motivazione con cui la Corte, facendo riferimento all’eccessività della pretesa risarcitoria ex art. 96 di cui francamente si poteva fare a meno, aveva respinto l’appello. In sostanza i ricorrenti lamentano, in relazione alla questione della proprietà della terrazza, il vizio della motivazione con cui era stato respinto l’appello da loro proposto avverso la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda ex art. 96 cod. proc. civ. pur avendo ritenuto che, a differenza di quella concernente la comproprietà della corte, la domanda relativa alla terrazza era manifestamente infondata: la questione era stata liquidata con leggerezza e sarcasmo del tutto inappropriati in una sentenza, tanto più in considerazione del danno derivante agli attuali resistenti dalla trascrizione della domanda.

Il motivo va disatteso.

Il presupposto della condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta, non risiede nell’infondatezza della pretesa ovvero nella prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice e che hanno portato alla soccombenza della parte, occorrendo che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza.

La sentenza non si è limitata a rilevare l’eccessività della richiesta risarcitoria ma altresì ha fatto cenno alla natura delle questioni trattate e, facendo in tal modo riferimento alla obiettiva complessità e peculiarità della controversia, ha ritenuto di escludere i presupposti (dolo o colpa grave) richiesti per configurare la responsabilità da lite temeraria; trattasi di un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, in quanto immune dai vizi denunciati.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO PROPOSTO DA Z S.P.A. (N. 19918/2004 begin_of_the_skype_highlighting 19918/2004 end_of_the_skype_highlighting R.G.).

In considerazione del rigetto del ricorso principale è assorbito il ricorso incidentale proposto dalla Z s.p.a.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO PROPOSTO DA Y (N. 20455/2004 R.G.).

Il ricorso proposto nei confronti della società Z è assorbito essendo subordinato all’accoglimento della domanda di manleva formulata dai resistenti T., Ce., Pa. nei confronti della Y, oggetto del secondo motivo del ricorso incidentale dai medesimi proposto e che, come si è detto, è assorbito in considerazione dell’accoglimento del primo motivo.

RICORSO INCIDENTALE CONDIZIONATO PROPOSTO DA CELIA GOULD (N. 20720/2004 R.G.).

Il ricorso incidentale condizionato è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

Pertanto, il ricorso principale va rigettato; il ricorso incidentale n. 17542/04 RG. va accolto limitatamente ai motivi primo, per quanto in motivazione, e terzo, mentre è assorbito il terzo e va respinto il quarto motivo del predetto ricorso incidentale; gli altri ricorsi incidentali condizionati sono assorbiti.

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale, accoglie il primo, per quanto in motivazione, e il terzo motivo del ricorso incidentale n. 17542/2004 R.G. assorbito il secondo rigetta il quarto; assorbiti gli altri ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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