Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-05-2011) 22-06-2011, n. 25126 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 12 novembre 2009 la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello proposto da C.R. avverso il decreto del locale Tribunale in data 10 giugno-13 luglio 2008 che aveva applicato nei confronti di C.R. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di tre anni.

2. La Corte respingeva preliminarmente l’eccezione di nullità dell’udienza camerale e dei successivi provvedimenti adottati per omesso avviso al difensore di fiducia della fissazione dell’udienza camerale, osservando che, in materia di misure di prevenzione, l’avviso al proposto – contenente la contestuale nomina di un difensore d’ufficio – è funzionale alla conoscenza del procedimento e all’esercizio delle relative facoltà, compresa quella concernente l’eventuale designazione di un difensore di fiducia. Poichè nel caso di specie C. aveva ricevuto rituale notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale non si era verificata alcuna lesione dei diritti di difesa, come del resto comprovato dalla successiva nomina di un difensore di fiducia.

Nel merito la Corte riteneva sussistenti i presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione personale, tenuto conto della consumazione da parte di C., nell’arco di un decennio, di numerosi delitti contro il patrimonio, della reiterata violazione degli obblighi di presentazione alla p.g. a lui imposti, nonchè del mancato cambiamento di vita pur dopo la notifica dell’avviso orale.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C., il quale lamenta: a) erronea applicazione della legge penale con riferimento all’omesso avviso al difensore di fiducia della fissazione dell’udienza camerale, dovuto anche nel procedimento di prevenzione in cui le garanzie difensive non possono essere minori rispetto a quelle generalmente accordate dall’ordinamento processuale; b) violazione di legge e carenza della motivazione in ordine ai presupposti legittimanti l’applicazione della misura di prevenzione personale, tenuto conto dell’epoca risalente della consumazione dei reati e dell’assenza di attualità della pericolosità sociale; c) violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo all’omessa valutazione della documentazione prodotta dalla difesa in merito all’attività lavorativa svolta dal ricorrente.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. In relazione al primo motivo di doglianza occorre premettere che, quando è dedotto, mediante ricorso per cassazione, un error in procedendo ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la Corte di cassazione è "giudice anche del fatto" e per risolvere la relativa questione può – e talora deve necessariamente – accedere all’esame dei relativi atti processuali, esame che è, invece, precluso soltanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) (Sez. Un. 31 ottobre 2001, Policastro).

Nel caso di specie, dall’esame degli atti risultano le seguenti circostanze.

Il 24 aprile 2008 il Presidente del Tribunale di Napoli emetteva decreto di fissazione dell’udienza camerale per il giorno 6 maggio 2008 nell’ambito del procedimento avente ad oggetto la proposta di applicazione della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nei confronti di C.R..

Il decreto veniva notificato a C. il 26 aprile 2008.

All’udienza del 6 maggio 2008 il Tribunale, preso atto della omessa, rituale notifica al proposto e a difensore d’ufficio, disponeva il rinvio al 10 giugno 2008 e la nuova notifica a C. e al difensore d’ufficio.

Il decreto veniva notificato a C. sia il 16 maggio 2008 che il 21 maggio 2008.

Il 17 maggio 2008, ossia dopo la prima notifica ritualmente effettuata, C. nominava quali suoi difensori di fiducia gli avvocati Giuseppe Cianciuli e Vittorio Maione e formulava richiesta di presenziare all’udienza camerale.

All’udienza camerale del 10 giugno 2008 i due difensori di fiducia, entrambi presenti, eccepivano il mancato rituale avviso del decreto nei loro confronti.

Il Tribunale respingeva l’eccezione di nullità, osservando che la nomina dei difensori di fiducia era avvenuta successivamente alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza camerale e che, in ogni caso, i due legali avevano avuto un congruo periodo di tempo per preparare la difesa del loro assistito.

2, Tanto premesso, il Collegio osserva che il motivo di censura è privo di pregio. Pur essendo la nomina dei difensori di fiducia avvenuta nelle forme stabilite dall’art. 123 c.p.p., con conseguente immediata efficacia, come se fosse stata ricevuta direttamente dall’autorità giudiziaria (Cass., Sez. un., 26 marzo 1997, Procopio, rv. 208268), la questione assume un significato diverso rispetto a quello dedotto in ricorso.

Nella fattispecie concreta non vi era alcun dovere dell’autorità procedente di dare avviso ai difensori di fiducia dell’udienza camerale, atteso che la loro designazione era stata effettuata in epoca successiva all’emissione del decreto di fissazione dell’udienza camerale, ritualmente notificato all’indagato e al difensore d’ufficio. Era, pertanto, esclusivo onere dell’indagato fornire ai difensori di fiducia le informazioni necessarie per lo svolgimento del mandato difensivo, non spettando all’ufficio procedente di dare ulteriori avvisi rispetto a quelli formalmente dati all’esito dell’emissione del decreto di fissazione dell’udienza.

Si tratta di un principio di diritto già affermato da questa Corte secondo cui nel sistema del nuovo codice, all’indagato (o imputato o proposto) è imposto l’onere di attivazione e di diligenza al fine di permettere che il difensore di fiducia prescelto sia portato a conoscenza dell’avvenuta nomina e, nell’accettazione dell’incarico, sia posto in grado di avanzare tempestivamente all’autorità precedente ogni istanza utile e consentita. (Sez. 1^, 1 aprile 2008, n. 14699; Sez. 2^, 3 maggio 2007, n. 21142; Sez. 6^ 10 aprile 2003 n. 27138; Sez. 6^, 8 febbraio 1994, n. 3393).

2. Con riferimento alle restanti censure, anch’esse infondate, il Collegio osserva che, la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 11, recante "Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza (e per la pubblica moralità)" limita alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte d’appello in materia di misure di prevenzione ed esclude la ricorribilità in cassazione per vizio di illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, confortato anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 321 del 2004), in tema di misure di prevenzione non è, pertanto, deducibile il vizio di manifesta illogicità della motivazione, ma solo quello di mancanza di motivazione, qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice di appello dalla L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 10 (Cass., Sez. 6^, 17 dicembre 2003, n. 15107, rv. 229305;

Cass., 26 giugno 2002, n. 28837, rv. 222754; Cass., Sez. 2^, 6 maggio 1999, n. 2181, rv. 213852). Alla mancanza di motivazione è, peraltro, equiparata l’ipotesi in cui la motivazione risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente, o sia assolutamente inidonea a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Cass., Sez. Un. 28 maggio 2003, Pellegrino, rv.

224611; Cass., Sez. 1, 9 novembre 2004, Santapaola, rv. 230203).

E, quindi, da escludere, in materia di misure di prevenzione, la deducibilità del vizio di motivazione, a meno che quest’ultima sia del tutto carente o presenti difetti tali da renderla meramente apparente, e cioè sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la ratio decidendi. Benchè nei motivi di ricorso la difesa non abbia mai fatto riferimento al vizio di manifesta illogicità della motivazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la maggior parte delle censure mosse contro il provvedimento impugnato attiene, in realtà, alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione impugnata e all’adeguatezza logica del ragionamento seguito dalla Corte d’appello nella valutazione degli indizi, nell’accertamento della pericolosità sociale della persona sottoposta alla misura e dell’attualità della stessa.

3. Tanto premesso in ordine all’ambito del controllo riservato a questa Corte rispetto ai motivi di ricorso formulati dalla difesa, la Corte osserva che il provvedimento impugnato è esente dai denunciati vizi di violazione di legge. avendo correttamente argomentato in ordine alla condizione richiesta per l’applicabilità di una misura di prevenzione, ossia l’esistenza della pericolosità sociale del proposto, da accertare con esclusivo riferimento al momento in cui viene emessa la decisione che l’afferma. Il sillogismo indiziario articolato in sede di prevenzione personale è funzionale ad un giudizio prognostico avente ad oggetto la probabilità della futura commissione di reati e la pericolosità sociale del soggetto apprezzata in base a presupposti di fatto oggettivamente verificabili (Corte Cost., sent. 22 dicembre 1980, n. 177; sent. 7 dicembre 1994, n. 419).

In tale prospettiva la Corte d’appello di Napoli ha correttamente richiamato i precedenti penali e i carichi pendenti di C., l’assidua frequentazione di pregiudicati, il mancato svolgimento di attività lavorativa, l’omesso cambiamento di vita nonostante l’avviso orale.

Il Collegio osserva che, nel corso del giudizio di prevenzione, il giudice di merito è legittimato a servirsi di elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, anche se non ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni terminali in ordine all’accertamento della penale responsabilità dell’ imputato.

Tale potestà incontra due limiti: a) il giudizio deve essere fondato su elementi certi, dai quali possa legittimamente farsi discendere l’affermazione dell’esistenza della pericolosità, sulla base di un ragionamento immune da vizi; b) gli indizi dai quali desumere la pericolosità sociale non debbono avere i caratteri di gravità, precisione e concordanza, richiesti dall’art. 192 c.p.p. (Cass., Sez. 6^, 7 aprile 1997, Grimi; Cass., Sez. 6^, 19 gennaio 1999, Consolato).

E’, infine, da escludere ogni pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello di prevenzione (Cass., Sez. 5^, 31 maggio 2000, Mammone; Cass., Sez. 1^, 21 ottobre 1999, Castelluccio; Cass., Sez. 1^, 12 gennaio 1999, Bonanno). Alla stregua dell’autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, il giudice della prevenzione può utilizzare circostanze di fatto emergenti da procedimenti penali, prescindendo dalle conclusioni alle quali il giudice penale è pervenuto, sempre che, a tali fini e in ordine a tali elementi, il giudice della prevenzione abbia effettuato un puntuale esame critico, al fine di affermare l’esistenza sul piano della realtà di siffatte circostanze fattuali e di individuarne la diretta incidenza sul giudizio di pericolosità sociale (Cass., Sez. 1^, 18 marzo 1994, La Cava; Cass., Sez. 1^, 3 novembre 1995, Repaci).

Alla luce di questi principi l’ordinanza impugnata è esente dai vizi denunciati, avendo, con argomentazione corretta e logicamente articolata, illustrato il discorso giustificativo posto a base della decisione adottata ed enunciato analiticamente le specifiche e obiettive circostanze di fatto (pendenze penali, commissione in epoca piuttosto recente di altri reati contro il patrimonio, assidua frequentazione tino ad epoca recentissima di persone pregiudicate) su cui ha fondato il giudizio di attuale pericolosità sociale e ha ritenuto sussistenti i presupposti indicati dalla L. n. 1423 del 1956.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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