Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 03-05-2011) 22-06-2011, n. 25095 Sicurezza pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 24 ottobre 2007 il Tribunale di Tarante, in composizione monocratica, dichiarava B.F. colpevole del reato previsto dalla L. n. 1423 del 1956, art. 9 e successive modifiche, accertato in (OMISSIS), e lo condannava alla pena di un anno e otto mesi di reclusione.

Il 15 giugno 2010 la Corte d’appello di Taranto, in parziale riforma della decisione di primo grado, appellata dall’imputato, riduceva la pena inflitta a un anno di reclusione.

A B., sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, è contestato di avere violato gli obblighi ad essa inerenti, omettendo di portare con sè la carta precettiva.

Entrambi i giudici di merito ritenevano provata la responsabilità dell’imputato sulla base degli accertamenti svolti dai competenti organismi che avevano proceduto al suo controllo.

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione personalmente B., il quale lamenta violazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato, alla sua qualificazione giuridica come delitto piuttosto che come contravvenzione, profilo quest’ultimo che ha dato luogo ad un contrasto interpretativo su cui viene sollecitato l’intervento delle Sezioni Unite.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Occorre premettere che la L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9, nel testo introdotto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356 sanzionava al comma 1 "il contravventore agli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale", mentre, al secondo comma, prevedeva la sanzione della reclusione se l’inosservanza riguardava la sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno (v. per un’interpretazione della normativa all’epoca vigente, Sez. 1, 12 marzo 1998 n. 5269).

La L. n. 1423 del 1956, art. 12, comma 1, configurava, inoltre, come contravvenzione la violazione, da parte della persona sottoposta all’obbligo del soggiorno, delle relative prescrizioni.

2. La D.L. 27 luglio 2005, n. 144, art. 14, comma 1, convertito con modificazioni nella L. 31 luglio 2005, n. 155, ha modificato soltanto la L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2, ricomprendendo nella fattispecie delittuosa l’inosservanza degli "obblighi" e delle "prescrizioni" inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno.

Parallelamente la citata L. n. 155 del 2005, art. 14, comma 2, ha abrogato l’art. 12, comma 1.

L’introduzione, nell’art. 9, comma 2, del riferimento espresso tanto agli "obblighi" quanto alle "prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno" e la contemporanea abrogazione dell’art. 12, comma 1, rende manifesta la ratio della nuova disposizione, rinvenibile nella volontà del legislatore di ricomprendere nell’unica figura delittuosa disciplinata dall’art. 9, comma 2, la violazione, oltre che degli obblighi, anche delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno e di sottoporre ad un trattamenti sanzionatorio più rigoroso ogni infrazione commessa da un soggetto nei confronti del quale, in ragione della sua concreta pericolosità, sia stata ravvisata l’esigenza di una misura di prevenzione più stringente rispetto alla mera sorveglianza speciale.

Ne consegue che, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 155 del 2005, la violazione di un qualunque obbligo inerente alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, compreso quello di portare con sè e di esibire ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di p.s. la carta di permanenza, integra l’ipotesi delittuosa prevista dalla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2. 3. In tale conteso le censure mosse dal ricorrente sono manifestamente prive di pregio.

Con riguardo alla dedotta assenza degli elementi costituitivi del reato il Collegio osserva che il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., comma 2, non critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia – come nella specie – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della coscienza e volontà del ricorrente di violare le prescrizioni a lui imposte con il provvedimento applicativo della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza.

Corretta è la qualificazione giuridica del fatto, atteso che l’inosservanza della prescrizione, prevista dalla L. n. 1423 del 1956, art. 5, u.c. e successive modifiche, di portare con sè e di esibire ad ogni richiesta degli ufficiali e agenti di p.s. la carta di permanenza è stata commessa da persona sottoposta alla sorveglianza speciale di p.s. "qualificata". In tal senso è ormai consolidata la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, 11 novembre 2009, n. 45508; Sez. 1, 21 ottobre 2009, n. 42874; Sez. 1, 26 maggio 2005, n. 22202; Sez. 1, 9 maggio 2007, n. 23891), sicchè non sussistono i presupposti normativi per rimettere la questione alle Sezioni Unite, come sollecitato dal ricorrente.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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