Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-04-2011) 22-06-2011, n. 25124

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 9 luglio 2010 il Tribunale di Napoli ha rigettato l’istanza di riesame, proposta da C.G. ed A.G. avverso il provvedimento del G.I.P. in sede in data 11 ottobre 2010, con il quale era stata adottata nei loro confronti la misura cautelare della custodia in carcere, siccome indagati:

– per il delitto di cui al capo A) della rubrica (art. 416 bis cod. pen.: aver partecipato ad un’associazione criminale di tipo mafioso, denominata clan Aprea operante prevalentemente nell’area orientale della città di Napoli, quartiere Barra e zone limitrofe fino al febbraio 2009, il C. in qualità di promotore ed organizzatore; l’ A. in qualità di partecipe del medesimo clan);

– per il delitto di cui al capo B) della rubrica ( art. 575 cod. pen. aggravato L. n. 203 del 1991, ex art. 7: aver partecipato all’omicidio di CE.Fr., appartenente al clan rivale di Celeste, fatto verificatosi in Napoli il 5 ottobre 2007 e commesso avvalendosi della forza intimidatrice derivante dalla loro essere partecipi al clan mafioso degli Aprea, l’ A. quale esecutore materiale, il C. quale mandante dell’omicidio).

2. Il Tribunale ha inizialmente fatto il punto sull’esistenza ed attuale operatività del clan mafioso Aprea, accertate da numerose sentenze, le quali avevano ricostruito la dimensione storica del clan mafioso in questione ed avevano dato contezza dell’attuale operatività del clan nella zona orientale di Napoli. Ha poi rilevato come l’esistenza di detto clan mafioso e la sua attuale operatività emergeva altresì dalle dichiarazioni rese nel corso del tempo dai collaboratori di giustizia, risultate pienamente convergenti, indipendenti ed individualizzati; ha rilevato come in particolare l’ordinanza impugnata aveva valorizzato le dichiarazioni rese dai collaboranti MI.Gi., M.G. e M.S..

3. Ha rilevato la sussistenza a carico di A.G. di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al capo A) della rubrica, costituiti dalle dichiarazioni rese dal collaborante M.G., riscontrate dalle numerose intercettazioni telefoniche svolte sull’utenza in uso all’indagato, di cui le più significative erano quelle riferite al commando organizzato per uccidere CA.Vi., nonchè dai controlli di polizia riportati nell’informativa della Questura di Napoli in data 15 maggio 2009, le quali avevano confermato come l’odierno indagato frequentasse stabilmente gli affiliati del clan Aprea e, fra gli altri, L.F. ed A.P.; ulteriore riscontro a quanto rilevato dal collaborante M.G. era che dagli accertamenti espletati era emerso che effettivamente l’odierno indagato fosse un tossicodipendente.

4. Il Tribunale ha poi ritenuto la sussistenza a carico di C. G. di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sua partecipazione al clan mafioso Aprea con ruolo apicale; va peraltro rilevato che a carico del medesimo erano state già emesse due sentenze irrevocabili di condanna, in entrambe le quali era stata accertata la sua partecipazione al medesimo clan dal 1992 al 2000.

Ha rilevato come a suo carico erano state utilizzate le dichiarazioni rese dai collaboranti M.G. e M.S., i quali avevano riferito sulla eminente posizione attualmente assunta dall’indagato, precisando che si trattava di uno dei capi del sodalizio mafioso, con il potere di chiedere di visionare i conti di un’attività illecita svolta e di pianificare traffici di droga nonchè di ordinare l’omicidio di appartenenti a cosche rivali;

pertanto il suo ruolo all’interno del clan era cresciuto nel tempo e, da semplice partecipe, egli era assurto al rango di promotore ed organizzatore.

Le dichiarazioni rese da due collaboranti anzidetti erano credibili ed erano idonee a fornire reciproco riscontro fra di loro, avendo entrambi riferito che l’indagato negli ultimi anni era da ritenere sottoposto solo ed esclusivamente ad A.V., anche perchè, nel periodo cui si riferiscono i fatti in contestazione, l’indagato, nonostante fosse agli arresti domiciliari, usava muoversi in libertà sul territorio ed agire senza vincoli di sorta.

5. Il Tribunale ha ritenuto la sussistenza a carico di entrambi gli indagati di gravi indizi di colpevolezza anche con riferimento al reato di cui al capo B) della rubrica, costituito dall’omicidio aggravato di CE.Fr., appartenente al clan rivale dei Celeste, ucciso con 18 colpi d’arma da fuoco in Napoli il 5 ottobre del 2007.

Il collaborante M.G. aveva riferito in ordine all’evoluzione dei rapporti che avevano portato alla faida fra gli Aprea ed i Celeste; di come questi ultimi avevano cercato di umiliare in ogni modo la famiglia Aprea, fra l’altro costringendo in modo arrogante i componenti di quest’ultima famiglia ad acquistare i numeri del lotto riportati sul cartellone di una riffa, organizzata da CE.Fr. e di come era stato pertanto deciso dai capi del sodalizio criminoso, A.P. e l’odierno indagato, C.G., di procedere all’eliminazione fisica di CE. F., dopo aver acquisito il nullaosta da parte delle altre famiglie criminose gravitanti sul territorio; l’omicidio del CE. era stato materialmente commesso da un commando composto da CA.Vi., destinato peraltro ad essere a sua volta ucciso dal clan Aprea, nonchè dall’indagato A.G., detto "(OMISSIS)", i quali si erano recati dalla vittima, che si trovava in quel momento presso il bar "(OMISSIS)", ubicato in (OMISSIS), a bordo di un motociclo SH 300, armati di due pistole ad essi consegnati da A.P., ed a fare fuoco sulla vittima era stato CA.Vi., essendo rimasto l’indagato A. alla guida del ciclomotore.

Le dichiarazioni del collaborante erano state ritenute attendibili siccome precise, circostanziate e reiterate in modo costante ed uniforme nel tempo ed erano state verificate e riscontrate da una serie univoca di elementi; così sia la moglie della vittima sia un amico della stessa avevano confermato la circostanza che quest’ultima stava raccogliendo soldi per l’acquisto dei numeri del lotto riportati sul cartellone della riffa organizzata dalla vittima; nel corso del sopralluogo effettuato al momento dell’omicidio gli agenti avevano rinvenuto addosso alla vittima la somma in contanti di Euro 1.125,00, provento verosimile della vendita dei biglietti della citata riffa; i rilievi balistici eseguiti sul luogo dell’agguato e l’autopsia sul corpo della vittima avevano evidenziato che la vittima era stata attinta da ben 18 colpi di arma da fuoco, e che a sparare erano state quantomeno due armi, in quanti i colpi esplosi erano stati più dei 15, di cui erano normalmente dotate le armi semiautomatiche di calibro nove, in tal modo essendo stato riscontrato quanto dichiarato dal collaboratore di giustizia M. G., il quale aveva riferito che A.P. aveva consegnato ai due killer due pistole calibro nove; nei pressi del bar teatro dell’omicidio era stato installato un sistema di video sorveglianza e le cassette fornite dal gestore non avevano fornito alcun tipo di visione dell’omicidio; il che confermava quanto dichiarato dal collaborante circa il fatto che A.P. e C.G., subito dopo l’agguato e prima dell’intervento della polizia, si erano premuniti di farsi consegnare dal gestore del bar le videocassette che avevano ripreso le fasi dell’omicidio.

Le dichiarazioni rese dal collaborante M.G. erano state poi riscontrate sul punto anche da quelle rese dal fratello M. S., la cui fonte di conoscenza era costituita da una persona certamente al corrente dei fatti quale era A.C.; ed anche i collaboranti S.C. e S.G. avevano ricondotto l’omicidio in questione ad un ordine dato dai fratelli A.. Oltre a tali convergenti dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia anzidetti, un ulteriore elemento di riscontro alle dichiarazioni rese dai medesimi era costituito dalle risultanze delle intercettazioni ambientali svolte nella sala colloqui del carcere di Voghera, nel quale era detenuto A.V.; e dall’intercettazione del 18 ottobre 2007, in occasione di un colloquio avuto da A.V. con i fratelli P., P. e G., successivamente all’omicidio di CE.Fr., poteva fondatamente desumersi che, seppur con un linguaggio criptico e con l’aiuto di gesti furtivi, A.P. aveva informato il fratello V. circa le modalità dell’omicidio di CE.Fr., avendo fornito indicazioni sugli autori materiali della condotta; dal colloquio era in particolare emerso un chiaro riferimento all’affiliato A.G. nonchè all’altro autore materiale del delitto e cioè a CA.Vi.; anche da tale colloquio registrato era emerso pertanto una significativo riscontro esterno alle dichiarazioni rese dal pentito M.G..

6. Il Tribunale ha ritenuto infine la sussistenza di gravi esigenze cautelari, tali da giustificare la misura cautelare intramuraria adottata nei confronti di entrambi gli indagati, avendo fatto riferimento alla gravità dei fatti contestati ed al contesto di criminalità organizzata in cui i reati erano stati commessi e che ne avevano costituito l’unica causale; ed anche con riferimento ai reato di cui al capo B) della rubrica era stata contestata l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sicchè per entrambi i reati contestati ai due indagati vigeva la presunzione di ricorrenza delle esigenze cautelari di pericolosità e di inadeguatezza di misure diverse da quelle della custodia in carcere, prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, tenuto conto dell’attuale piena operatività sul territorio dell’associazione criminosa denominata clan Aprea, nei quali i due indagati erano inseriti con i ruoli ad essi rispettivamente ascritti.

7. Avverso detta ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli propone ricorso per cassazione C.G. per il tramite del suo difensore, che ha dedotto violazione di legge con riferimento alla sussistenza a suo carico di gravi indizi di colpevolezza riferiti all’omicidio a lui contestato al capo B) della rubrica, avendo rilevato come l’unico elemento indiziario a suo carico quale mandante di detto omicidio fosse costituito dalla chiamata in correità fatta da un solo collaboratore e cioè da M.G., che aveva raccontato per conoscenza diretta e personale del mandato a detto omicidio da lui fornito; trattavasi pertanto di una sola chiamata in correità, i cui riscontri esterni non erano adeguati, atteso che l’altro collaboratore di giustizia M.S. aveva confermato il suo ruolo di mandante avendolo appreso quando si trovava in carcere nei corsi di colloqui intrattenuti con fratello;

era quindi ravvisabile nella specie il vizio della circolarltà della prova. Inoltre i collaboratori S.C. e S.G. non avevano alcuna conoscenza delle dinamiche interne al clan Aprea e quindi nulla di preciso avevano riferito sul mandato omicidiario; ed aver attribuito tale mandato ad esso ricorrente solo perchè egli avrebbe avuto una posizione di preminenza nel clan Aprea costituiva il frutto di un’inammissibile argomentazione probatoria. Quanto infine alla colloqui registrati in carcere il 18 ottobre 2007 tra A.V. ed i suoi fratelli, nel corso dei quali era stato fatto riferimento alle modalità ed ai retroscena dell’omicidio di CE.Fr., nessun riferimento era solo fatto ad esso ricorrente quale soggetto coinvolto nella fase deliberativa dello stesso; il che costituiva un ulteriore riscontro negativo all’unica chiamata in correità esistente nei suoi confronti.

8.Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli di cui sopra ricorre per cassazione per il tramite dei suo difensore altresì A.G., che ha dedotto violazione di legge. in quanto gli elementi indiziari utilizzati a suo carico, con riferimento all’omicidio di CE.Fr., erano costituiti dalle dichiarazioni rese da uno solo collaboratore di giustizia, M.G. e dagli esiti di una intercettazione ambientale in carcere tra altri due condannati. Le dichiarazioni rese dall’unico collaboratore di giustizia sopra indicato non erano state riscontrate da elementi esterni, in quanto gli elementi acquisiti non erano idonei a costituire riscontro alla sua partecipazione all’omicidio, con particolare riferimento al possesso dello scooter da parte dei killer ed alla presenza del guidatore del motomezzo, identificato in esso ricorrente, il quale non avrebbe sparato; ed anche il collaboratore M.S. aveva riferito che l’esecutore materiale del delitto in esame era stato CA.Vi. con un’altra persona, del quale tuttavia il collaboratore non aveva riferito il nome; anche per tale via era quindi da ritenere che non erano emersi elementi di riscontro tali da elevare la chiamata in correità al rango di prova.

Quanto poi alle acquisizioni delle intercettazioni ambientali del 18 ottobre 2007 nel carcere di Voghera, la ricostruzione di tale colloquio come contesto nel corso della quale si era parlato dell’omicidio in questione costituiva il frutto di un’attività di deduzione fatta dal giudicante in modo non condivisibile, essendo da attribuire a detto colloquio un significato generico ed inidoneo a fungere da grave elemento indiziario, come ritenuto dal giudicante;

si era trattato infatti di conversazione dal contenuto criptico ed accompagnata da gesti furtivi; era pertanto ravvisabile nella specie un’evidente ipotesi di circolarità della prova.

Motivi della decisione

1. Sono infondati i ricorsi proposti da C.G. ed A.G..

2. Con essi i ricorrenti censurano l’ordinanza emessa nei loro confronti dal Tribunale del riesame di Napoli esclusivamente con riferimento alla sussistenza a loro carico di validi indizi di colpevolezza riferiti alla loro partecipazione all’omicidio aggravato di CE.Fr., di cui al capo B) della rubrica, al C. contestato in qualità di mandante ed all’ A. contestato in qualità di esecutore materiale; ed entrambi i ricorrenti hanno più particolarmente ritenuto le popolazioni fatte dal collaboratore M.G. inidonee a fungere da valido indizio di colpevolezza nei loro confronti, essendosi trattato di dichiarazioni rese da un solo collaborante e rimaste sfornite di riscontri esterni.

3. Il provvedimento impugnato nella presente sede, con motivazione incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome esente da illogicità e contraddizioni, ha al contrario ritenuto detti indizi idonei a fondare l’imputazione omicidiaria loro ascritta al capo B) della rubrica, all’ A. quale esecutore materiale ed al C. quale mandante, avendo rilevato come si fosse trattato di omicidio maturato nell’ambito di una faida insorta fra due clan malavitosi che si contendevano il controllo del territorio.

4. I gravi indizi, ravvisati dal Tribunale di Napoli a carico di entrambi i ricorrenti sono consistiti principalmente nelle dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia; e va ritenuto che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, trattasi di dichiarazioni acquisite dai giudici di merito nel pieno rispetto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.

5. La chiamata in correità fatta da un collaboratore di giustizia intanto può costituire valido indizio di colpevolezza in quanto è sorretta da riscontri esterni individualizzanti, i quali siano significativi non solo in ordine al reale accadimento in sè del fatto-reato, ma anche in ordine alla sua riferibilità al soggetto ritenutone responsabile, secondo i canoni offerti dall’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, dettato in tema di valutazione della prova.

Pertanto le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia possono costituire gravi indizi di colpevolezza, idonei a giustificare la misura cautelare della custodia in carcere, quando siano intrinsecamente attendibili e risultino corroborati da riscontri esterni, idonei a provare l’attribuzione del fatto reato al soggetto destinatario di esse.

Tali riscontri esterni possono consistere, oltre che in eventi esterni, altresì in dichiarazioni accusatorie rese da altri collaboratori di giustizia, purchè siano caratterizzate dalla loro convergenza in ordine al fatto oggetto della narrazione; dall’essere rese senza pregresse intese fraudolenti e senza suggestioni o condizionamenti reciproci, tali da inficiarne la concordanza;

dall’essere specifiche, anche se non è richiesto che siano completamente sovrapponibili agli elementi d’accusa forniti dagli altri dichiaranti, dovendosi piuttosto privilegiarne l’aspetto essenziale e la loro concordia sul nucleo essenziale dei fatti da provare (cfr., in termini, Cass. 6A, 26.11.08 n. 1091; Cass. 2A, 4.3.08 n. 13473; Cass. 1^ 20.7.09 n. 30084).

6. Sia con riferimento al ricorrente C., sia con riferimento al ricorrente A., l’ordinanza impugnata ha invero valorizzato principalmente le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia M.G., ritenute particolarmente attendibili per essere stato egli, prima di iniziare il suo percorso collaborativo, un componente non secondario del medesimo clan Aprea. Il collaborante M.G. ha riferito in ordine alla genesi della faida fra gli Aprea ed i Celeste; ha riferito come questi ultimi avevano cercato di umiliare in ogni modo la famiglia Aprea, fra l’altro costringendo in modo arrogante i componenti di quest’ultima famiglia a partecipare ad una riffa, organizzata da CE.Fr.; ha riferito come i capi del sodalizio criminoso, A.P. e C.G., avevano decretato l’eliminazione fisica di CE.Fr., dopo aver acquisito il nullaosta delle altre famiglie criminose gravitanti sul territorio.

Il medesimo collaborante ha poi riferito come l’omicidio del CE. fosse stato materialmente eseguito da un commando composto da CA.Vi., nonchè da A.G., detto " (OMISSIS)", i quali si erano recati dalla vittima, presso il bar "(OMISSIS)", ubicato in (OMISSIS), a bordo di un motociclo SH 300, armati di due pistole ad essi consegnati da A. P., ed era stato il CA. a fare fuoco sulla vittima, essendo rimasto l’ A. alla guida del ciclomotore.

Le dichiarazioni del collaborante anzidetto sono state correttamente ritenute dal Tribunale attendibili in sè, siccome precise, circostanziate e reiterate in modo uniforme nel tempo e sono state altresì ritenute come riscontrate da una serie univoca di elementi esterni, idonei a fornire ad esse un’adeguata credibilità.

Gli elementi di riscontro ritenuti validi dal Tribunale sono consistiti:

– nell’aver sia la moglie della vittima sia un amico della stessa confermato la circostanza che quest’ultima stava raccogliendo soldi per promuovere una riffa da lui organizzata;

– nell’avere la p.g. rinvenuto, nel sopralluogo effettuato al momento dell’omicidio, addosso alla vittima la somma in contanti di Euro 1.125,00, provento verosimile della vendita dei biglietti della citata riffa;

– nell’avere i rilievi balistici e l’autopsia sulla vittima evidenziato che la stessa era stata attinta da ben 18 colpi di arma da fuoco, e che a sparare erano state almeno due armi, in quanti i colpi esplosi erano stati più dei 15, di cui erano normalmente dotate le armi semiautomatiche di calibro nove; il che costituisce riscontro a quanto dichiarato dal collaborante M.G., il quale aveva riferito che A.P. aveva consegnato ai due killer due pistole calibro nove;

– nel non essere stati rinvenuta alcuna ripresa firmata dell’omicidio nel sistema di video sorveglianza esistente presso il bar teatro dell’omicidio; il che costituisce conferma di quanto dichiarato dal collaborante anzidetto, essersi cioè A.P. e C. G., subito dopo l’agguato e prima dell’intervento della polizia, fatto consegnare dal gestore del bar le videocassette con le riprese dell’omicidio;

– nelle dichiarazioni rese da un altro collaborante, M. S., fratello di M.G., la cui fonte di conoscenza era costituita da una persona certamente al corrente dei fatti qual’era A.C.; detto collaborante ha chiaramente indicato il C. come mandante dell’omicidio; e le sue dichiarazioni ben possono costituire riscontro esterno anche per l’ A., pur non avendo fato il nome di quest’ultimo, avendo detto collaborante pur sempre indicato come esecutore materiale del delitto CA. V., assieme al quale l’ A. è stato indicato da altre fonti come esecutore materiale;

– nelle dichiarazioni rese dai collaboranti S.C. e S. G., i quali, pur non avendo riferito nulla di particolare in ordine all’omicidio in questione, hanno tuttavia pur sempre ricondotto l’omicidio ad un ordine dato dai fratelli A.;

– nelle risultanze delle intercettazioni ambientali effettuate nella sala colloqui del carcere di Voghera, nel quale era detenuto A. V.; in particolare nell’intercettazione del 18 ottobre 2007, in occasione di un colloquio fra A.V. ed i fratelli P., Pa. e G., successivamente all’omicidio di CE.Fr., atteso che da tale colloquio, anche se con un linguaggio criptico e con l’aiuto di gesti furtivi, era emerso che A.P. aveva informato il fratello V. circa le modalità dell’omicidio di CE.Fr., fornendo indicazioni sugli autori materiali del delitto, con un chiaro riferimento all’affiliato A.G. nonchè all’altro autore materiale del delitto e cioè a CA.Vi.; ed anche tale colloquio registrato costituisce un significativo riscontro esterno alle dichiarazioni rese dal pentito M.G..

7. I ricorsi proposti da C.G. e da A.G. vanno pertanto respinti, con loro condanna, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

8.Dovrà provvedersi all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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