Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-04-2011) 22-06-2011, n. 25123 sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 4 febbraio 2010, il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, adito ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. ha respinto la richiesta di riesame, proposta da M.D. e G.D. avverso il decreto emesso dal G.I.P. di quel distretto in data 8 gennaio 2010, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo, D.L. 8 giugno 1992, n. 396, ex art. 416 bis, comma 7 e art. 12 sexies, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, introdotto dal D.L. 20 giugno 1994, n. 399, art. 2 convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1994, n. 501, di una serie di beni, peraltro non specificati, ritenuti essere stati acquistati dai due richiedenti con danaro proveniente da attività illecite, essendo il M. sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere, siccome ritenuto compartecipe di un’organizzazione criminale di stampo mafioso, scaturita dalla federazione di più cosche operanti nel settore ionico della provincia di Reggio Calabria.

2. Secondo il Tribunale erano riconducibili all’organizzazione criminale anzidetta, nota come cosca MORABITO, sia la s.n.c. "I.M.C. di Costantino Stilo" con sede in contrada Maglie d’Africo, formalmente intestata a S.C.; sia la s.r.l. "D’AGUI BETON", facente capo a D.T., che ne era amministratore delegato; sia infine la ditta individuale "geom. CLARA’ Antonio", attiva nei subappalti movimenti terra, i cui lavori erano stati dati in subappalto a varie ditte collegabili alla cosca MORABITO, fra cui la s.n.c. "Morabito Domenico di Africo".

Attraverso tali ditte, gli appalti ed i subappalti nella zona d’influenza sopra descritta (settore ionico della provincia di Reggio Calabria) erano stati suddivisi secondo logiche spartizione, secondo i metodi mafiosi introdotti dai gruppi criminali di cui sopra, come poteva desumersi dai numerosi colloqui telefonici intercettati; in particolare era emerso come il richiedente M.D. avesse svolto un ruolo rilevante nel controllo integrale dei lavori relativi allo svincolo di Palazzi della ss. 106, nonostante fosse formalmente sottoscrittore del contratto di nolo a freddo di un unico escavatore, essendo egli, al contrario, l’unico reale referente di tutti i lavori.

Il M. fino al 2000, anno in cui aveva contratto matrimonio con G.D., non aveva dichiarato redditi rilevanti, come pure non avevano conseguito redditi rilevanti i suoi genitori, ovvero sua moglie; ed il trend scalare negativo della situazione economica dei due richiedenti sulla base dei redditi lordi imponibili, registrato negli anni 2001 e seguenti erano tali da rendere ingiustificabili gli acquisti immobiliari fatti dalla G. nel 2002 e di un’auto e di una moto fatti nel 2006 e nel 2007; e tale quadro non poteva ritenersi ridimensionato dalla documentazione prodotta dai medesimi, pur cioè conteggiando, a fronte di tali redditi negativi, le contribuzioni evidenziate dai richiedenti.

Tutte le possidenze sequestrate a M.D. e G. D. erano quindi da ritenere di origine illecita, anche per l’accertata collocazione datata del M. negli ambienti criminosi della zona; sussisteva inoltre l’evidente sperequazione fra i redditi dichiarati e le possidenze sequestrate, tali da confermarne l’origine illecita, in assenza di dimostrazione, da parte degli interessati, della loro provenienza legittima.

3. Avverso detto provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria sia M.D. che G.D. hanno proposto personalmente due distinti ricorsi per cassazione, sostanzialmente identici, con i quali hanno dedotto violazione di legge, in quanto il provvedimento impugnato, contravvenendo ai principi espressi dalla più recente giurisprudenza di legittimità, erroneamente aveva ritenuto che non vi fosse specifica giustificazione degli esborsi da essi sostenuti per l’acquisto dei beni sequestrati, avendo fatto erroneo riferimento alle entrate registrate anno per anno, mentre invece avrebbe dovuto altresì tenersi conto delle dilazioni nei pagamenti, di cui essi avevano goduto negli anni; del fatto che la norma incriminatrice non faceva solo riferimento ai redditi ma anche alle attività economiche, sviluppate complessivamente dai soggetti;

e sotto tale ultimo aspetto la valutazione dei redditi complessivamente goduti dal proprio nucleo familiare avrebbe consentito di ritenere obiettivamente congrua la loro disponibilità economica ai fini degli acquisti immobiliari da essi effettuati; non era stato quindi valutato che le loro complessive capacità economiche nel corso degli anni erano state tali da giustificare il loro possesso dei beni sequestrati, solo considerando le dilazioni dei pagamenti, di cui essi avevano goduto, nonchè il fatto che essi ricorrenti potessero avere sanato, negli anni successivi, la pregressa esposizione debitoria con gli apporti reddituali acquisiti.

Era da ritenere pertanto sussistente violazione di legge, tenuto conto dei criteri interpretativi usati, del tutto scorretti e poco ortodossi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da M.D. e G.D. va dichiarato inammissibile, siccome manifestamente infondato.

2. Il Tribunale del riesame di Reggio Calabria, con l’ordinanza impugnata nella presente sede, ha confermato il decreto di sequestro preventivo, emesso dal G.i.P. ed avente ad oggetto non meglio specificati cespiti, dei quali erano proprietari i due ricorrenti, e che avevano formato oggetto di sequestro preventivo ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 1992, n. 356, introdotto dal D.L. 20 giugno 1994, n. 399, art. 2, convertito con modificazioni nella L. 8 agosto 1994, n. 501, siccome ritenuti provento delle attività illecite da essi svolte e non avendo i medesimi dato adeguata dimostrazione di possedere cespiti adeguati per effettuare gli investimenti, che avevano formato oggetto di sequestro.

3. E’ noto che, ai sensi della normativa sopra richiamata, il sequestro preventivo è strettamente collegato alla confisca obbligatoria, prevista in caso di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti per determinati reati, elencati dalla norma di legge di cui sopra, fra i quali rientra quello di cui all’art. 416 bis c.p., ipotizzato a carico di M.D..

In tal caso la confisca ha struttura e presupposti diversi dall’istituto della confisca prevista dall’art. 240 c.p., in quanto, mentre per tale ultima norma assume rilievo la correlazione fra un determinato bene ed un certo reato, nella confisca del D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce fra un patrimonio ingiustificato ed una persona, nei cui confronti sia stata pronunciata condanna per uno dei reati indicati nella norma da ultimo citato (cfr. Cass. 1A, 25.10.2000 n. 5263).

4. Consegue a quanto sopra che, ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi del D.L. n. 306 de 1992, art. 12 sexies, convertito nella L. n. 356 del 1992, aggiunto dal D.L. n. 399 del 1994, art. 2, convertito con modificazioni nella L. n. 501 del 1994, è necessario accertare, quanto al cd. "fumus commissi delicti", l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato (nella specie a M.D.), di uno dei reati indicati dalle norme citate e, quanto al cd. "periculum in mora", elemento quest’ultimo coincidente con la confiscabilità del bene, la presenza dei medesimi indizi che potevano legittimare la confisca e cioè la sproporzione fra il valore dei beni rispetto al reddito od alle attività economiche dei soggetti indagati e la mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni medesimi (cfr. Cass. 1A 19.1.07 n. 15908).

5. In tal modo delineato il contesto normativo e giurisprudenziale entro il quale collocare il ricorso in esame, va rilevato che la motivazione addotta dal Tribunale per rigettare l’impugnazione proposta da M.D. e da sua moglie G.D. avverso il provvedimento del G.I.P., che aveva disposto il sequestro preventivo di cespiti ad essi intestati, è incensurabile nella presente sede, siccome rispondente ai canoni della logica e della non contraddizione. Il Tribunale di Reggio Calabria ha invero da un lato rilevato come il M. fosse indagato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p.; dall’altro ha indicato i validi indizi dai quali desumere che i beni sequestrati agli odierni ricorrenti erano stati da essi acquistati con danaro proveniente da attività criminosa, collegata all’essere il M. uno dei degli esponenti apicali dell’omonimo clan mafioso, attivo nel campo degli appalti e dei subappalti della zona ionica della provincia di Reggio Calabria, avendo in particolare desunto dalle numerose intercettazioni telefoniche disposte, neppure contestate dai ricorrenti quanto a quantità ed a valenza indiziaria, che il M., pur formalmente titolare di un contratto di noleggio relativo ad un solo escavatore, era in realtà l’unico ed effettivo referente di una complessa rete di subappalti, facenti capo a diverse società e ditte individuali operanti nella zona d’influenza della cosca Morabito.

6. Attendibili e condivisibili appaiono poi le argomentazioni svolte dal Tribunale di Reggio Calabria per rigettare le impugnazioni proposte dai due ricorrenti, concernenti la circostanza che i beni sequestrati sarebbero stati da essi acquistati con legittime disponibilità di danaro.

Va invero rilevato che il sindacato esercitato da questa Corte in tema di sequestri preventivi è limitato, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, al solo vizio di violazione di legge.

E’ da escludere quindi la sindacabilità della motivazione neppure nella forma dell’illogicità manifesta, di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), trattandosi di vizio non riconducibile alla tipologia della violazione di legge (cfr., in termini, Cass. SS. UU. 28.5.03 n. 12; Cass. SS.UU. 28.1.04 n. 5876, rv. 226713).

E’ richiesto invece che la motivazione manchi assolutamente, ovvero sia del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e di completezza, si da non essere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero che le linee argomentative del provvedimento siano così scoordinate da rendere impossibile la percezione delle ragioni che hanno giustificato il provvedimento (cfr., in termini, Cass. 2^ 16.11.2006 n. 5225).

Nella specie in esame non può parlarsi di motivazione inesistente o meramente apparente dell’ordinanza impugnata.

Il Tribunale del riesame ha infatti adeguatamente motivato in ordine alla circostanza che i redditi dichiarati dai due ricorrenti negli anni 2001 e seguenti erano troppo esigui per consentire ad essi di effettuare gli investimenti oggetto del sequestro impugnato, non potendo i medesimi essere ritenuti congrui neppure tenendo conto dei contributi, indennità di malattia e di maternità di cui i ricorrenti avevano beneficiato; il Tribunale ha invero ritenuto che, pur conteggiando gli emolumenti indicati dai ricorrenti, trattavasi comunque di redditi a malapena idonei a consentire di sopperire alle più elementari esigenze di vita, si da essere palesemente inadeguati a far luogo all’acquisizione dei cespiti oggetto dell’impugnato sequestro.

7. Le argomentazioni svolte dai ricorrenti per confutare quanto dedotto dal Tribunale sono del tutto generiche ed inidonee, avendo i ricorrenti in sostanza fatto riferimento a due circostanze, peraltro solo enunciate e non supportate da alcuna documentazione probatoria e cioè che da un lato occorreva fare riferimento alle loro disponibilità valutate non anno per anno ma nel loro complesso e quindi per l’intero periodo considerato nella sua globalita;

dall’altro che non era stato tenuto conto che i pagamenti da essi effettuati erano stati dilazionati nel tempo e che i redditi degli investimenti avrebbero consentito ad essi di fronteggiare i debiti in precedenza contratti.

Trattasi invero di argomenti palesemente generici, riferiti al merito e privi del requisito dell’autosufficienza, non essendo stata allegata alcuna documentazione idonea a fornire ad essi valido riscontro probatorio.

8. Il ricorso proposto da M.D. e G.D. va pertanto dichiarato inammissibile, con loro condanna al pagamento delle spese processuali e, ciascuno di essi, al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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