Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 22-06-2011, n. 25118

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 4/8/10 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la richiesta di riesame proposta da T.G. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 9/6/10 dal Gip dello stesso Tribunale per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. (capo G: in Reggio Calabria, dal 12/12/2005 al 21/10/09). Nell’ambito delle indagini di polizia giudiziaria (la cd. operazione "Meta") seguita alla cattura del latitante C. P., avvenuta in Pellaro di RC il 18/2/08, si delineavano i nuovi equilibri mafiosi stabilitisi nella città di Reggio Calabria e nelle zone immediatamente vicine nell’ultimo decennio:

nell’informativa conclusiva del 14/2/09 dei Ros dei CC si dava conto delle attività estorsive poste in essere nel territorio cittadino da Villa San Giovanni a Pellaro, delle attività poste in essere per la cattura del C., della cosca Buda-Imerti di Fiumara di Muro e del ruolo degli imprenditori D. e B.V., dell’attività nel capoluogo di C.A. dell’omonima famiglia di Sinopoli.

In questo contesto era delineata la figura di T.G., dell’omonima famiglia di Archi di RC che durante la guerra di mafia degli anni 1985-91 era schierata coi De Stefano contro i Condello- Imerti. Soggetto gravato da numerose condanne definitive anche per associazione di tipo mafioso e latitante da quasi vent’anni, sarebbe stato catturato solo il 27/4/10. A suo carico nel presente procedimento, prendendo le mosse dai precedenti giudizi, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia F.A., le conversazioni intercettate tra A.C. e i suoi fedelissimi, segnatamente B.N., altre intercettazioni confluite da altri procedimenti. Dopo la fine della "guerra", come riferisce il collaboratore L.U.G., il territorio cittadino era stato spartito ai fini delle estorsioni tra i vari "locali" di mafia e i proventi convogliati nelle mani del C. per una parte e del T. per l’altra, che successivamente provvedevano a distribuirli tra i vari gruppi a loro collegati. Più di recente (interrogatorio del 20/11/08) il collaboratore F.A. riferisce che a T.G. (che aveva il grado di "Saggio Mastro Consiglieri") era rimasta particolarmente vicina la famiglia di D.S.O., mentre si erano allontanati da lui i figli, G. e C., del defunto D.S.P.. Figure emergenti durante la latitanza del "vecchio" T., B. G., cognato di D.S.O., e S.P., nipote del T., scomparso in circostanze misteriose il 21/9/08.

Figura emergente vicina invece a D.S.G., A. M., capo del "locale" di San Giovannello, che sarebbe stato ucciso nel dicembre 2003 e la cui morte veniva insistentemente attribuita nell’ambiente proprio al T.. Questo lo sfondo.

Particolarmente recente l’intercettazione ambientale (disposta in altro procedimento) della conversazione, intercorsa il 9/4/10, tra F.G. e P.G., esponenti delle omonime famiglie mafiose, a casa di quest’ultimo. L’argomento sono proprio i contrasti fra le nuove leve dei De Stefano (i "ragazzini che litigano"), in cui "compare G." ( T.G.) – che pure aveva i suoi "giovanotti" – aveva anche ricoperto il ruolo di paciere, senza però riuscire ad evitare il progressivo sfaldamento del gruppo.

Del pari significativa la precedente conversazione intercettata l’11/9/06 tra A.C. e B.N., dove il secondo, cui premeva di recuperare una certa somma (50.000 Euro) da dividere tra loro due, suggeriva all’altro di rivolgersi allo S. (nominato " P."), che – in assenza del "vecchio", lo "zio G.", esplicitamente " T.G." – nell’ambiente era considerato "una potenza". Se ne deduceva l’attuale e non scalfito carisma criminale dell’anziano latitante: di qui la persistente gravità del quadro indiziario per associazione mafiosa e le connesse esigenze cautelari.

Ricorreva per cassazione il T. con atto a sua firma, deducendo violazione di legge processuale e vizio di motivazione sul quadro indiziario: 1) le dichiarazioni accusatorie del collaboratore F. A., la cui collaborazione era cominciata nel febbraio 2002, oltre che basate su conoscenze de relato, certamente si riferivano a tempi anteriori al periodo in contestazione (2005-09); 2) le conversazioni intercettate in altro procedimento e segnatamente quella tra il F. e il P. erano intercorse tra soggetti terzi rispetto all’indagato e senza alcuna verifica si assumeva l’intraneità dei soggetti intercettati a sodalizi mafiosi, la loro piena affidabilità, che l’oggetto della loro conversazione fossero questioni di mafia e che "compare G." si identificasse nel T.; 3) la conversazione tra l’ A. e il B., infine, provava addirittura il contrario dell’assunto accusatorio, emergendo chiaramente che i due (e segnatamente l’ A., che manifestava aperta ritrosia a seguire il consiglio dell’altro) non avevano alcuna confidenza con S., mentre T., latitante, era pacificamente assente. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG chiedeva l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata (sulla gravità indiziaria). Nessuno compariva per la parte ricorrente.

Il ricorso, manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile. E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., Sez. Un., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, la dedotta violazione di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla S.C. spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravità del quadro indiziario a carico del ricorrente. Non può prescindersi, al proposito, dalla storia personale dell’indagato. T.G., unitamente ai suoi fratelli, ebbe a rappresentare – nella lunga e sanguinosa cd. seconda guerra di mafia di Reggio Calabria, divampata alla metà degli anni ’80 e cessata solo con la cd. pax mafiosa del 1991 – il braccio armato del gruppo egemone dei De Stefano, cui si contrapponeva quello altrettanto agguerrito dei Condello-Imerti che non ne accettava il predominio. E’ di ciò che parla il collaboratore L.U.G. quando ricorda la spartizione del territorio cittadino, ai fini delle estorsioni, seguita alla pace e indica negli ex belligeranti C.P. e T.G. i collettori delle tangenti da spartire poi equamente tra i vari gruppi di riferimento. Il collaboratore F.A. (novembre 2008) "aggiorna" la situazione, evolutasi durante la prolungata latitanza del T.: si allontanano i due rami della famiglia De Stefano (quello di G., cui T.G. è particolarmente vicino, e quella dei figli del defunto P., G. e C.), emergono figure nuove (il cognato del detto O., B.G.; il nipote dello stesso T., S. P., misteriosamente scomparso nell’agosto 2008). Altra figura emergente, A.M., capo "locale" del quartiere cittadino di San Giovannello e ritenuto vicino a D.S.G., è ucciso nel dicembre 2003 e la sua morte – riferisce il F. – viene insistentemente attribuita nell’ambiente proprio al T..

E’ su questo sfondo, ad un tempo sedimentato ed attuale, che va valutata non solo la conversazione intercettata in questo procedimento tra A. e B. nel settembre 2006, ma anche quella intercettata in altro procedimento nell’aprile 2010 tra F. e P.. Premesso che trattasi in entrambi i casi di conversazioni intercorse tra soggetti appartenenti a tradizionali famiglie mafiose e di elevato spessore malavitoso, la prima (2006) testimonia non solo dell’immanente presenza e dell’intatto prestigio criminale dell’anziano latitante ma, anche tramite il nipote, del suo perdurante ruolo direttivo ("..visto che G. non c’è, ..il vecchio", "..siccome T.G. non c’è", ci si rivolge al nipote, " P.", S.P., "una potenza", uno che "tira tutti i fili", "ha in mano tutto", "è suo nipote., e comanda", uno "in gamba", "è lui che può andare da suo zio.. P., da suo zio G.", "..è l’unico.."). La seconda, a sua volta, in un contesto di particolare attualità (2010), evidenzia non solo il ruolo di paciere del T. ("compare G."), che cerca di mettere pace tra i vari rampolli della famiglia De Stefano ("i ragazzini che litigano", "i giovanotti") e di farli stare tranquilli (che "c’era un periodo che erano arrivati., allo scontro"), ruolo che a quei livelli può competere solo ad un personaggio di grande autorità, ma segnala come il T. con la sua famiglia abbia tuttora un ruolo attivo nella consorteria, con un suo personale seguito ("i T. hanno pure i giovanotti., i nipoti"), dove l’esortazione (non certo pacifica nei confronti degli estranei al sodalizio) è di lottare insieme. Palese, quindi, la gravità del quadro indiziario in un contesto di attuale pericolosità. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo e di una congrua sanzione pecuniaria. Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

P.Q.M.

visto l’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 1.000 Euro alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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