Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 22-06-2011, n. 25117 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 2/11/10 il Tribunale di Lecce rigettava la richiesta di riesame di G.V. avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti l’11/10/10 dal Gip dello stesso Tribunale per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (capo BR: commesso in (OMISSIS)).

Nell’ambito di una più vasta indagine riguardante l’associazione criminale di F.G., nella quale spicca la persona di R.V., da due conversazioni intercettate alle 10,59 e alle 19,25 dello stesso 17/5/08 tra il detto R., il sodale P.N. e la convivente M.I. si evince che i tre si recano presso il supermercato "Bottega più" di proprietà di G.V. per trattare e poi concludere un acquisto di sostanza stupefacente (quattro panetti di hashish pari a 400 grammi per il prezzo di 1.200 Euro). Il G. è identificato come colui al quale "ai Tamburi" (il rione Tamburi di Taranto: il fatto in discorso era avvenuto il 9/11/91) avevano ucciso il padre (nominato come G.M., in realtà il nome era C.) e la bambina (la figlioletta Va., sorella di V.).

Quindi la gravita del quadro indiziario e l’esistenza di esigenze cautelari nei confronti del G., visto il suo ruolo di collettore di quantitativi anche cospicui di sostanza stupefacente nei confronti del clan, quale emerge dalle intercettazioni.

Ricorreva per cassazione il G. con atto a sua firma, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione: il Tribunale non aveva congruamente motivato a fronte delle doglianze difensive sollevate con la richiesta di riesame in ordine ai gravi indizi di colpevolezza (individuati sulla sola base dell’identificazione della persona che i soggetti intercettati andavano ad incontrare); i risultati delle intercettazioni non erano utilizzabili, posto che il Gip aveva consentito che le operazioni avvenissero nella sala d’ascolto della Questura per l’indisponibilità degli impianti installati in Procura, già impegnati per altri ascolti, ma analoga autorizzazione non compariva nei decreti di proroga ed essendo inoltre discutibile che la ragione della deroga (solo affermata dal Pm) integrasse le eccezionali ragioni di urgenza volute dalla legge (ed i principi in materia erano valevoli anche per le intercettazioni ambientali);

insufficiente una sola intercettazione a provare, al di là del mero contatto con altre persone, un’intervenuta attività di spaccio;

assenti ragioni attuali e concrete (apoditticamente individuate dal giudicante nel pericolo di recidiva) che giustificassero le restrizioni cautelari adottate, a fronte di un singolo episodio avvenuto nell’ormai lontano maggio 2008. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

All’udienza camerale fissata per la discussione il PG chiedeva il rigetto del ricorso. Nessuno compariva per il ricorrente.

Il ricorso, manifestamente infondato, va dichiarato inammissibile. E’ giurisprudenza pacifica di legittimità che in tema di misure cautelari personali (Cass., Sez. Un., sent. n. 11 del 22/3/00, rv.

215828, Audino), allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza (ciò che al presente si registra, la dedotta violazione di legge identificandosi con il vizio di motivazione), alla S.C. spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravita del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie.

Nel caso in esame ciò è avvenuto, il giudice di merito avendo rappresentato in modo adeguato, logico e corretto la gravita del quadro indiziario a carico del ricorrente. Va premessa la piena utilizzabilità delle intercettazioni. Lo stesso ricorrente da atto che la deroga all’uso degli impianti in dotazione alla Procura della Repubblica ed ivi installati è stata motivata dall’essere impegnati (quelli della stessa tipologia) per altre indagini in corso, adducendo al riguardo eccezionali motivi di urgenza. La mancata reiterazione del motivo nelle successive richieste e nei relativi decreti di proroga non inficia la loro validità, essendo implicita (in mancanza di una segnalata mutazione della situazione rappresentata) la causale originaria sia nelle richieste che nei decreti di accoglimento. Nè una simile indisponibilità andava certificata dal Pm (essendo a ciò sufficiente la sua dichiarazione, che presuppone l’accertamento della situazione: la causa dell’indisponibilità è espressamente indicata, gli effetti sono conseguenti, la durata non era evidentemente pronosticabile).

Ciò posto ed individuato con certezza il soggetto di cui si parla nell’intercettazione (quello che "ai Tamburi" avevano ucciso il padre e la sorella piccola), non è dubbia la sufficienza indiziaria: non per il reato associativo (estraneo all’ordinanza cautelare a carico del G.), ma il singolo episodio contestato di spaccio di hashish. Allo stesso modo sono ampiamente motivate nel provvedimento impugnato le ragioni cautelari: non solo la gravita del reato (per la quantità cospicua della droga spacciata e l’evidente posizione di rilievo dello spacciatore nell’illecita rete commerciale), ma i precedenti specifici del soggetto e l’esistenza a suo carico di una pendenza penale per fatti analoghi.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo e di una congrua sanzione pecuniaria. Trattandosi di soggetto in custodia cautelare in carcere va disposto ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1- ter.

P.Q.M.

visto l’art. 606 c.p.p., comma 3 e art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di 1.000 Euro alla Cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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