Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 22-06-2011, n. 25055 violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale di Torino – con ordinanza del 13.4.2010 -accoglieva l’appello proposto dal P.M. avverso il provvedimento 20.3.2010 con il quale il G.I.P. di quel Tribunale aveva applicato a S.C. M.A. la misura cautelare personale dell’allontanamento dalla casa familiare per il reato di cui all’art. 81 cpv., 609-bis c.p., commi 1 e 2, art. 609-ter c.p., e art. 61 c.p., n. 5 (violenza sessuale in danno della figlia della propria ex convivente, minore di anni 12, posta in essere in due occasioni mediante toccamenti delle parti intime) e, per l’effetto, applicava all’indagato la misura di massimo rigore della custodia in carcere.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore del S. C., il quale ha eccepito violazione di legge e carenza di motivazione in ordine:

– alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, essendo "ben lecito nutrire il ragionevole dubbio che la minore possa essersi sbagliata nell’attribuire all’uomo una specifica volontà di molestia sessuale";

— alla ritenuta esclusione della ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609-bis cod. pen., u.c. apparendo "quanto meno verosimile anche la ricostruzione fornita dall’indagato, il quale non ha negato quanto accaduto, ma ha sostenuto per entrambi i casi l’assoluta involontarietà del suo gesto, a cui ha immediatamente posto termine non appena si è accorto di avere toccato la figlia della convivente nelle parti intime, senza volerlo";

– alla affermata inidoneità della misura degli arresti domiciliari a garantire il soddisfacimento delle ravvisate esigenze cautelari.

Il ricorso deve essere rigettato, poichè infondato.

1. Infondate sono anzitutto le doglianze di insussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza" che l’art. 273 c.p.p., comma 1 pone quale condizione generale per l’applicazione di misure cautelari personali.

Deve ricordarsi, in proposito, che il concetto di "gravità degli indizi", posto dalla norma richiamata – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema postula un’obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti i quali, nel loro complesso, devono consentire di pervenire logicamente ad un giudizio che, senza raggiungere il grado di certezza richiesto per un’affermazione di condanna, sia di alta probabilità dell’esistenza del reato e della sua attribuibilità all’indagato.

In coerenza con tale postulato, nella fattispecie in esame sono stati anzitutto indicati gli elementi di fatto da cui gli indizi sono stati desunti accuse della minorenne parte offesa, specificamente riscontrate dalle narrazioni della madre e delle sorelle di lei e non contestate dall’indagato quanto alla percettibilità oggettiva della propria condotta (sia pure asseritamente involontaria) da parte della ragazza.

Tali indizi, poi, sono stati valutati dal Tribunale nella loro essenza ed è stato logicamente argomentato che le condotte ascritte all’indagato (toccamenti delle parti intime della ragazza), per le loro caratteristiche esecutive e per l’impatto psicologico sulla vittima, portano ad escludere, allo stato, la riconducibilità della vicenda alla ipotesi di minore gravità di cui all’art. 609-bis cod. pen., u.c..

2. Anche le doglianze riferite alle ravvisate esigenze cautelari non meritano accoglimento.

Tali esigenze sono state individuate, secondo le previsioni di cui all’art. 274 c.p.p., lett. a e c in relazione: alla necessità di procedere con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza della persona offesa, che potrebbe essere intimidita e confusa da possibili contatti con l’indagato con rischio di manipolazione;

nonchè all’elevata probabilità di reiterazione di analoghe condotte criminose.

E, nello specifico, l’attualità del pericolo di reiterazione degli abusi appare correttamente correlata, con motivazione adeguata, alla rilevanza effettiva dell’attività delittuosa (perpetrata con modalità particolarmente subdole ed insinuanti) ed alla personalità dell’indagato, il quale avrebbe già in precedenza posto in essere analoghi comportamenti illeciti in ambiente familiare, evidenziando in tal modo "una perniciosa inclinazione" a commettere reati sessuali nell’ambito agevolante privilegiato della convivenza in famiglia.

La "inclinazione a lasciarsi andare" ai propri impulsi sessuali, connessa ad una evidenziata incapacità di controllo degli impulsi medesimi, rendono logica l’affermazione secondo la quale sussiste il rischio che la "propensione" deviata già dimostrata dall’indagato si estenda anche ad altri minori e fuori del contesto domestico agevolante; razionale pertanto, deve ritenersi la prospettata esigenza di un "controllo effettivo e pressante dei movimenti dell’indagato, del tutto inaffidabile rispetto a misure più graduate".

Il Tribunale in conclusione – coerentemente con le argomentazioni poi svolte dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 265 del 21.7.2010, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 275 c.p.p., comma 3, come modificato dal D.L. n. 11 del 2009, art. 2 convertito nella L. n. 38 del 2009, con riferimento anche all’art. 609-bis cod. pen. – ha legittimamente escluso che siano stati acquisiti, allo stato, elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con misure meno gravose ed in particolare con gli arresti domiciliari.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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