T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 27-06-2011, n. 1206Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso, notificato il 1° aprile 2010 e depositato il giorno 13 successivo, il signor P.C., premesso di essere da decenni in possesso di una pistola e delle relative cartucce, esponeva che, con decreto prot. 70559/Area I Ter del 3 novembre 2009, il Prefetto di Palermo gli aveva vietato di detenere armi e munizioni.

Tale provvedimento era stato motivato con riferimento alla nota della Questura di Palermo Cat. 6H/2008 del 4 giugno 2008 ed a quella confermativa del 14 maggio 2009, nelle quali era stato, rispettivamente, affermato che il ricorrente "per le proprie vicissitudini giudiziarie, non offre sufficienti garanzie di affidabilità ex art. 39 TULPS" e che "i vari benefici di legge ottenuti… non costituiscono elementi di sicura valutazione per l’affidabilità del soggetto in ordine alla detenzione ed all’uso delle armi".

Tali considerazioni si riferivano, in particolare, a procedimenti penali modesti assai risalenti nel tempo, per i quali erano stati concessi benefici di vario tipo (i.e.: condanna della Corte d’Appello di Palermo del 15 dicembre 1992 a due anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, relativamente alla quale era intervenuta riabilitazione; condanna patteggiata del Tribunale di Palermo dell’8 aprile 1993 ad anni uno e mesi sei di reclusione, Lire 1.400.000 di multa e confisca di quanto sequestrato per falsificazione di monete in concorso, relativamente alla quale era intervenuta declaratoria di estinzione ex art. 445, comma 2, c.p.p.; condanna della Corte d’Appello di Palermo del 3 luglio 2002 a mesi 4 di reclusione per bancarotta fraudolenta, relativamente alla quale era intervenuta declaratoria di estinzione).

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, degli atti su richiamati, per il seguente unico articolato motivo:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del TULPS. Travisamento dei presupposti. Contraddittorietà. Eccesso di potere per manifesta illogicità ed incongruità della motivazione. Sviamento.

I procedimenti richiamati nelle note della Questura non sarebbero idonei a giustificare il provvedimento adottato dal Prefetto, in quanto: risalenti nel tempo, estranei a qualsiasi giudizio di pericolosità e non connessi all’uso delle armi.

La motivazione sarebbe carente anche in considerazione della mancata adeguata valutazione delle deduzioni presentate dal ricorrente successivamente all’avviso di avvio del procedimento.

Vi sarebbe una "singolare coincidenza temporale" con analogo provvedimento adottato nei confronti del figlio del ricorrente.

Per l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato.

Con ordinanza n. 640 del 16 luglio 2010 l’istanza cautelare è stata accolta.

In vista della udienza, l’Avvocatura ha depositato una memoria, con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso, vinte le spese.

Alla pubblica udienza del 7 giugno 2011, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il gravame è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto il provvedimento, con il quale è stata rigettata l’istanza di rinnovo del porto di fucile per uso caccia presentata dal ricorrente con la seguente motivazione: "per le proprie vicissitudini giudiziarie, non offre sufficienti garanzie di affidabilità ex art. 39 TULPS" "i vari benefici di legge ottenuti… non costituiscono elementi di sicura valutazione per l’affidabilità del soggetto in ordine alla detenzione ed all’uso delle armi".

Con unico articolato motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del TULPS, nonché il difetto di motivazione ed istruttoria, in considerazione del fatto che i procedimenti penali richiamati non sarebbero idonei a giustificare il provvedimento adottato, in quanto: risalenti nel tempo, estranei a qualsiasi giudizio di pericolosità e non connessi all’uso delle armi.

Orbene, l’art. 11 del RD 18 giugno 1931, n. 773 (c.d. TULPS) prevede che le autorizzazioni di polizia devono essere negate, oltre che negli specifici casi indicati, anche "a chi non può provare la sua buona condotta" e che le stesse devono essere revocate quando vengono a mancare i requisiti previsti per il loro rilascio, nonché "vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione".

Il successivo art. 39 prevede che il Prefetto ha la facoltà di vietare la detenzione delle armi "alle persone ritenute capaci di abusarne", mentre l’art. 42 statuisce che il Prefetto ha la facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura.

Infine, l’art. 43 prevede, oltre alle generali ipotesi comportanti il diniego di rilascio o di rinnovo delle autorizzazioni di Pubblica Sicurezza di cui all’art. 11, ulteriori specifiche ipotesi indicate al comma 1, nonché, al comma 2 che "la licenza può essere ricusata… a chi non da affidamento di non abusare delle armi".

Invero, secondo un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, la quale già fa parte della sfera del privato, ma assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare armi sancito dall’art. 699 c. p. e dall’art. 4, comma 1, della l. n. 110/1975, cosicché, in tale quadro normativo, il controllo effettuato al riguardo dall’autorità di pubblica sicurezza viene ad assumere connotazioni particolarmente pregnanti e severe, essendo la stessa titolare di un ampio potere discrezionale di valutazione in ordine alla affidabilità del soggetto di non abusare delle armi (in tal senso, ex plurimis, Consiglio di Stato, VI, 22 maggio 2008, n. 2450, C.G.A., sez. giur., 28 gennaio 2003, n. 35; TAR Calabria Catanzaro, I, 4 maggio 2004, n. 1007; TAR Lombardia Milano, III, 28 aprile 2004, n. 1531).

Ne deriva: sotto un primo profilo, che l’Amministrazione di P.S. è tenuta ad indicare gli aspetti concreti, che fungono da presupposti per la formulazione di un giudizio di non affidabilità, evidenziando, con motivazione adeguata, le ragioni che consentono di pervenire, proprio sulla base degli aspetti indicati, ad un giudizio (attuale e prognostico) di segno negativo in ordine alla affidabilità del richiedente la licenza (o il suo rinnovo) (vedi TAR Campania Napoli, V, 2 marzo 2009, n. 1185); sotto un secondo profilo, che tale giudizio largamente discrezionale non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza o del travisamento dei fatti (TAR Liguria Genova, II, 14 febbraio 2008, n. 253).

Nella specie il giudizio negativo è stato fondato sui precedenti del ricorrente di seguito indicati:

– condanna della Corte d’Appello di Palermo del 15 dicembre 1992 a due anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, relativamente alla quale è stata concessa la riabilitazione;

– condanna patteggiata del Tribunale di Palermo dell’8 aprile 1993 ad anni uno e mesi sei di reclusione, Lire 1.400.000 di multa e confisca di quanto sequestrato per falsificazione di monete in concorso, relativamente alla quale è intervenuta declaratoria di estinzione ex art. 445, comma 2, c.p.p.;

– condanna della Corte d’Appello di Palermo del 3 luglio 2002 a mesi 4 di reclusione per bancarotta fraudolenta, relativamente alla quale è intervenuta declaratoria di estinzione.

Trattasi, a ben vedere, di condanne, per lo più datate, che non si riferiscono a reati violenti, per i quali sono stati concessi benefici di vario tipo, cosicchè la censura va ritenuta fondata alla luce dell’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale è illegittimo il diniego di rinnovo di porto d’armi motivato con riferimento ai precedenti penali del richiedente ove riferiti a fatti di reato risalenti nel tempo, rispetto ai quali è intervenuta la riabilitazione e che non hanno alcuna attinenza rispetto all’uso delle armi (per tutte TAR Lombardia Milano, III, 9 dicembre 2010, n. 7485).

Non può invece trovare accoglimento la pretesa risarcitoria, in quanto la tempestiva concessione della tutela cautelare ha impedito che si producessero danni.

Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso è fondato con riferimento alla richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, infondato per quanto riguarda l’istanza risarcitoria.

Si ritiene opportuno compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie relativamente alla richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, lo rigetta con riferimento alla pretesa risarcitoria.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *