T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 27-06-2011, n. 1199 Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso, notificato il 12 giugno 2009 e depositato il giorno 23 successivo, il signor G.D. esponeva che con decreto del 22 aprile 2009 il Questore di Palermo aveva rigettato l’istanza di rinnovo del porto di fucile per uso caccia dallo stesso presentata.

Il provvedimento era stato motivato con riferimento alle due circostanze di seguito indicate:

– pendenza del procedimento penale n. 953/07 del 14 marzo 2007 per il reato di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), per il quale era stato emesso decreto penale di condanna al pagamento di una multa di Euro 760,00, in attesa di esecutività;

– condanna, in data 9 novembre 1999, alla pena di mesi 6 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per il reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) con le aggravanti di cui agli artt. 576, 585 e 62 bis c.p., nonché per quello di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) con l’aggravante di cui all’art. 62 bis c.p..

Il ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, dell’atto surrichiamato, per il seguente unico motivo:

Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 43 del TULPS. Difetto di motivazione. Insussistenza ed erronea valutazione dei presupposti. Illogicità manifesta.

Il riferimento al procedimento per falso ideologico non sarebbe idoneo a giustificare il provvedimento impugnato, in considerazione del bene tutelato (pubblica fede), nonché della mancanza di efficacia dei decreti penali di condanna nei giudizi civili ed amministrativi.

Analoga situazione ricorrerebbe per l’ulteriore procedimento penale richiamato in considerazione della pendenza di istanza per la dichiarazione di estinzione del reato.

Per l’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato.

Con ordinanza n. 723 del 17 luglio 2009 l’istanza cautelare è stata rigettata per difetto del periculum in mora.

In vista della udienza, il ricorrente ha depositato una memoria, con la quale ha rappresentato che nelle more del giudizio era intervenuta l’ordinanza della II sezione penale del Tribunale di Palermo, con la quale erano stati dichiarati estinti i reati di cui alla sentenza del 9 novembre 1999.

Alla pubblica udienza del 26 maggio 2011, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il gravame è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto il provvedimento, con il quale il Questore di Palermo ha rigettato l’istanza di rinnovo del porto di fucile per uso caccia presentata dal ricorrente, facendo riferimento in motivazione alle due circostanze di seguito indicate:

– pendenza del procedimento penale n. 953/07 del 14 marzo 2007 per il reato di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), per il quale era stato emesso decreto penale di condanna al pagamento di una multa di Euro 760,00, in attesa di esecutività;

– condanna, in data 9 novembre 1999, alla pena di mesi 6 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per il reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) con le aggravanti di cui agli artt. 576, 585 e 62 bis c.p., nonché per quello di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) con l’aggravante di cui all’art. 62 bis c.p..

Con unico articolato motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 43 del TULPS, nonché il difetto di motivazione ed istruttoria. Si è, in particolare, affermato che: il riferimento al procedimento per falso ideologico non sarebbe idoneo a giustificare il provvedimento impugnato, in considerazione del bene tutelato (pubblica fede) e della mancanza di efficacia dei decreti penali di condanna nei giudizi civili ed amministrativi; l’ulteriore condanna non rileverebbe essendo intervenuta la dichiarazione di estinzione del reato ex art. 445, comma 2, c.p.p..

La doglianza è infondata.

L’art. 11 del RD 18 giugno 1931, n. 773 (c.d. TULPS) prevede che le autorizzazioni di polizia devono essere negate, oltre che negli specifici casi indicati, anche "a chi non può provare la sua buona condotta" e che le stesse devono essere revocate quando vengono a mancare i requisiti previsti per il loro rilascio, nonché "vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’autorizzazione".

Il successivo art. 39 prevede che il Prefetto ha la facoltà di vietare la detenzione delle armi "alle persone ritenute capaci di abusarne", mentre l’art. 42 statuisce che il Prefetto ha la facoltà di concedere, in caso di dimostrato bisogno, licenza di portare rivoltelle o pistole di qualunque misura.

Infine, l’art. 43 prevede, oltre alle generali ipotesi comportanti il diniego di rilascio o di rinnovo delle autorizzazioni di Pubblica Sicurezza di cui all’art. 11, ulteriori specifiche ipotesi indicate al comma 1, nonché, al comma 2 che "la licenza può essere ricusata… a chi non da affidamento di non abusare delle armi".

Orbene, secondo un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, tali disposizioni devono essere interpretate nel senso che il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva, la quale già fa parte della sfera del privato, ma assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare armi sancito dall’art. 699 c. p. e dall’art. 4, comma 1, della l. n. 110/1975, cosicché, in tale quadro normativo, il controllo effettuato al riguardo dall’autorità di pubblica sicurezza viene ad assumere connotazioni particolarmente pregnanti e severe, essendo la stessa titolare di un ampio potere discrezionale di valutazione in ordine alla affidabilità del soggetto di non abusare delle armi (in tal senso, ex plurimis, Consiglio di Stato, VI, 22 maggio 2008, n. 2450, C.G.A., sez. giur., 28 gennaio 2003, n. 35; TAR Calabria Catanzaro, I, 4 maggio 2004, n. 1007; TAR Lombardia Milano, III, 28 aprile 2004, n. 1531).

Ne deriva: sotto un primo profilo, che l’Amministrazione di P.S. è tenuta ad indicare gli aspetti concreti, che fungono da presupposti per la formulazione di un giudizio di non affidabilità, evidenziando, con motivazione adeguata, le ragioni che consentono di pervenire, proprio sulla base degli aspetti indicati, ad un giudizio (attuale e prognostico) di segno negativo in ordine alla affidabilità del richiedente la licenza (o il suo rinnovo) (vedi TAR Campania Napoli, V, 2 marzo 2009, n. 1185); sotto un secondo profilo, che tale giudizio largamente discrezionale non può essere sindacato se non sotto il profilo del rispetto dei canoni di ragionevolezza e della coerenza o del travisamento dei fatti (TAR Liguria Genova, II, 14 febbraio 2008, n. 253).

Nella specie, la valutazione dell’Amministrazione si è fondata, oltre che su un procedimento penale per falso ideologico in atto pubblico, su una condanna per lesioni personali (art. 582) – con le aggravanti di cui agli artt. 576, 585 e 62 bis – e per resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) – con l’aggravante di cui all’art. 62 bis c.p..

Per quanto riguarda il secondo degli elementi richiamati, va fatto riferimento alla sentenza n. 93/99 del 16 novembre 1999 della IV sezione penale del Tribunale di Palermo, versata in atti, nella quale si afferma che dalla informativa di reato redatta dalla Polizia Municipale di Palermo il 18 giugno 1997 era emerso "inequivocabilmente" che l’odierno ricorrente aveva usato violenza nei confronti di due vigili urbani intervenuti per impedire il proseguimento della colluttazione tra lo stesso ed altro soggetto "opponendosi al loro tentativo di interrompere la lite e causando loro lesioni personali guaribili in giorni due ed in giorni dieci".

Tale condanna costituisce, avuto riguardo alla particolare gravità dei reati commessi, presupposto di per sé sufficiente per l’adozione del provvedimento impugnato, che appare supportato da motivazione congrua e ragionevole.

A diversa conclusione non può giungersi con riferimento all’intervenuto provvedimento di estinzione dei reati ex art. 445, comma 2.

Va, a tal proposito, richiamato un precedente giurisprudenziale, relativo a fattispecie analoga alla presente, secondo il quale una sentenza di irrogazione di pena integra una circostanza che, a prescindere dalla natura patteggiata della pena e dalla intervenuta estinzione del reato ex art. 445 comma 2 c.p.p., non annulla sul piano sostanziale la connotazione di negligenza ed irresponsabilità del comportamento tenuto dal ricorrente, giustificando ampiamente il giudizio finale di inaffidabilità ex art. 43 r.d. 18 giugno 1931 n. 773 (t.u.l.p.s.) (TAR Liguria, II, 19 febbraio 2009, n. 249).

Concludendo, per le ragioni suesposte, il ricorso è infondato e va rigettato.

Sussistono, tuttavia, giustificati motivi, avuto riguardo ai profili specifici della controversia, per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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