Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 22-06-2011, n. 25051 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale monocratico di Como – in un procedimento penale instaurato nei confronti di D.J.M. ed altri in relazione a reato ambientale – con ordinanza in data 15.2.2010 – disponeva l’esclusione dal processo, ex art. 81 c.p.p., della parte civile costituita "Circolo di volontariato Legambiente Como".

Osservava il Tribunale che, nella specie, doveva ritenersi insussistente "qualunque atto o delibera dell’organo preposto allo scopo, e cioè del Consiglio dell’ente ambientalista, che disponga e dunque legittimi l’esercizio dell’azione civile in sede penale nei confronti degli imputati. Neppure detto atto è stato adottato per esplicitate ragioni di necessità ed urgenza dal Presidente ed in ogni caso non sussiste alcuna ratifica al riguardo".

Avverso l’anzidetta ordinanza di esclusione ex art. 81 c.p.p., ha proposto ricorso per cassazione la parte civile costituita "Circolo di volontariato Legambiente Como", denunciandola sotto il profilo dell’abnormità.

La parte ricorrente lamenta, in particolare, che il Tribunale avrebbe "esorbitato dai poteri di indagine e di verifica della legittimità processuale della parte civile conferiti dalla legge", tenuto conto che, nella vicenda in esame, nè il pubblico ministero nè alcuno dei difensori degli imputati avevano opposto nulla con riferimento alla capacità processuale della parte civile e che "il potere di rilevare d’ufficio il difetto di legittimazione processuale non consente sic et simpliciter di svolgere accertamenti di ufficio circa l’effettiva sussistenza della legittimazione".

Vi sarebbe stata, in sostanza, una non consentita "intrusione negli interna corporis acta dell’ente", il cui organo consiliare, comunque, nella prima riunione utile, avrebbe sempre potuto ratificare l’operato del Presidente.

Il Tribunale, poi, avendo rilevato che "l’esercizio dell’azione civile nel processo penale … soggiace ai principi generali dettati dal codice di procedura civile, segnatamente in materia di rappresentanza e legittimazione", avrebbe dovuto applicare l’art. 182 c.p.p. ed assegnare alla parte un termine perentorio per il rilascio delle necessarie autorizzazioni e per la produzione della documentazione asseritamente mancante.

La violazione del principio di sanabilità ex tunc dei vizi attinenti alla validità della procura o alle eventuali autorizzazioni comporterebbe l’abnormità del provvedimento di esclusione della parte civile, che, pur spiegando gli effetti dei provvedimenti tipici previsti dall’ordinamento processuale, in realtà avrebbe assunto un contenuto ed un effetto assolutamente non contemplati dalle norme processuali, sì da collocare l’atto adottato al di fuori di ogni previsione legislativa esistente.

I difensori dell’imputato D. hanno depositato una memoria difensiva volta a confutare le argomentazioni della parte impugnante, prospettando la inammissibilità del ricorso alla stregua del principio secondo il quale l’eventuale errore processuale non può confluire nella diversa e ben distinta categoria della "abnormità". 1. L’art. 81 c.p.p., comma 1 stabilisce che "fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento di primo grado, il giudice, qualora accerti che non esistono i requisiti per la costituzione di parte civile, ne dispone l’esclusione di ufficio, con ordinanza".

In forza dell’art. 568 c.p.p., che sancisce l’individuazione tassativa dei provvedimenti del giudice soggetti ad impugnazione, e nell’assenza di una norma che preveda la specifica impugnabitttà dell’ordinanza che ammette o esclude la parte civile, si desume la inoppugnabilità del provvedimento in questione, mentre l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta di esclusione della parte civile è impugnabile solo in via differita, unitamente alla impugnazione della sentenza (vedi Cass. Sez. 1, 8.11.2007 n. 4060, Sommer ed altri, conformemente a Sez. Unite 19.5.1999, Pediconi).

2. Questa conclusione, tuttavia, lascia impregiudicato il problema della ricorribilità in Cassazione del provvedimento de quo sotto il diverso profilo della sua abnormità o comunque del suo carattere decisorio nel senso desumibile dall’art. 111 Cost., comma 7.

In altri termini – come evidenziato da questa 3^ Sezione con la sentenza 9.10.2009, n. 39321 – è fuor di dubbio il potere, riconosciuto al giudice di primo grado fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento, di disporre l’esclusione della parte civile per mancanza dei requisiti formali (ad esempio: per irregolarità della procura speciale come richiesta dagli artt. 76 e 122 c.p.p.;

per difetto della capacità processuale prevista dall’art. 77 c.p.p.;

per mancanza di uno o più degli elementi essenziali prescritti dall’art. 78 c.p.p.; per inosservanza del termine decadenziale prescritto dall’art. 79 c.p.p.) oppure per difetto dei requisiti sostanziali (quali la mancanza di legittimazione attiva che l’art. 185 cod. pen. e l’art. 74 c.p.p. riconoscono ai soggetti ai quali il reato per cui si procede ha recato un danno immediato e diretto). E’, però, altrettanto innegabile che questo potere del giudice non è esercitabile ad libitum, al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste: ove ciò avvenga, e dunque il giudice utilizzi parametri del tutto avulsi dal sistema processuale, l’atto stesso, in ragione della sua arbitrarietà, si colloca al di fuori di quel sistema, ponendo per ciò stesso il problema della sua impugnabilità al fine di reintegrare l’ordinamento giuridico violato.

3. Tanto premesso deve rilevarsi, anzitutto, che – nella fattispecie in esame – il provvedimento impugnato non riveste quel "carattere decisorio" che è richiesto dall’art. 111 Cost., comma 7, Cost. per giustificare la ricorribilità in Cassazione.

Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. la sentenza n. 36717/2008 – p.o. in proc. Corna) hanno chiarito, al riguardo, che, sotto il profilo in esame, rivestono contenuto "decisorio" solo quei provvedimenti giurisdizionali che decidono, con possibilità di passaggio in giudicato, sul diritto sostanziale dedotto in giudizio, incidendo così definitivamente sul merito della re infaconda. Per contro, non hanno tale natura quei provvedimenti meramente ordinatori o processuali che decidono soltanto sul diritto potestativo di ottenere una pronuncia giurisdizionale in una determinata fase processuale o attraverso determinati riti processuali e, di conseguenza, non incidono sul merito.

Alla luce di queste precisazioni, non vi è dubbio che l’ordinanza impugnata non ha carattere decisorio nel senso sopra precisato, in quanto non incide in via definitiva sul diritto sostanziale della parte al risarcimento del danno, ma decide esclusivamente sull’esercizio di una facoltà processuale, che resta preclusa soltanto nell’ambito del giudizio penale senza pregiudizio dell’azione risarcitoria in altra sede.

4. Nè è dato ravvisare – a giudizio del Collegio – il denunciato carattere abnorme dell’impugnato provvedimento di esclusione della parte civile: carattere che, già sotto il profilo semantico, "evoca una fuoriuscita dell’atto dall’alveo, non della validità, ma della stessa riconoscibilità sistematica del provvedimento".

Dottrina e giurisprudenza – concordi nella sostanziale impossibilità di sussumere all’interno dei tassativi schemi classificatori degli atti impugnabili in via ordinaria, taluni provvedimenti talmente "eccentrici" rispetto al sistema processuale da sfuggire alla stessa prevedibilità di impugnazione da parte del legislatore – hanno affermato che nel paradigma della abnormità vanno ricondotti tutti quegli atti connotati da evenienze patologiche di macroscopica consistenza, tali da rendere non significativo il silenzio serbato dalla legge in ordine alla relativa impugnabilità.

Ora, se è pur vero che il concetto di "abnormità" ha progressivamente nel tempo abbandonato la sua primaria connotazione di figura "extra ordinem", non riconducibile ad alcuna fattispecie tipizzata dall’ordinamento, per assumere sempre più la configurazione di patologia autonoma dell’atto processuale, è, però, altrettanto acquisito che il nucleo fondante di tale patologia è stato concordemente ed inevitabilmente individuato in un fenomeno riconducibile alla figura dello "sviamento" o "eccesso di potere" giurisdizionale.

I più recenti approdi giurisprudenziali (vedi Cass., Sez. 4, 28.1.2009, n. 6633, Mezzine ed altri) si sono, pertanto, orientati, nella definizione del concetto di abnormità, verso un progressivo superamento di quell’indagine volta a verificare se Tatto, tipico o atipico, si iscriva pur sempre in una sequenza che realizzi la progressione della re iudicanda, giacchè anche l’atto tipico, ove risulti strumentalmente piegato al soddisfacimento di funzioni "altre" e contrastanti con quelle che è chiamato a svolgere in quello specifico stadio processuale, finisce ineluttabilmente per esprimere uno sviamento del murtus giurisdizionale e, dunque, una diretta violazione del parametro costituzionale del "giusto processo regolato dalla legge". La atipica realtà processuale del provvedimento abnorme si concentra, pertanto, su due profili essenziali: da un lato, la assoluta incompatibilità dell’atto rispetto al modello procedimentale coinvolto; dall’altro, la sostanziale perversione della funzione giurisdizionale, che non consente di assegnare al silenzio serbato dal legislatore un valore ostativo ai fini della configurabilità di un diritto della parte alla impugnazione.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, quindi, che deve ritenersi abnorme non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo, in linea di principio, manifestazione di legittimo potere, si esplichi, tuttavia, al di fuori dei cast consentiti e dette ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Si è così rilevato che l’abnormità dell’atto processuale può riguardare – dunque – tanto il profilo strutturale, allorchè l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (cfr. Cass., Sez. Unite: 10.12.1997, Di Battista; 24.11.1999, Magnani).

Anche recentemente le Sezioni Unite, ritornando sulla medesima nozione, hanno riaffermato che ricorre l’ipotesi di abnormità strutturale nel caso di esercizio, da parte del giudice, di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), mentre l’abnormità funzionale sussiste nel caso di "deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo del modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e, cioè, completamente al di fuori dei casi consentiti, perchè al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto)" (cfr. Cass., Sez. Unite, 26.3.2009, n. 7, Toni Maurizio ed altro).

In altri termini, ricorre l’abnormità funzionale del provvedimento quando questo – pur corrispondente a una delle forme tipicamente previste – configuri palesemente uno sviamento della funzione giurisdizionale rispetto ai fini tipici che l’ordinamento assegna al provvedimento stesso.

4.1 Netta vicenda in esame non può ritenersi che il provvedimento censurato si collochi tra quelli abnormi per sviamento funzionale della giurisdizione, nel senso che, pur essendo frutto di un potere attribuito al giudice dall’ordinamento, è stato, però, reso al di fuori dei parametri consentiti.

Non è riscontrabile, infatti, che il Tribunale abbia esercitato arbitrariamente il suo potere di esclusione dal processo della parte civile, nonostante la riconosciuta positiva ricorrenza dei necessari requisiti di legittimazione attiva della stessa e pur in difetto di ragioni ostative di natura formale.

La mancata applicazione delle previsioni dell’alt. 182 epe. può integrare eventualmente un errore processuale, ma il Tribunale, per escludere la parte civile, non ha utilizzato un criterio non previsto dall’art. 81 c.p.p. ovvero estraneo al nostro ordinamento, nè risulta violato il principio secondo il quale le uniche valutazioni che il giudice è tenuto a compiere nella fase degli atti preliminari al dibattimento, ai fini della decisione sulla ammissione o sulla esclusione della parte civile, riguardano la verifica dei presupposti formali dell’atto di costituzione e l’accertamento che i danni oggetto della costituzione stessa possano ritenersi conseguenza immediata e diretta del fatto per cui si procede.

5. Il ricorso della parte civile, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile, avendo ad oggetto un provvedimento: a) che non riveste carattere decisorio nel senso desumibile dall’art. 3 Cost., comma 7; b) del quale è prevista impugnazione ordinaria in via differita, unitamente alla impugnazione della sentenza, e che non è qualificabile come abnorme.

6. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte "abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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