Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-03-2011) 22-06-2011, n. 25015 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 20.4.2010, confermava la sentenza 11.2.2009 del Tribunale monocratico di Trapani, che aveva affermato la responsabilità penale di D.R. G. in ordine ai reati di cui:

– al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire, opere edilizie consistite: in una base in conglomerato cementizio di mt. 10,70 x 10,70; nella installazione sulla stessa base di due case prefabbricate munite di ruote gommate poggiate su conci di tufo, aventi ciascuna le dimensioni esterne di mt. 7,50 x 2,50; in un corpo in muratura avente superficie di circa 2 mq. – acc. in (OMISSIS), il 17.5.2007);

– al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71 e 72;

– al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato le opere anzidette senza l’autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico);

– all’art. 734 c.p.. e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., la aveva condannata alla pena complessiva di mesi uno di arresto ed Euro 18.000,00 di ammenda.

Confermava gli ordini di demolizione delle opere abusive e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e la concessione dei benefici della non-menzione della condanna e della sospensione condizionale della pena, subordinato quest’ultimo all’esecuzione della demolizione entro 90 giorni dalla formazione del giudicato.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la D.R., la quale ha eccepito:

a) la carenza assoluta di prova in ordine alla riconducibilità dell’attività di edificazione abusiva alla sua persona, in quanto la pronuncia di responsabilità sarebbe stata ricollegata esclusivamente dalla circostanza che ella è proprietaria del fondo sul quale le opere sono state realizzate;

b) la inconfigurabilità dei reati, posto che le due "case prefabbricate" indicate nel capo di imputazione sono in realtà dei "caravan", che non possono "determinare alcuna modificazione della realtà esteriore se non per il breve periodo in cui vengono parcheggiati in una determinata area";

c) l’insussistenza del reato di cui all’art. 734 c.p., non potendo ritenersi verificata una "permanente menomazione della situazione di bellezza naturale attribuita al sito".

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

1. Va ribadito, anzitutto, l’orientamento costante di questa Corte e del Consiglio di Stato – che il legislatore ha recepito nella previsione espressa del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, – lett. e), n 5), – secondo il quale è configurabile il reato di costruzione edilizia abusiva anche nell’ipotesi di installazione di roulotte, camper e case mobili, sia pure montati su ruote e non incorporati al suolo, aventi una destinazione duratura per soddisfare esigenze abitative.

Devono ritenersi, infatti, pienamente equiparate alle "nuove costruzioni", ai fini della necessità del rilascio del permesso di costruire, le strutture abitative mobili (quali quelle che caratterizzano la vicenda in esame, descritte negli stessi documenti di acquisto come "furgoni attrezzati per uso abitazione") che, pure avendo la parvenza della mobilità, hanno caratteristiche obiettive di stabilità e capacità di trasformare in modo durevole l’area occupata ed utilizzata definitivamente a scopo edilizio.

2. Quanto alle doglianze riferite all’affermazione della responsabilità dell’imputata, deve rilevarsi che la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte Suprema è orientata nel senso che non può essere attribuito ad un soggetto, per il solo fatto di essere proprietario di un’area, un dovere di controllo dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva.

Occorre considerare, invece, la situazione concreta in cui si è svolta l’attività incriminata, tenendo conto della disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest"), nonchè di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all’esecuzione delle opere vedi Cass., Sez. 3^ 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto ed altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Faraone. Vedi pure Cass., Sez. 5^, 19.12.2007, n. 47083.

Grava, comunque, sull’interessato l’onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass., Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale ed altro).

Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i giudici del merito hanno fondato correttamente la responsabilità della attuale ricorrente, per l’attività di edificazione abusiva contestata, non soltanto sulla circostanza che ella risulta essere unica proprietaria del fondo su cui sono state realizzate le opere dianzi descritte, ma altresì sulla piena disponibilità giuridica e di fatto del fondo medesimo e sul rilievo che ella è stata acquirente diretta di una delle due strutture abitative mobili, in una situazione in cui l’imputata non ha mai prospettato che altro specifico soggetto abbia disposto del terreno senza che ella ne fosse consapevole o contro il suo volere e, in circostanze siffatte, abbia autonomamente intrapreso sullo stesso l’attività illecita in contestazione.

3. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno affermato che la contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. si configura come un reato di danno, e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l’alterazione delle bellezze protette.

Non è sufficiente, pertanto, per integrare gli estremi del reato, nè l’esecuzione di un’opera nè la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento della bellezza naturale (Cass., Sez. Unite, 12.1.1993, n. 248).

La relativa valutazione è riservata all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito e, nella fattispecie in esame, la Corte territoriale ha adeguatamente motivato circa l’evidente esistenza di un danno in concreto arrecato alle bellezze naturali, tenuto conto sia delle effettive caratteristiche del sito protetto sia della valutazione operata dalla Soprintendenza competente (con nota del 10.8.2007) nel senso che "le opere abusive in questione sono gravemente pregiudizievoli alle bellezze naturali e alle valenze paesaggistiche dei luoghi". 4. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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