Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-03-2011) 22-06-2011, n. 25180

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 1.4.2010, la corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza 22.5.06 del tribunale di Locri con la quale E.F. è stato condannato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti, alla pena di quattro mesi di reclusione, perchè ritenuto colpevole dei reati di minaccia grave, così modificata l’originaria imputazione di violenza privata, e di lesioni lievi, uniti dal vincolo della continuazione, in danno di R.G..

Con la medesima sentenza, il tribunale ha assolto E.A., figlio dell’imputato e della persona offesa, per non aver commesso il fatto.

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione dell’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2.

Il giudicante ha omesso di dare rilievo alle argomentazioni svolte nella memoria difensiva, depositata in udienza, determinando così una nullità ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c);

2. violazione degli artt. 612 e 393 c.p.: la tesi difensiva, secondo cui il fatto è da qualificare ex art. 393 c.p. è stata ritenuta infondata dalla corte, trascurando la sussistenza dell’ipotesi di un preteso diritto fatto valere anche se supposto, nel senso che non è necessario che il diritto sia obiettivamente sussistente in capo al soggetto attivo. Nel caso in esame, l’ipotesi dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni è integrata dal fatto che l’ E. ha agito per l’esigenza – surrettiziamente indotta da quanto narratogli – di far valere con la violenza i diritti del figlio, che riteneva lesi dal comportamento omissivo della madre, in ordine ai suoi doveri.

3. vizio di motivazione sul rigetto dell’istanza di dichiarare l’estinzione dei reati per prescrizione.

Il ricorso non merita accoglimento.

Quanto alla doglianza relativa all’omessa considerazione, da parte della corte di merito, delle ragioni critiche contenute nella memoria depositata in udienza, va rilevato che in essa il ricorrente aveva ribadito le argomentazioni, relative alla qualificazione del fatto ex art. 393 c.p. e al trattamento punitivo. Su tali argomenti la corte si è soffermata in maniera ineccepibile e, come meglio si vedrà più innanzi, è pervenuta a condivisibili conclusioni di infondatezza. La tesi difensiva sulla pretesa derubricazione del fatto-reato, a norma della disciplina dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, si fonda su un dato storico del tutto inconsistente, sotto più profili. Innanzitutto, la corte di merito ha messo in evidenza come la R. si sia dimostrata pienamente disponibile a soddisfare la pretesa del figlio di mangiare non il cibo preparato e venduto da un ristorante insieme alla madre e a una sua amica, ma il cibo preparato dalla stessa genitrice, nella sua abitazione. In ogni caso, l’eventuale scelta della R. di sospendere le sue mansioni quotidiane e di concedersi una cena in un ristorante, insieme allo stesso figlio e ad un’amica, non costituisce, sul piano strettamente giuridico e sul piano delle regole del costume, alcuna violazione di alcun diritto tutelato dal vigente ordinamento. Men che mai sussiste una ragione dell’ E. da sottoporre alla valutazione di un giudice della Repubblica, per ottenere il riconoscimento dell’obbligo della R. di sottostare in maniera immediata e indiscussa alle scelte alimentari del figlio maggiorenne. E’ quindi smentita, in termini di fatto e di diritto, la fondatezza della pretesa del ricorrente di ottenere il riconoscimento del carattere trasgressivo dell’eventuale decisione della R. di non cucinare e la meritevolezza di un censura giuridica di questa omissione Quest’ultima censura sarebbe stata poi anticipata e sostituita, in maniera arbitraria, dalle minacce di morte e dalle lesioni prodotte dal padre del giovane,. E’ di tutta evidenza che l’imputato ha posto in essere una condotta illegittima, travalicante i limiti di quanto avrebbe potuto ottenere dalla Giustizia del nostro paese.La chiarezza e la trasparenza della situazione di fatto e la macroscopica consapevolezza e volontà dell’ E. di imporre le proprie regole di violento dispotismo rendono del tutto impossibile il riconoscimento di condotta determinata da errore scusabile. Va quindi affermata la piena infondatezza di questo motivo del ricorso.

Ugualmente infondata è la doglianza sul mancato riconoscimento dell’estinzione dei reati per prescrizione, in quanto è inficiata da un erroneo calcolo del relativo termine. Il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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