T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 27-06-2011, n. 1083 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 19 – 20 gennaio 2009, e depositato il 16 febbraio successivo, il cittadino extracomunitario G.H. proponeva impugnazione avverso il decreto del 4 novembre 2008, mediante il quale il Questore di Livorno aveva respinto la sua istanza di rinnovo del permesso di soggiorno e, contestualmente, gli aveva intimato di lasciare il territorio dello Stato. Il ricorrente si affidava a quattro motivi in diritto e concludeva per l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensiva.

Costituitisi in giudizio la Questura procedente ed il Ministero dell’Interno, che resistevano al gravame, con ordinanza del 19 – 20 marzo 2009 il collegio accordava la misura cautelare richiesta.

Nel merito, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 30 marzo 2011.

Motivi della decisione

Il ricorrente G.H., cittadino bosniaco già titolare di permesso di soggiorno per motivi umanitari, impugna il decreto del 4 novembre 2008, con cui il Questore di Livorno ha respinto la sua istanza di rinnovo del titolo di soggiorno suddetto, avuto riguardo ai numerosi precedenti penali dello straniero in ordine a reati compresi nell’art. 380 co. 2 c.p.p., precedenti che, oltre ad essere di per sé ostativi alla permanenza in Italia ai sensi dell’art. 4 co. 3 del D.Lgs. n. 286/98, ad avviso dell’amministrazione sarebbero comunque rivelatori di un’inclinazione alla sistematica violazione delle regole e di inadeguata integrazione sociale.

Con il primo motivo di ricorso, lo H. sostiene che l’atto impugnato non gli sarebbe stato notificato in una copia tradotta in lingua a lui conosciuta, ciò che gli avrebbe reso impossibile comprendere le ragioni del diniego, determinandone la nullità. In senso contrario, sia sufficiente osservare che la mancata traduzione del provvedimento sfavorevole in una lingua conosciuta allo straniero non determina alcun vizio formale o sostanziale del provvedimento stesso, ma una semplice irregolarità che, al più, può autorizzare la remissione in termini dello straniero ove costui alleghi che la mancata o difettosa traduzione, impedendogli la effettiva e tempestiva conoscenza del contenuto del provvedimento stesso, abbia compromesso il suo diritto di difesa (cfr. Corte Cost. 16 giugno 2000, n. 198), evenienza che nel caso di specie non ricorre.

Con il secondo motivo, il ricorrente sostiene che l’amministrazione sarebbe incorsa in violazione dell’art. 27 Cost., in quanto i precedenti di polizia non avrebbero altro valore, se non di indizi. L’affermazione, nella sua astrattezza, è manifestamente infondata, posto che, nel sistema delineato dal legislatore italiano, la condanna penale per alcuni reati (segnatamente, quelli di cui all’art. 4 co. 3 del D.Lgs. n. 286/98), ancorché non coperta da giudicato, deve considerarsi automaticamente ostativa all’ingresso ed alla permanenza dello straniero nel territorio dello Stato.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, da un lato, che – contraddittoriamente – talune delle condanne menzionate nel provvedimento impugnato riguarderebbero episodi risalenti, nel passato già esaminati dall’amministrazione e da questa reputati non ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno; il diniego, per altro verso, produrrebbe l’effetto di determinare lo smembramento della famiglia dello H., in contrasto con i principi generali sanciti dalla Carta dei Diritti dell’Uomo e dalla Costituzione.

Le censure sono fondate nei termini che seguono.

Quanto alla denunciata contraddittorietà dell’operato della Questura, la quale avrebbe attribuito rilevanza ostativa a condanne pregresse, in passato non ritenute di ostacolo al rinnovo del titolo di soggiorno, la soluzione della controversia implica una sia pur sintetica ricostruzione della peculiare disciplina dei poteri di autotutela della P.A. nella materia dell’immigrazione.

L’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98 disciplina, con norma speciale, una specifica fattispecie di revoca, la quale, con la tradizionale ricostruzione degli atti espressivi del potere generale di revoca (ora cristallizzata nell’art. 21quinquies della novellata legge n. 241/90), ha in comune l’operatività ex nunc, differenziandosene però sotto il profilo dei presupposti: questi si identificano, infatti, non nella sopravvenienza di motivi di pubblico interesse, ovvero nel mutamento della situazione di fatto o in una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, bensì nella carenza in capo allo straniero – originaria o sopravvenuta – dei requisiti per l’ingresso e la permanenza in Italia. Trattandosi, in definitiva, di un atto vincolato, essa non implica alcuna valutazione comparativa, e può considerarsi sufficientemente motivata mediante il richiamo alla sussistenza della circostanza ostativa.

In astratto, il tenore letterale del sopra citato art. 5 co. 5 si presta ad una duplice interpretazione. Da un lato, può ipotizzarsi che la revoca costituisca in subiecta materia l’unico strumento di autotutela di cui la P.A. è dotata, nel senso che, a fronte di un difetto originario o sopravvenuto dei requisiti, il titolo di soggiorno rilasciato allo straniero possa (e debba) essere revocato, e che la revoca possa riguardare sia il titolo attualmente posseduto, sia quello o quelli posseduti in precedenza (si pensi allo straniero, il quale, dopo l’iniziale rilascio, abbia ottenuto più rinnovi del permesso di soggiorno), atteggiandosi – per il caso di vizi originari dell’atto, dati dalla originaria mancanza dei requisiti – alla medesima stregua dell’annullamento d’ufficio. Dall’altro, potrebbe invece sostenersi che la revoca sia idonea ad incidere esclusivamente sugli effetti dell’ultimo titolo di soggiorno posseduto dallo straniero, e con riferimento alla sola perdita dei requisiti che di quel titolo avevano consentito il legittimo rilascio, ma non anche nei riguardi dei titoli precedenti: vale a dire che non potrebbe essere revocato il titolo che abbia oramai esaurito i propri effetti e sia stato rinnovato. Questa seconda prospettazione ha il pregio di assicurare un’adeguata collocazione sistematica all’istituto in questione: una volta che il permesso sia stato rilasciato o rinnovato, infatti, l’eventuale intervento in autotutela dell’amministrazione dettato dalla originaria mancanza dei requisiti previsti per il rilascio o il rinnovo del permesso non risponde al paradigma normativo della revoca, che resta pur sempre legato alle sopravvenienze; in tale ottica, il catalogo delle possibili manifestazioni di autotutela in materia di immigrazione va allora completato con il ricorso alla categoria generale dell’annullamento d’ufficio, ora espressamente regolato dall’art. 21nonies della citata legge n. 241/90 che, facendo propria l’elaborazione maturata in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza, circonda di particolari cautele l’esercizio del relativo potere: questo postula, infatti, la sussistenza di specifiche ragioni di interesse pubblico (diverse, pertanto, dal mero interesse al ripristino della legalità violata), oltre a richiedere la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, e a dover essere comunque contenuto entro un termine ragionevole.

Alla luce dell’impostazione che si è indicata come preferibile, deve allora concludersi che, laddove il permesso di soggiorno sia stato rilasciato o rinnovato nonostante l’originario difetto dei requisiti per l’ingresso e la permanenza dello straniero in Italia, l’amministrazione ha la facoltà di avvalersi dei propri poteri di autotutela nella forma dell’annullamento d’ufficio. Di riflesso, deve escludersi che risultati analoghi a quelli raggiungibili attraverso l’annullamento possano venire surrettiziamente perseguiti con modalità differenti, ed in particolare attraverso il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno che sia fondato sulla esistenza di elementi ostativi già esistenti al momento del rilascio o del rinnovo precedente, ma non valutati in quella sede. Diversamente opinando, si finirebbe per consentire alla P.A. di recuperare rilievo anche a distanza di lungo tempo a circostanze pregresse, senza di fatto dover motivare in ordine alla sussistenza di un interesse attuale alla rimozione dell’atto e potenzialmente senza alcun limite temporale, il che contrasta visibilmente con i principi generali.

Facendo applicazione di quanto dianzi affermato, deve allora concludersi per l’illegittimità del diniego frapposto al ricorrente H., poiché, come inequivocabilmente emerge dal provvedimento impugnato e dalle relazioni versate in atti, la Questura si è limitata a respingere l’istanza di rinnovo sulla scorta di motivi che, integrando in realtà un vizio dell’originario permesso di soggiorno, ovvero dei rinnovi precedenti, avrebbero dovuto innanzitutto condurre all’annullamento in via di autotutela delle determinazioni pregresse.

Ulteriore profilo di fondatezza del gravame è quello che attiene alla mancata considerazione delle conseguenze prodotte dal diniego di rinnovo sulla famiglia del ricorrente, padre di quattro figli minorenni, con i quali convive in Italia (due di essi frequentano la scuola primaria).

L’inciso finale dell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98, come aggiunto dall’art. 2 co. 1 del D.Lgs. n. 5/07, stabilisce infatti che "nell’adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell’articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d’origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale". La più recente giurisprudenza della Sezione, in consonanza con quella del Consiglio di Stato (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2010 n. 3760), si è peraltro oramai attestata nel senso di ritenere che la previsione dianzi richiamata imponga di tener conto, ai fini del diniego o della revoca del permesso di soggiorno, dei vincoli familiari dello straniero anche al di fuori dei presupposti per l’esercizio del ricongiungimento familiare, e questo in una prospettiva ermeneutica costituzionalmente orientata che ha particolare riguardo al vincolo derivante dagli obblighi internazionali dello Stato, di cui all’art. 117 co. 1 Cost., con riferimento al diritto al rispetto della vita privata e familiare sancito dall’art. 8 della CEDU ("1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui").

L’interpretazione della normativa interna in conformità, per quanto possibile, con le disposizioni sovranazionali costituisce, d’altro canto, un vero e proprio obbligo per il giudice comune, il quale soltanto nell’impossibilità di giungere ad una interpretazione siffatta potrà (e dovrà) investire la Corte Costituzionale della questione di legittimità della legge nazionale (o regionale) per violazione (della norma internazionale interposta e perciò) del parametro dettato dal richiamato art. 117 co. 1 (da ultimo, cfr. Corte Cost. 12 marzo 2010, n. 93, sulla scia delle note sentenze "gemelle" nn. 348 e 349 del 2007). Ne discende che l’aver del tutto trascurato, da parte della Questura di Livorno, i legami familiari dello H. rende il provvedimento impugnato illegittimo per violazione della richiamata normativa interna, così interpretata.

In forza di quanto precede, il ricorso deve essere accolto, rimanendo assorbita la censura articolata con il quarto ed ultimo motivo.

Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna le amministrazioni resistenti alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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