Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-11-2011, n. 23338 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza in data 15.6/29.9.2006, confermava la decisione di primo grado che dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra le Poste Italiane e d.M.A. per il periodo dal 4 novembre 1999 al 31 gennaio 2000, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 "per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane".

Osservava in sintesi la corte territoriale che il contratto era stato stipulato in assenza di alcuna valida autorizzazione da parte della contrattazione collettiva, per la scadenza dei limiti temporali di vigenza degli accordi conclusi dalle parti sociali ai sensi della disposizione della L. n. 56 del 1987, art. 23.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con undici motivi. Resiste con controricorso l’intimata, la quale ha anche proposto ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Con il primo e secondo motivo del ricorso principale, svolti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, degli artt. 1175, 1375, 2697, 1427, 1431 c.c., nonchè vizio di motivazione, osservando come la corte territoriale avesse erroneamente disatteso l’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso, nonostante il comportamento di inerzia manifestato dal lavoratore successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro a termine.

Con il terzo motivo, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., la società ricorrente prospetta che la corte territoriale aveva omesso di pronunciare sulla censura relativa al vizio di ultrapetizione della decisione di primo grado, ritualmente devoluta con il relativo motivo di appello.

Con il quarto motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 414 e 112 c.p.c. e art. 1421 c.c., censura la sentenza impugnata per aver confermato la decisione di prime cure pur nella parte in cui, in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, aveva sancito la nullità della clausola di durata per sopravvenuta scadenza della contrattazione collettiva autorizzatoria.

Con i motivi dal quinto al decimo, la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione ( art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 2697 c.c., della L. n. 230 del 1962, artt. 1, 2 e 3 della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, configurava una vera e propria "delega in bianco" in favore delle organizzazioni sindacali, le quali, pertanto, potevano legittimare il ricorso al contratto a termine non solo per causali di carattere oggettivo, ma anche meramente soggettivo, sicchè restava precluso al giudice di individuare limiti ulteriori, anche di ordine temporale, atti a circoscrivere l’ambito di operatività delle ipotesi di contratto a termine individuate in sede collettiva. E che, comunque, la corte territoriale, esclusa l’applicabilità della disciplina della L. n. 56 del 1987, art. 23 aveva omesso, altresì, di verificare la riconducibilità della previsione, posta a fondamento dell’assunzione, in una delle ipotesi di legittima apposizione del termine previste alla L. n. 230 del 1962, art. 1.

Con l’undicesimo motivo, prospettando violazione di norme di diritto ( art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 1206, 1207, 1217, 1218,1219, 1223, 2094 e 2099 c.c.), si duole, infine, che la corte territoriale avesse omesso qualsiasi verifica in ordine alla rituale costituzione in mora del datore di lavoro, nonchè per aver omesso di accertare lo svolgimento di ulteriori attività lavorative, rilevanti ai fini dell’aliunde perceptum. 1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, poi, l’intimata, prospettando violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la corte territoriale aveva omesso di pronunciarsi sull’appello incidentale ritualmente proposto sul punto della costituzione in mora del datore di lavoro, in ordine al quale il giudice di primo grado non aveva considerato la rilevanza dell’offerta della prestazione lavorativa formulata con la richiesta del tentativo di conciliazione.

3.1 ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

4. Va, quindi, preliminarmente esaminato il terzo motivo, stante la sua idoneità a definire il giudizio di cassazione.

La società ricorrente ha, infatti, dedotto e documentato, in seno al presente ricorso, che aveva prospettato nel giudizio di appello che il giudice di primo grado, in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, aveva preso in esame profili di nullità del contratto mai prospettati dalla parte ricorrente e sui quali mai si era instaurato il contraddittorio, ed, in particolare, la sopravvenuta scadenza dell’efficacia temporale della contrattazione collettiva autorizzativa del contratto a termine.

La Corte di appello di Catanzaro, per come emerge dalla sentenza impugnata, non ha in alcun modo pronunciato su tale motivo di gravame, pur trattandosi di censura ritualmente proposta, che abbisognava di espresso esame e di una specifica statuizione di accoglimento o di rigetto, con conseguente vizio di omessa pronuncia, correlato alla violazione dell’art. 112 c.p.c..

Vizio che, come noto, ricorre ogni volta che sia completamente omesso il provvedimento che si palesa necessario in relazione al caso concreto e non ricorra una pronuncia, nemmeno implicita, sull’istanza o il suo assorbimento in altra statuizione (v. ad es., Cass. n. 264/2006; Cass. n. 5562/2004).

5. L’accoglimento del motivo esaminato assorbe le ulteriori censure prospettate col ricorso principale, nonchè il ricorso incidentale avanzato dall’intimata.

La sentenza impugnata va in conseguenza cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altro giudice di pari grado il quale provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri motivi del medesimo ricorso, nonchè il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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