Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 16-03-2011) 22-06-2011, n. Falsità in scrittura privata 25178

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 26.7.10 la corte di appello di Cagliari ha confermato la sentenza 14.2.07 del tribunale della stessa sede, con la quale C. S. è stato condannato alla pena di 8 mesi di reclusione perchè ritenuto colpevole del reato ex art. 485 c.p., per aver dichiarato ad agenti della polizia municipale di chiamarsi M.A., nel corso di un accertamento svoltosi mentre era alla guida dell’auto intestata alla moglie M.E..

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge, in riferimento agli artt. 63, 64, 191 e 350 c.p.p.: la M., che era presente all’accertamento della polizia e che ha confermato le false generalità del C., è stata poi condannata per il medesimo reato ex art. 485 c.p. con sentenza del tribunale non impugnata e divenuta esecutiva.

La donna ha rivelato le vere generalità del C. nel corso del procedimento amministrativo diretto a reperire il luogo ove rintracciare il sedicente M.A.. Queste dichiarazioni vennero rilasciate nel momento in cui andavano rispettate le garanzie della persona indagata per il reato di false generalità. L’art. 63 c.p.p., che sanziona l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni rese da chi non risulta come indagato e che non è ancora sottoposto ad indagine, impone, in qualunque situazione in cui gli organi di polizia giudiziaria si trovino a ricevere dichiarazioni auto indizianti ed etero accusatorie, il dovere di rendere edotta la persona dei suoi diritti e quindi di interrompere l’esame e del diritto della persona di nominare un difensore. Queste dichiarazioni altrimenti, sono inutilizzabili e l’organo di polizia non può riferirle nel corso dell’istruttoria dibattimentale. I giudici di merito hanno sostenuto che queste garanzie non operano nel caso in esame, perchè le dichiarazioni della donna sono state effettuate nel corso di un procedimento amministrativo, ma in tal modo hanno violato le norme sul diritto di difesa e hanno deciso in modo da eluderne l’applicazione 2. violazione di legge,in riferimento alle norme stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di decadenza, nonchè all’art. 111 Cost..

La M., nel corso del processo a suo carico, è rimasta contumace e non ha consentito al C. di esercitare la facoltà – riconosciuta dall’art. 111 Cost. – di chiedere le ragioni delle sue dichiarazioni accusatorie e quindi non può essere condannato sulla base di questa dichiarazioni.

3. violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p., comma 3 e vizio di motivazione.

I giudici hanno omesso di effettuare un adeguato controllo sulla credibilità intrinseca della M., perchè non hanno tenuto conto della contraddittorietà delle sue dichiarazioni.

II ricorso non merita accoglimento.

Quanto alla doglianza di cui al punto 1, si rileva che le dichiarazioni della M. sulle esatte generalità del marito sono da considerare una denuncia resa dalla donna. Questa notizia criminis ha determinato l’avvio di indagini di polizia giudiziaria, finalizzate ad accertarne la fondatezza. Tale denuncia ha trovato conferma negli accertamenti anagrafici, sui quali è stato correttamente riferito dagli autori, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, svoltasi dinanzi al tribunale di Cagliari. Va inoltre rilevato che, comunque, la M. ha reso le dichiarazioni accusatorie nei confronti del C., in un momento in cui non ancora era emerso a suo carico alcun indizio e nessuna indagine a suo carico era conseguentemente in corso.

E’ quindi infondata la doglianza del ricorrente sulla violazione delle garanzia di difesa e della disciplina di utilizzabilità delle risultanze processuali, in quanto impostata su inesistente presupposto: il riconoscimento alle iniziali dichiarazioni accusatorie della donna di una decisiva ed esclusiva forza dimostrativa della colpevolezza del C.. Questo inesistente ruolo di nucleo centrale del quadro probatorio del presente procedimento è dovuto anche a una precisa e comune scelta delle parti, in quanto risulta che sia il p.m. sia la difesa hanno omesso di chiedere l’esame della donna.

Si deve invece ritenere che, grazie allo sviluppo delle indagini della polizia municipale e alla documentazione da questa reperita e acquisita, i giudici di merito hanno ricostruito il quadro probatorio a carico del C. e ne hanno tratto correttamente la conclusione sulla sua responsabilità in ordine alle false dichiarazioni sulle proprie generalità.

.Questo complessivo quadro storico,emerso dalle risultanze processuali, è stato quindi valutato dai giudici di merito con lineare razionalità, assolutamente non sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Il ricorrente, pur denunziando formalmente, nel terzo motivo, una violazione di legge in riferimento ai principi di valutazione della prova, ex art. 192 c.p.p., non critica in realtà la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì pretende la rilettura critica del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione.

In ogni caso è del tutto errato il richiamo alla specifica regola di valutazione della chiamata di correo, alla luce del già rilevato ruolo propedeutico e introduttivo delle dichiarazioni della M., rispetto allo sviluppo e ai risultati delle indagini e delle acquisizioni probatorie.

Il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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