CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 20 luglio 2010, n.16917 GIORNALISTA CONDANNATO AL RISARCIMENTO DEL DANNO MORALE PER NON AVER APPROFONDITO LA VERITÀ DI FATTI GIUDIZIARI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da R. C. e N. Q. nonché da Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. avverso la stessa sentenza.

2 Col primo motivo B. V. denuncia, con riferimento al principio di verità oggettiva o putativa e all’obbligo di verifica delle fonti informative, nell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Cost. nonché degli artt. 51 e 595 cod. pen., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo.

Ricordati i principi che presidiano la materia – e segnatamente quelli della verità della notizia, dell’interesse pubblico alla informazione, e della continenza espositiva – rileva il ricorrente che il contenuto del brano in contestazione rispondeva, sostanzialmente, alla realtà dei fatti, a cominciare dal titolo: Carabinieri senza mandato, meramente descrittivo dell’acclarata assenza, al momento dell’arresto, del provvedimento custodiale, il quale era stato in effetti notificato all’interessato alcune ore dopo.

Ne derivava che il giornalista, per non incorrere nella diffamazione contestatagli, avrebbe dovuto rappresentare non già la situazione ricavabile dagli atti giurisdizionali e dai documenti ufficiali e pubblici, bensì quella deducibile dalla sentenza del GUP di Salerno che aveva dichiarato non luogo a procedere a carico dei due pubblici ministeri in relazione all’accusa di arresto illegale e abuso d’ufficio e che, all’epoca dei fatti, era stata impugnata innanzi alla Corte d’appello dalla Procura generale. In tale contesto dirimente era la circostanza che il giudice di secondo grado aveva confermato la predetta pronuncia in data 5 novembre 1997, e cioè mesi dopo la pubblicazione dell’opera. Conseguentemente, nella sentenza impugnata la Curia territoriale aveva affermato il principio che il giornalista ha un onere di indagine e/o di allegazione documentale anche rispetto ad atti e indagini coperti da segreto o comunque non facilmente accessibili. Né aveva il decidente considerato che il dott. Vespa, nel riportare la versione dei fatti fornita dal G., l’aveva presentata come soggettiva e obbiettivamente controvertibile; che aveva contestualmente dato atto della diversità della ricostruzione della vicenda fornita dal GIP che aveva firmato l’ordine di carcerazione; che nessun rilievo poteva avere, ai fini che qui interessano, l’erronea attribuzione al C.S.M., piuttosto che al Ministero di giustizia, del provvedimento di archiviazione del procedimento disciplinare disposto a carico dei controricorrenti, notorio essendo che il Consiglio era in realtà già stato investito della questione delle presunte irregolarità procedurali dei magistrati napoletani.

In definitiva lo scritto ritenuto diffamatorio dal giudice di merito si basava sulla ricostruzione dei fatti conosciuta e conoscibile all’epoca dei fatti e doveva pertanto ritenersi pienamente lecito, in quanto rispettoso del principio di verità oggettiva o putativa nonché assistito dall’esimente del diritto di critica.

In ordine al denunciato vizio di motivazione deduce l’impugnante che esso consiste nell’avere omesso ogni argomentazione in ordine all’affermazione del Tribunale, non smentita dalla Corte d’appello, secondo cui al momento dell’arresto i carabinieri non erano in possesso del provvedimento custodiale, che venne notificato al G. solo alle 00,25 del giorno successivo, di talché la sentenza impugnata non poteva affermare l’assenza di verità senza demolire l’accertamento fatto in primo grado.

2.1 Col secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Cost. nonché degli artt. 51 e 595 cod. pen., con specifico riferimento all’esercizio del diritto di cronaca nella pubblicazione di un’intervista. Evidenzia che la ricorrenza della scriminante in parola non poteva essere esclusa, atteso che tutte le affermazioni ritenute lesive dai controricorrenti provenivano dal soggetto intervistato, e cioè dall’ingegnere G., di talché il Vespa si era limitato a riportarle, dando per giunta atto che si trattava di versione di parte e che esistevano provvedimenti impostati su una diversa ricostruzione della vicenda. In particolare l’assunto secondo cui il Vespa avrebbe dovuto fare una sommaria valutazione di attendibilità delle dichiarazioni riportate nel libro, si poneva in contrasto con i principi enunciati dalle sezioni unite penali nella sentenza del 30 maggio 2001, che aveva risolto in senso diametralmente opposto la questione del rapporto tra verità dei fatti riferiti dall’intervistato e liceità dell’intervista.

3 Nel suo ricorso incidentale Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. formula censure sostanzialmente analoghe, ancorché articolate in tre motivi, uno dei quali specificamente dedicato alla violazione e falsa applicazione dell’art. 21 Cost. nonché degli artt. 51 e 595 cod. pen. con specifico riferimento all’esercizio del diritto di critica, nella ricostruzione fattane dalla giurisprudenza di legittimità (confr. Cass. 16 aprile 1993 in F.I. 1994, II; pag. 94; Cass. 24 gennaio 2000, n. 747).

4 Nel replicare all’una e all’altra impugnazione, i controricorrenti hanno in limine litis eccepito l’inammissibilità del ricorso incidentale di Arnaldo Mondadori Editore s.p.a. in quanto tardivo.

L’eccezione è infondata per le seguenti ragioni.

La questione dell’ammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva con contenuto meramente adesivo al ricorso principale è stata risolta dalle sezioni unite di questa Corte in termini definitivi ed appaganti con la sentenza n. 24627 del 2007. In tale pronuncia il Supremo Consesso, esaminati gli opposti orientamenti e precisato che nelle cause scindibili l’interesse all’impugnazione può divenire concreto e attuale a seguito dell’impugnazione proposta da parte di uno solo degli obbligati solidali soccombenti, l’ha ritenuta ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’impugnazione principale metta in discussione l’assetto di interessi derivante dalla sentenza alla quale il coobbligato solidale aveva prestato acquiescenza in quanto tale impugnazione, se accolta, comporterebbe una modifica della conformazione delle situazioni giuridiche originariamente accettate dal coobbligato solidale (Cass. civ., sez. unite, 27 novembre 2007, n. 24627; Cass. civ. 17 marzo 2009, n. 6444).

5 Nel merito tutti i motivi di ricorso, sia di quello principale, che di quello incidentale, che si prestano a essere esaminati congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, non colgono nel segno per le ragioni che seguono.

Va anzitutto rimarcata la singolare pertinacia con la quale, nel primo motivo di impugnazione e del Vespa e della società editrice, si insiste sulla rispondenza al vero della circostanza che l’arresto del G. sarebbe avvenuto in assenza di provvedimento custodiale, ambiguamente richiamando in proposito un brano della sentenza di primo grado alla quale, a detta dei ricorrenti, la Curia territoriale si sarebbe riportata. Sta invece di fatto che la Corte d’appello, senza addentrarsi nell’intreccio di accadimenti che presumibilmente ingenerarono nell’intervistato, come del resto negli organi inquirenti e requirenti che si occuparono del caso, l’impressione che l’arresto fosse stato eseguito senza mandato, ha ripetutamente affermato che l’accusa più grave formulata nei confronti dei magistrati napoletani – quella di avere privato della libertà personale il G. prima ancora che il GIP emettesse provvedimento custodiale – si era rivelata infondata.

È dunque, a tacer d’altro, fuorviante l’assunto che il titolo sintetizza(va) una circostanza assolutamente vera ed innegabile, come tale ammessa dagli stessi appellati, prima, e nelle sentenze di merito, poi (confr. pag. 13 ricorso Vespa), in un contesto in cui in nessun punto della sentenza impugnata si fa riferimento, sia pure in chiave problematica, a tali, presunte ammissioni.

5.1 Del pari, confutando i profili di responsabilità riscontrati con riferimento alla affermazione secondo cui il CSM aveva archiviato il procedimento disciplinare senza entrare nel merito delle accuse formulate nei confronti del Cantelmo e del Quatrano, laddove l’archiviazione era stata disposta dal Ministero per l’infondatezza degli addebiti mossi ai magistrati, tornano a richiamare i ricorrenti la circostanza notoria, come tale riportata dai principali mass media, che il C.S.M. era già stato investito della questione, quasi rivendicando, a scusante dell’imprecisione del testo, la molteplicità degli interventi istituzionali che si sovrapposero nella vicenda.

A confutazione di tali critiche è allora sufficiente osservare che, se è invincibile, e neppure contestato, il rilievo che la falsa notizia era comunque tale da ingenerare nel lettore l’errata convinzione che il procedimento fosse stato archiviato senza che venisse esaminato il merito della vicenda, lo è ancor più quello, implicito nella ratio decidendi del provvedimento impugnato, che un giornalista – e a maggior ragione un giornalista che voglia occuparsi di questioni siffatte – può e deve avere l’attrezzatura culturale necessaria a distinguere tra iniziative e provvedimenti del CSM e iniziative e provvedimenti del Ministero.

6 Quanto poi alle ulteriori critiche svolte dai ricorrenti, sembra opportuno ricordare quanto segue.

In conformità a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte Regolatrice, a partire dal noto arresto del 18 ottobre 1984, n. 5259, per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per diffamazione, devono ricorrere tre condizioni consistenti: a) nella verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (o ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false: principi sintetizzati nella formula secondo cui «il testo va letto nel contesto», il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (Cass. sez. III, 14-10-2008, n. 25157); b) nella sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, vale a dire nella c.d. pertinenza (ex multis: Cass. n. 5146/2001; Cass. 18.10.1984, n. 5259; Cass. n. 15999/2001; Cass. 15.12.2004, n. 23366); c) nella forma «civile» dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè nella c.d. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire; deve essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio; deve essere redatto nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259).

In sostanza soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia dello stesso soddisfa l’interesse pubblico all’informazione, che è la ratio dell’art. 21 della Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, riportando l’azione nell’ambito dell’operatività dell’art. 51 cod. pen. e rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza.

Invero il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. dovendo peraltro, in materia di cronaca giudiziaria, confrontarsi anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost..

In tale ordine concettuale la giurisprudenza anche penale di questa Corte è costante nel sottolineare il particolare rigore con cui deve essere valutata la prima delle condizioni sopra indicate, precisando che la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso (v. Cass. pen sez. V, 3.6.98, Pendinelli; sez. V, 21.6.97, Montanelli, n. 6018). L’esimente, anche putativa, del diritto di cronaca giudiziaria di cui all’art. 51 cod. pen., va, dunque, esclusa allorché manchi la necessaria correlazione tra fatto narrato e fatto accaduto, il che implica l’assolvimento dell’obbligo di verifica della notizia e, quindi, l’assoluto rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto esposto, nonché il rigoroso obbligo di rappresentare gli avvenimenti quali sono, senza alterazioni o travisamenti di sorta, risultando inaccettabili i valori sostitutivi, quale quello della verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. pen., Sez. V, 14/02/2005, n. 12859; cfr. anche Cass. civ., Sez. III, 17/07/2007, n. 15887).

7 Venendo al caso di specie non hanno pregio le censure volte a far valere che, a tutto voler concedere, le accuse a valenza diffamatoria sarebbero contenute esclusivamente nelle risposte date dal G. alle domande dell’intervistatore, il quale si sarebbe limitato a riportarle e a prenderne atto, di talché, in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza penale in punto di applicabilità, in casi siffatti, della scriminante del diritto di cronaca, nessuna responsabilità poteva essere ascritta all’Autore.

In realtà, contrariamente all’assunto dei ricorrenti, le sezioni unite di questa Corte hanno ritenuto essenziale non solo che le dichiarazioni dell’intervistato siano fedelmente riprodotte, ma anche e soprattutto che il giornalista, sul quale grava pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite, abbia assunto una posizione imparziale (confr. Cass. pen., sez. unite, 30 maggio 2001, n. 37140).

7.1 Ora, proprio ponendosi in tale prospettiva il giudice di merito, nel motivare il suo convincimento, non solo ha evidenziato che l’intervista era punteggiata da domande di cui appariva ovvia la risposta nonché accompagnata da notizie allusive, da sottintesi, da ambiguità suggestionanti tali da ingenerare nel lettore la convinzione della rispondenza al vero dei fatti esposti, ma ha soprattutto considerato dirimente l’omessa menzione delle circostanze che avevano portato all’esclusione di ogni responsabilità dei pubblici ministeri; di possibili, alternative ricostruzioni dei fatti, già conoscibili al momento della pubblicazione del libro, nonché della richiesta di informazioni presso gli stessi interessati al fine di verificare la loro versione dei fatti.

8 A fronte di tali argomentazioni gli impugnanti null’altro deducono se non che, al momento della pubblicazione dell’opera, era ancora pendente il giudizio di appello avverso la sentenza di non luogo a procedere del GUP di Salerno, senza neppure tentare di chiarire perché non fosse ostensibile e divulgabile il contenuto di tale provvedimento, della cui esistenza l’intervistatore ha peraltro mostrato di avere contezza, e soprattutto perché non valesse la pena di informare il lettore sulla ricostruzione della vicenda da esso accolta. E allora il positivo apprezzamento della responsabilità del Vespa e del suo editore resiste alle critiche formulate nei ricorsi, in forza dei medesimi principi enunciati nella giurisprudenza in essi richiamata, e segnatamente di una imparzialità incompatibile con espedienti linguistici e omissioni espositive proprie dell’intervistatore.

9 Non è superfluo aggiungere che correttamente il carattere offensivo delle notizie allusive è stata valutata più severamente per essere esse riportate in un libro, piuttosto che in un quotidiano. E invero la redazione di un libro esige un impegno di verifica e una onestà e completezza espositiva ancora maggiore, rispetto alla stesura di un articolo, in ragione del carattere duraturo, tendenzialmente illimitato del mezzo divulgativo prescelto e della connessa, plausibile aspettativa del lettore della particolare serietà delle informazioni in esso contenute.

10 Infine assolutamente aspecifiche sono le censure formulate nel terzo motivo di ricorso di Arnoldo Mondadori Editore s.p.a., incentrato sul preteso malgoverno dei principi in punto di diritto di critica.

Mette conto in proposito evidenziare che, secondo il giudice di merito, perché possa operare l’esimente della critica giudiziaria, è necessario che l’esposizione si fondi su dati obiettivi, anche esterni al procedimento, laddove, nella fattispecie, essa era basata su valutazioni logiche che, ancorché astrattamente plausibili, erano rimaste allo stato di mere congetture e anzi erano state smentite, già all’epoca della pubblicazione del libro, da accertamenti giudiziari e amministrativi.

Ora il ricorrente confuta tali argomentazioni limitandosi a richiamare i principi elaborati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, senza svolgere rilievi specifici alle argomentate ragioni della decisione. Ne deriva che il motivo è inammissibile, perché il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso la cui formulazione tecnica assume anzitutto una funzione identificativa dei punti della decisione contro cui si appunta l’attacco (confr. Cass. civ., 3 luglio 2008, n. 18202).

In tale contesto entrambi i ricorsi devono essere rigettati.

Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 3.200 (di cui euro 200 per spese), oltre IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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