T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 28-06-2011, n. 3442 T.A.R. Campania Napoli Sez. II, Sent., 28-06-2011, n. 3442

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente, in servizio presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli dal 10.11.1970 con la qualifica di collaboratore amministrativo, chiede l’equo indennizzo in relazione ad infermità (esiti di pregresso infarto miocardio in sede inferiore) che deduce dipendente da causa di servizio e già riconosciuta tale dalla C.M.O. con verbale del 9.3.1994 anche su favorevoli rapporti informativi del Capo Ufficio Personale centrale dell’Ateneo del 15.9.1992 e del 8.11.1993.

Precisa che il 6.5.1992 era stata ricoverata di urgenza presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli reparto di Rianimazione e terapia intensiva ed all’atto delle dimissioni il 15.6.1992 le veniva diagnosticato:" Recente infarto miocardico del ventricolo dx in sede inferiore…."

A seguito di richiesta per il riconoscimento dell’equo indennizzo, e su parere positivo del capo ufficio perdonale, la CMO presso l’Istituto medico legale Gradenigo di Napoli con verbale del 9.3.1994 riteneva sussistente un nesso di concausalità efficiente e preponderante tra servizio e l’infermità in causa; nel rilevare la sussistenza di "cardiopatia ischemica in soggetto con pregressa necrosi inferiore del miocardio" giudica l’infermità di infarto del miocardio dipendente da causa di servizio ordinaria.

Tuttavia l’Università, in sede di definizione del procedimento inteso alla liquidazione dell’equo indennizzo, si era conformata al parere negativo del C.P.P.O. del 13.4.1995 che aveva escluso la dipendenza da causa di servizio dell’infermità "…poichè l’ateromatosi vasale può derivare da fattori multipli costituzionali o acquisiti su base individuale (fumo, alcool, abitudini alimentari, ecc.), la forma in questione non può attribuirsi al servizio prestato, anche perchè in esso non risultano sussistenti specifiche situazioni di effettivi disagi o surmenage psico fisici tali da rivestire un ruolo di concausa efficiente e determinante".

Da qui il ricorso che deduce:

1) Illegittimità del decreto del Direttore amministrativo, per carenza assoluta di motivazione, illogicità, perplessità, violazione dell’art. 9 DPR 349/94: il provvedimento impugnato non esplicita le ragioni per le quali si è acriticamente conformato al parere del C.P.P.O. in presenza di altro parere endoprocedimentale (C.M.O.) di segno opposto;

2) Illegittimità del parere del C.P.P.O., carenza di motivazione, illogicità, perplessità: il C.P.P.O. ha l’obbligo di motivare il contrario avviso rispetto alla C.M.O., valutando la specifica attività lavorativa svolta e l’eventuale sussistenza di concause determinanti infermità; nel caso di specie, il C.P.P.O. non ha affatto valutato l’ambiente specifico in cui il servizio è stato svolto a differenza della C.M.O., né il carico di lavoro cui il soggetto era in concreto sottoposto;

3) violazione art. 9 DPR 349/94: l’amministrazione non ha rispettato il termine finale per l’emanazione del provvedimento, fissato in un mese dalla data di ricevimento del parere del CPPO.

Si è costituita l’Università intimata che ha chiesto il rigetto della domanda.

All’esito della udienza del 9 giugno 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Si verte nel presente giudizio sulla legittimità del diniego di riconoscimento dell’equo indennizzo alla ricorrente, a fronte della infermità di infarto del miocardio, provvedimento motivato sulla scorta del conforme parere del C.P.P.O., che ha ritenuto la non dipendenza da causa di servizio dell’infermità " cardiopatia ischemica in soggetto con pregressa necrosi inferiore del miocardio", così come accertata e riconosciuta dalla C.M.O.

Orbene, la ricorrente contesta la conclusione cui sono pervenuti gli organi tecnici ed alla quale, come detto, l’Amministrazione si è puntualmente conformata sulla scorta di due distinti profili, articolati in tre motivi che possono congiuntamente esaminarsi: a) la asserita contraddittorietà dell’enunciato tecnico conclusivo (negando la dipendenza dell’infermità da causa di servizio, l’organo tecnico ha contraddetto le puntuali risultanze cui era pervenuta la C.M.O. con valutazione specifica delle mansioni svolte e della loro rilevanza causale sull’insorgenza della malattia) e b) la violazione di legge, sul rilievo che il C.P.P.O. non avrebbe comunque valutato le mansioni svolte.

Entrambi i profili sono infondati.

Va innanzitutto premesso che l’art. 5bis del D.L.387/1987 convertito in legge, con modificazioni, dall’art.1, 1° comma, L.472/1987 stabilisce che i giudizi collegiali adottati dalla Commissioni Mediche Ospedaliere sono da considerarsi definitivi ai fini del riconoscimento delle infermità per la dipendenza da causa di servizio, salvo il potere del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie in sede di liquidazione delle pensioni privilegiate e dell’equo indennizzo.

La Corte Costituzionale, con sentenza n.209 del 21 giugno 1996, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma sollevata con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., ha precisato, nella parte motiva, che la nuova disciplina – nel conferire definitività ai giudizi adottati dalle Commissioni Ospedaliere, facendo però salvo il parere del Comitato in sede di equo indennizzo e di pensioni privilegiate – comporta che il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità, già operato dall’amministrazione ad altri effetti (quali la misura degli assegni durante il periodo di aspettativa, le spese di cura, ecc.), possa essere rimesso in discussione a seguito del parere negativo del Comitato stesso, sia pure nell’ambito delle sole materie per le quali detto organo è competente a pronunciarsi.

In sostanza il giudizio della CMO sulla dipendenza dell’infermità da causa di servizio è definitivo ad ogni effetto tranne che per il riconoscimento dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata, materie di esclusiva competenza del CPPO.

Ne consegue che ai due distinti procedimenti seguono due diversi provvedimenti volti, l’uno, al riconoscimento della causa di servizio, l’altro, al riconoscimento dell’equo indennizzo e/o della pensione privilegiata.

Si tratta di due procedimenti separati, fermo restando che la conclusione favorevole del primo (positivo riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio) costituisce condizione necessaria per l’avvio del secondo e, se è vero che nel secondo procedimento il CPPO effettua le proprie valutazioni al limitato scopo di verificare la sussistenza del diritto all’equo indennizzo e alla pensione privilegiata, rimanendo dette valutazioni ininfluenti a tutti gli altri fini, è altrettanto vero che il giudizio formulato dalla CMO in sede di accertamento della dipendenza da causa di servizio delle infermità denunciate dal dipendente non pregiudica né condiziona il diverso ed autonomo giudizio del CPPO, che può motivatamente negare la sussistenza del nesso eziologico tra l’attività lavorativa volta e l’infermità riscontrata (cfr., ex plurimis, C. d S., sez.IV, 18 febbraio 2003, n.877, secondo cui: "Poiché il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio e la concessione dell’equo indennizzo sono ancorati a situazioni giuridiche fondate su distinti presupposti e regolati da separate norme è ben possibile l’esistenza di due provvedimenti contrastanti (accertamento della dipendenza da causa di servizio di una certa infermità, ma rigetto dell’istanza di liquidazione dell’equo indennizzo) non essendovi alcuna correlazione diretta immediata e automatica tra l’uno e l’altro").

Alla luce del delineato quadro normativo di riferimento, la dedotta censura di violazione di legge è quindi infondata, in quanto l’amministrazione resistente ha correttamente fondato il proprio diniego sul parere negativo espresso a riguardo dal CPPO.

Per quanto riguarda, poi, il denunciato vizio di difetto di motivazione, si osserva che le argomentazioni svolte al riguardo dalla ricorrente si fondano sull’orientamento giurisprudenziale che, sino all’inizio degli anni "90, riteneva illegittimi i provvedimenti di diniego del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità, adottati in conformità al parere reso dal C.P.P.O. ma in contrasto con la valutazione espressa dalla C.M.O., ove l’Amministrazione non avesse motivato in ordine alla scelta tra i contrastanti pareri: l’omessa considerazione di tale discordanza e l’esclusivo riferimento al solo parere del C.P.P.O., sarebbero state infatti circostanze sintomatiche dell’esistenza del vizio di eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità e della contraddittorietà, avendo la P.A. l’obbligo, nell’esercizio dell’attività amministrativa, di osservare i principi della logica e dell’imparzialità e quindi di valutare e ponderare adeguatamente, in sede decisionale, tutti gli elementi, sia quelli favorevoli che quelli sfavorevoli, raccolti nella pregressa fase istruttoria (cfr. C.d.S., sez.VI, 24 ottobre 1991, n.702; sez.VI, 21 gennaio 1992, n.15).

Successivamente, tuttavia, tale orientamento ha formato oggetto di revisione da parte del massimo organo della giustizia amministrativa, che ha affermato che "l’Amministrazione non è affatto tenuta a spiegare le ragioni per le quali assume il parere del C.P.P.O. a fondamento delle proprie determinazioni, ma deve solo verificare se il Comitato, nel pronunciare, ha tenuto conto delle considerazioni (eventualmente di segno opposto) svolte dagli altri organi tecnici già intervenuti nella procedura. Assegnare all’Amministrazione il poteredovere di scegliere, motivando, tra pareri tecnici di contenuto diverso, significherebbe infatti attribuirle una competenza, nella materia de qua, che essa non possiede ed alla cui mancanza l’ordinamento sopperisce mediante l’imposizione dell’obbligo per la stessa di acquisire, prima di decidere, l’avviso di organi particolarmente qualificati" (C.d.S., sez.IV, 27 aprile 1993, n.483; C.d.S., sez.IV, 1 ottobre 193, n.826).

Il Collegio condivide pienamente tale ultimo riferito orientamento, per cui la censura proposta deve essere disattesa.

L’Amministrazione, infatti, in ogni caso in cui siano necessarie, ai fini dell’attività provvedimentale, cognizioni tecniche specifiche delle quali sia sprovvista, sia avvale dell’ausilio dei competenti organi tecnici previsti dalla legge.

In particolare, in materia di riconoscimento della causa di servizio finalizzato all’equo indennizzo, dovendosi procedere ad accertamenti di natura sanitaria, che esulano dalla competenze e dalle cognizioni dell’Amministrazione chiamata ad emanare il provvedimento richiesto, l’ordinamento impone l’obbligo di acquisire, prima di decidere, il parere della Commissione Medica Ospedaliera e del Comitato per le Pensioni Privilegiate Ordinarie.

Ove sussista un contrasto tra i due pareri degli organi tecnici, non è logicamente concepibile che la P.A. eserciti un’attività valutativa comportante esplicazione di cognizioni e di competenze di carattere tecnicosanitario, delle quali è invece istituzionalmente sprovvista.

Inoltre, come chiarito dalla richiamata decisione del Consiglio di Stato, n.485/93, l’obbligo di scelta non sussiste, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione intenda aderire al parere negativo formulato dal C.P.P.O., attesa anche la posizione di particolare preminenza che l’ordinamento assegna al suddetto parere, rispetto quelli resi da altri organi tecnici, e fatti ovviamente salvi, i vizi di legittimità ascrivibili allo stesso parere del C.P.P.O.

Il riferito orientamento è ormai un dato specificamente acquisito nella giurisprudenza successiva (cfr., tra le tante, C.d.S., sez.IV, 30 giugno 2003, n.3911, secondo cui "il parere della Commissione per le pensioni privilegiate ordinarie, in quanto momento di sintesi e di superiore valutazione dei giudizi espressi da altri organi precedentemente intervenuti, si impone all’amministrazione, la quale non è tenuta a specificare le motivazioni di preferenza accordate al parere espresso da detto organo, sempre che lo stesso abbia espresso un giudizio congruo sul versante istruttorio e motivazionale").

Orbene, nel caso di specie, il provvedimento impugnato indica chiaramente i motivi che hanno indotto l’Amministrazione a negare il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.

Infatti, l’impugnato diniego recepisce integralmente il parere negativo formulato dal C.P.P.O. nella seduta del 13.4.1995 il quale a sua volta evidenzia la mancanza del nesso causale tra l’infermità contratta dalla ricorrente ed il servizio prestato, in base alla specifica considerazione ""…poichè l’ateromatosi vasale può derivare da fattori multipli costituzionali o acquisiti su base individuale (fumo, alcool, abitudini alimentari, ecc.), la forma in questione non può attribuirsi al servizio prestato, anche perchè in esso non risultano sussistenti specifiche situazioni di effettivi disagi o surmenage psico fisici tali da rivestire un ruolo di concausa efficiente e determinante".

Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, pertanto, anche il parere negativo formulato dal CPPO appare congruamente motivato, dal momento che è stata considerata la specifica posizione della ricorrente in relazione alle mansioni svolte, delle quali è stata valutata l’assoluta irrilevanza causale rispetto all’evento determinatosi.

Giova infine evidenziare che, stante la specifica puntuale motivazione adottata dal C.P.P.O., non sembra pertinente quanto considerato dalla C.M.O., che aveva individuato solo nello stress ingenerato dal carico di lavoro e dal disbrigo di pratiche amministrative (peraltro comuni ad ogni attività lavorativa) le cause determinanti e preponderanti dell’insorgere dell’infermità, senza affatto considerare la natura ordinaria del servizio svolto, elementi invece tenuti ben presenti dal C.P.P.O., la cui motivazione con evidenza assorbe e supera quella della C.M.O.

Anche sotto tale profilo, di riscontro estrinseco della logicità e coerenza della motivazione del parere presupposto del C.P.P.O., le censure sollevate non meritano accoglimento.

Né possono considerarsi rilevanti i pareri espressi in via astratta da pur autorevoli cardiologi, i quali hanno riconosciuto l’attività lavorativa del personale docente e non docente dell’Università come fattore concausale nella genesi dell’infarto, posto che un considerazione astratta non può determinare il singolo caso, nel quale confluisce la valutazione di ogni situazione soggettiva del dipendente.

Il ricorso conclusivamente deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio, anche tenuto conto della risalenza del ricorso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,respinge la domanda e compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *