T.A.R. Campania Napoli Sez. III, Sent., 28-06-2011, n. 3439 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza dell’8 giugno 2010, n. 13049, questa Sezione ha sancito l’obbligo del Comune intimato di concludere il procedimento con una propria determinazione espressa e motivata in ordine alla richiesta della società ricorrente di rilascio del permesso di costruire per l’ampliamento dell’esistente opificio industriale.

In particolare, a seguito della domanda in tal senso avanzata dalla ricorrente nell’anno 2005, il Comune, preso atto che il progetto proposto comportava la necessità di variare lo strumento urbanistico, indiceva una apposita conferenza di servizi come prescritto dall’art. 5 del D.P.R. n. 447/1998. Ciò nondimeno la conferenza non ultimava i propri lavori e la società adiva il Tribunale per vedere accertato, con la pronuncia oggetto del presente giudizio, l’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione. Più nello specifico la sentenza n. 13049/2010, alla luce dell’art. 14 ter, comma 6 bis, della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 2 della stessa legge, statuiva l’obbligo del Comune competente all’adozione del provvedimento finale sulla domanda di permesso di costruire "di pervenire, comunque, a una determinazione espressa e motivata che, facendo la sintesi delle posizioni sin qui espresse in seno alla Conferenza di servizi, ne concluda i lavori e pronunzi in senso negativo o favorevole, secondo la sua valutazione tecnico – discrezionale, sull’istanza del privato, soddisfacendo in tal modo al predetto obbligo di pronuncia imposto dalle citate disposizioni della legge n. 241 del 1990".

La società ricorrente, dopo aver diffidato il Comune a provvedere entro 30 gg. alla definizione del procedimento, con l’odierno ricorso, notificato il 21 ottobre 2010 e depositato il successivo giorno 28, chiede l’esecuzione del giudicato e il risarcimento dei danni.

Alla camera di consiglio del 7 aprile 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Relativamente al profilo della mancata ottemperanza alla sentenza, il ricorso è fondato e va accolto in quanto dagli atti di causa risulta che il Comune non ha ancora provveduto, in esecuzione del giudicato, a definire il procedimento avviato dalla società ricorrente.

Dalla documentazione trasmessa dal Comune a questo Tribunale risulta, infatti, che a oggi, nessuna determinazione è stata adottata. Eventuali carenze documentali riscontrate dal Comune nell’esitare la pratica e che lo hanno indotto a chiedere alla società ricorrente delle integrazioni con nota del 23 novembre 2010 non possono a questo punto giustificare la mancata conclusione del procedimento. A tale proposito, se è vero che la stessa società con nota del 23 dicembre 2010 ha richiesto al Comune una proroga di 30 gg. per predisporre gli elaborati da inviare, è altresì certo che detto termine è ormai trascorso.

Da quanto precede deriva la necessità di ribadire l’obbligo del Comune di Boscoreale di eseguire la sentenza n. 13049/2010, adottando una determinazione espressa e motivata sull’istanza di permesso di costruire avanzata dall’interessata, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza. Qualora l’amministrazione resti inadempiente, si nomina sin d’ora, quale Commissario ad acta, il responsabile del Settore urbanistica delle Regione Campania (con facoltà di subdelega) che dovrà provvedere, entro l’ulteriore termine di 90 gg..

Il Collegio deve ora esaminare la domanda di risarcimento del danno "per il ritardo già maturato nella definizione del procedimento avviato con la richiesta del 29 settembre 2005" oltre "all’ulteriore maturando sino alla definizione di tale procedimento" con la fissazione di una "misura dell’ulteriore risarcimento per il successivo ritardo".

Recentemente il Consiglio di Stato ha evidenziato che la giurisprudenza formatasi ante codice del processo amministrativo ha ritenuto possibile formulare in sede di ottemperanza "richiesta di risarcimento solo per i danni verificatisi in seguito alla formazione del giudicato e proprio a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia, mentre il risarcimento dei danni che si riferiscono al periodo precedente al giudicato deve essere richiesto con un giudizio cognitorio da proporsi davanti al giudice di primo grado (cfr. fra le tante: Consiglio Stato, sez. V, 12 dicembre 2009, n. 7800)". "Solo con l’entrata in vigore, a far tempo peraltro dal 16 settembre 2010, del nuovo Codice del Processo amministrativo (d. lgs. n. 104 del 2 luglio 2010), è stata ammessa la possibile proposizione, nel giudizio di ottemperanza, di una azione risarcitoria anche per i danni riguardanti periodi precedenti al giudicato (art. 112, comma 4). Tuttavia tale possibilità resta contenuta nei limiti (temporali e sostanziali) dettati dal precedente art. 30 e con la precisazione che, in tal caso, "il giudizio si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario" (C.d.S., sez. V, 23 novembre 2010, n. 8142).

Tali scelte – quella di ammettere la domanda risarcitoria nel giudizio di ottemperanza e quella di trattare tale domanda con il rito ordinario – sono conseguenza logica dei principi generali affermati nel titolo III (Azioni e Domande) del Libro I (Disposizioni Generali) del Codice.

Infatti, l’art. 32, comma 1 – stabilendo che " E’ sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette e riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dai capi I e II del titolo V del Libero IV" – fissa i due principi del cumulo di domande diverse e della prevalenza del rito ordinario (salvo l’eccezionale applicazione del rito abbreviato) che hanno imposto, nell’ambito della disciplina del giudizio di ottemperanza (regolata dall’art. 112), le loro conseguenti ricadute.

La legge ha ora codificato al comma 3 dell’art. 112 ciò che la giurisprudenza aveva, come visto, considerato già ammissibile, ovvero la proposizione in sede di ottemperanza dell’azione di "risarcimento danni derivante dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato". Con altra diversa disposizione (art. 114, comma 4, lett. e) il codice ha invece consentito al giudice di fissare, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente "per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato". Il codice ha altresì innovato, rispetto al diritto pretorio precedente, ammettendo (art. 112, comma 4), come già detto, la proposizione per la prima volta in sede di ottemperanza anche della domanda risarcitoria riguardante il danno formatosi anteriormente alla sentenza della cui esecuzione si tratta (nel caso di specie in esame, viene dunque in rilievo un’ipotesi di danno da ritardo, ossia di danno derivante dalla violazione del termine di conclusione del procedimento).

Tutto ciò premesso, la domanda formulata dalla società ricorrente, volta a ottenere il ristoro dei danni da ritardo subiti per tutto il periodo che intercorre dal momento di avvio del procedimento con l’istanza di permesso di costruire del settembre del 2005 fino alla definizione dello stesso, deve necessariamente essere scomposta in tre parti: 1) il risarcimento del danno "già maturato nella definizione del procedimento avviato con la richiesta del 29 settembre 2005 assumendosi a parametro i 5 anni trascorsi da tale data"; 2) il risarcimento "in ragione del ritardo nell’ottemperanza al dictum giudiziale"; 3) la fissazione della "misura dell’ulteriore risarcimento per il successivo ritardo".

Le domande sub 1) e sub 2), alla luce dell’art. 112, comma 4, del c.p.a., devono essere definite nelle forme del giudizio ordinario cui vanno rinviate. In base alla predetta disposizione, infatti, se nel processo di ottemperanza viene proposta "la connessa domanda risarcitoria di cui all’art. 30, comma 5, nel termine ivi stabilito" il "giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario". L’uso, nella disposizione processuale citata, del presente indicativo ("si svolge"), esprime la doverosità imposta dal comando giuridico ed esclude, pertanto, una valutazione discrezionale del giudice. Né a diverse conclusioni può autorizzare, ad avviso del Collegio, il ricorrere della locuzione "può" nel comma 6 dell’art. 117 c.p.a. relativo ai ricorsi avverso il silenzio della p.a., – "se l’azione di risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 30, comma 4, è proposta congiuntamente a quella di cui al presente articolo, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria" – atteso che una lettura logicosistematica della disposizione ora trascritta dimostra che la facoltà con essa accordata dalla legge al giudice riguarda esclusivamente la possibilità di pronunciare subito, in sede camerale, sull’inerzia della p.a., evitando il necessario rinvio di tutto il processo al rito ordinario, ivi inclusa la domanda sul silenzio, ma non anche la possibilità di trattare nella medesima sede la domanda risarcitoria, che deve necessariamente essere rimessa alla sede naturale del rito ordinario a cognizione piena.

Anche tale conclusione è avvalorata, secondo il Collegio, dal citato art. 32 comma 1, come conseguenza dei richiamati principi di ammissibilità del cumulo di domande diverse e di prevalenza del rito ordinario nella trattazione della domanda risarcitoria, con la peculiarità che, nel caso del silenzio, il Codice ammette espressamente la possibilità di mantenere separata la domanda sul silenzio.

Nella fattispecie, sebbene la domanda risarcitoria riguardi sia i danni prodottisi ante giudicato, sia quelli post giudicato, il fatto lesivo che identifica in modo unitario la causa petendi è lo stesso, ossia la mancata conclusione del procedimento con un provvedimento espresso dell’amministrazione. Si tratta, invero, di una condotta omissiva che prosegue sostanzialmente omogenea, ancorché l’intervento della sentenza ex art. 21bis (sul silenzio della p.a.) abbia ad un certo punto (in parte) mutato la qualificazione giuridica dell’inadempimento e, quindi, il correlativo titolo giuridico della pretesa (di provvedimento e risarcitoria) del ricorrente, in termini di violazione del giudicato. La trattazione unitaria della complessiva pretesa risarcitoria si fonda altresì sulla considerazione della stessa ragione giustificatrice della devoluzione al rito ordinario prevista dal codice (in recepimento della giurisprudenza già anteriormente formatasi sul tema), da ravvisarsi nell’esigenza di assicurare il pieno dispiegamento dei mezzi istruttori e del contraddittorio nella più ampia e appropriata sede della cognizione ordinaria, dovendosi giudicare il rito semplificato della camera di consiglio in sé inidoneo all’accertamento dei fatti e alla liquidazione del danno richiesti dalla domanda risarcitoria, ritenuta potenzialmente di lunga e complessa indagine. Sotto questo profilo non v’è chi non veda come la ora esposta ratio giustificatrice della scelta processuale di mutamento del rito ricorra identicamente tanto per il risarcimento del danno relativo al tratto temporale anteriore alle sentenza, quanto per quello ad essa successivo, a prescindere dal parziale mutamento, sopra indicato, della qualificazione giuridica della condotta illecita e della correlata posizione giuridica tutelata della parte attrice. Concorre, infine, nella direzione della soluzione qui proposta anche il generale principio di concentrazione del giudizio, considerata l’omogeneità della pretesa fatta valere (ristoro del c.d. danno da ritardo). Si impone, pertanto, la trattazione unitaria della sola domanda risarcitoria nella sede del rito ordinario. Pertanto, unicamente per questa domanda giudiziale, occorre disporre la rimessione sul ruolo ordinario del ricorso in esame ai sensi dell’art. 112, comma 4 del c.p.a.

Va, invece, accolta, la domanda sub 3), che pur essendo articolata come richiesta di risarcimento danni per "l’ulteriore ritardo" nell’esecuzione della sentenza va più correttamente qualificata come richiesta della misura prevista dall’art. 114, comma 4, lett. e), le cui disposizioni consentono al giudice di fissare, ove ciò non sia manifestamente iniquo e non sussistano altre ragioni ostative, una somma di denaro dovuta dal resistente per ogni "violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato". Nella fattispecie, non sussistendo le predette ragioni ostative, va fissata nella misura di euro 1000,00 (mille/00) la somma dovuta dal Comune di Boscoreale nel caso in cui non provvederà a dare esecuzione al giudicato entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla notifica o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Le spese seguono la soccombenza e trovano liquidazione in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, sez. III, pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe (R.G. n. 5779/2010), così provvede:

a) accoglie la domanda volta a ottenere l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza di questa Sezione e, per l’effetto, ordina al Comune di Boscoreale di provvedere entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza e, in difetto, nomina, quale Commissario ad acta, con facoltà di subdelega, il responsabile del settore urbanistica della Regione Campania, che dovrà provvedere in sostituzione dell’Amministrazione inadempiente nell’ulteriore termine di giorni novanta, a decorrere dall’istanza dell’interessata;

b) condanna il Comune di Boscoreale al pagamento delle spese processuali relative alla domanda di esecuzione del giudicato e pertanto a rifondere alla società A.&.P.D. le spese del giudizio che si liquidano in complessivi euro 2.000,00 (duemila), oltre maggiorazioni, I.V.A. e c.a.p., come per legge; pone altresì a carico dell’Amministrazione inadempiente le spese che si rendessero necessarie per l’eventuale attività commissariale, che si liquidano sin d’ora in euro 1.000,00, che il commissario ad acta potrà esigere direttamente in base alla relazione conclusiva dell’attività svolta;

c) fissa in euro 1000,00 (mille/00) la misura dovuta, ex art. 114, comma 4, lettera e) del c.p.a., dal Comune di Boscoreale nel caso di mancata esecuzione del giudicato allo scadere del termine di sessanta giorni previsto sub a);

d) dispone la reiscrizione sul ruolo ordinario della domanda di risarcimento dei danni come precisato in motivazione, mandando alla segreteria per gli adempimenti consequenziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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