Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-06-2011) 23-06-2011, n. 25255

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. C.V. era stato tratto a giudizio per rispondere (capo A) del reato di cui agli artt. 110, 56 e 629 cpv. cod. pen., D.L. n. 152 del 1991, art. 7 con l’accusa di avere, in concorso con persone non identificate, compiuto "atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere N.B. a versare loro una somma di denaro per potere continuare i lavori in atto a Pagani, di edificazione della chiesa "Gesù è risorto" senza subire atti estorsivi"; fatti commessi il (OMISSIS);

(capo B) del reato di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14 e art. 61 c.p., n. 2, per avere portato una pistola semiautomatica, al fine di commettere il precedente reato; fatto commesso il (OMISSIS).

Con sentenza in data 19.11.2009, il Giudice dell’udienza preliminare, all’esito del giudizio abbreviato, dichiarava il C. colpevole dei fatti ascrittigli, che qualificava però, quanto al reato al capo A), alla stregua di violenza privata pluriaggravata (ai sensi degli artt. 610 e 336 cod. pen. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7) con riguardo all’episodio del 20.2.2009 e di tentata violenza privata pluriaggravata (ai sensi degli artt. 56, 610 e 336 cod. pen. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7) con riguardo all’episodio del 25.2.2009, e unificati i reati ai sensi dell’art. 81 cod. pen., riconosciuta l’attenuate dell’art. 62 c.p., comma 1, n. 6, equivalente alle aggravanti diverse dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 condannava il C. alla pena di tre anni di reclusione, con pene accessorie e misura di sicurezza della libertà vigilata per anni due.

Osservava, ai fini della diversa qualificazione, che l’imputato aveva ammesso di essersi recato sul cantiere e di avere mandato i suoi ragazzi ma solo al fine di ottenere lavori "in sub-appalto" e "a parità di prezzo"; il T., assolutamente attendibile, aveva detto che non era stata fatta nessuna esplicita richiesta di denaro, anche se secondo lui "era quello che volevano"; non erano credibili le difformi, e generiche, dichiarazioni del Ca. in altro procedimento. Gli atti compiuti non possedevano dunque il tentativo della non equivocità in relazione alla pretesa di somme di denaro e andavano per conseguenza ricondotti a quanto effettivamente commesso, ovverosia a violenze private, consumata prima e tentata poi.

2. Proposto appello sia dal Pubblico ministero sia dall’imputato, con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Salerno in parziale riforma della decisione di primo grado, riconduceva i fatti all’originaria imputazione e, ferme le ulteriori statuizioni, rideterminava la pena (stando al dispositivo "con la diminuente del rito"), in anni quattro e mesi sei di reclusione.

Rilevava, a ragione (e per quanto interessa in questa sede), che le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice non consideravano le modalità, i toni e la sequenza degli accadimenti (l’imputato aveva inviato due persone armate che avevano intimato al T. di interrompere i lavori e di andare "dagli amici"; si era quindi presentato personalmente minacciando di bruciare i macchinari se il T. non avesse ubbidito alle sue richieste), dai quali emergeva che, seppure non v’era stato accordo sull’importo richiesto, la condotta complessivamente posta in essere era evidentemente finalizzata alla richiesta estorsiva di pagamento di un "pizzo": la richiesta di "venire dagli amici" inequivocabilmente esprimendo l’usuale invito a "mettersi a posto". D’altronde anche la richiesta di ottenere subappalti di lavoro o forniture costituiva richiesta estorsiva perchè, anche a parità di prezzo, incideva sulla libertà della vittima di autodeterminarsi nel mercato.

In concreto, la pena veniva quindi così determinata: pena base per il delitto di estorsione, confermato il giudizio di equivalenza dell’attenuante del risarcimento del danno rispetto alle aggravanti diverse da quella del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, anni sei di reclusione e 900 Euro di multa; ridotta "nella misura di 1/3 ad anni tre" e della metà a 450 Euro ed ulteriormente aumentata per l’aggravante dell’art. 7 citata ad anni quattro di reclusione e 600 Euro di multa; aumentata quindi per la continuazione con il delitto al capo B) a quattro anni e sei mesi di reclusione e 700,00 Euro di multa.

2. Ricorre il C. a mezzo del difensore, avvocato Luigi Calabrese, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata denunziando violazioni di legge e vizi di motivazione in ordine:

2.1. alla qualificazione del fatto alla stregua di tentata estorsione, anzichè, come correttamente aveva fatto il primo giudice, di mera violenza privata; l’imputato aveva infatti dichiarato che sua intenzione era solo ottenere in subappalto lavori a parità di prezzo; arbitrariamente la Corte di appello aveva dato rilievo alle modalità, toni e sequenza degli accadimenti, senza spiegarne per altro le caratteristiche e l’incidenza, e arbitrariamente aveva interpretato la frase "venire dagli amici" come richiesta di "mettersi a posto" o alla stregua della classica richiesta di "un pensiero per i detenuti"; l’intento indicato dall’imputato costituiva valida ipotesi alternativa;

2.2. al calcolo della pena, effettuato in motivazione omettendo di effettuare la riduzione per il giudizio abbreviato (in ordine a tale aspetto segnalando che l’errore poteva essere direttamente corretto dalla Cassazione).

Motivi della decisione

1. Osserva il Collegio che il primo motivo di ricorso appare infondato.

La sentenza impugnata, ricostruendo la sequenza degli avvenimenti ed evidenziando l’inequivoca grave portata minatoria delle parole e dei comportamenti che avevano accompagnato le intimazioni rivolte al T. affinchè sospendesse i lavori fin tanto che non si fosse incontrato con gli "amici", del tutto logicamente ha evidenziato che quei modi recavano in sè la sostanza di richieste estorsive, tant’è che come tali erano state immediatamente intese dall’imprenditore intimato.

E per altro, giustamente la Corte di appello ha evidenziato che, anche ad ammettere che l’imputato intendesse solo pretendere di ottenere lavori in subappalto, tale richiesta – definita dal ricorso come alternativa altrettanto plausibile rispetto alla prima – aveva comunque i connotati della richiesta estorsiva.

L’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno parimenti ricorre difatti nel caso in cui il vantaggio derivi dalla realizzazione di rapporti contrattuali cui il soggetto passivo sia costretto in violazione della propria autonomia negoziale, così venendo privato del diritto di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune (tra moltissime conformi: Sez. 6, Sentenza n. 10463 del 05/02/2001, Brancaccio).

2. Quanto al secondo motivo, relativo alla determinazione della pena, occorre rilevare che nel dispositivo della sentenza impugnata è espressamente indicato che la pena veniva rideterminata "con la diminuente del rito", in anni quattro e mesi sei di reclusione.

Nella motivazione, invece, alla diminuzione per il rito abbreviato non si fa espresso richiamo.

Ora nel contrasto tra motivazione e dispositivo, dovrebbe prevale senz’altro il secondo, ma resta che la motivazione non da correttamente conto delle ragioni per le quali la Corte di appello ha ritenuto di dovere infliggere una determinata pena nè ne spiega congruamente le componenti.

3. La sentenza impugnata deve essere per conseguenza annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio limitatamente al trattamento sanzionatorio. Il ricorso va per il resto rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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