Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07-06-2011) 23-06-2011, n. 25232 Reati tributari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9 luglio 2010, il G.I.P. del Tribunale di Asti applicava a P.M. la pena concordata per i reati di cui all’art. 416 c.p., art. 81 cpv. c.p. e L. n. 74 del 2000, art. 2, art. 81 cpv c.p. e L. n. 74 del 2000, art. 8.

Avverso tale pronuncia il predetto proponeva ricorso per cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, rilevando che il provvedimento era privo di riferimenti in ordine alla sussistenza o meno della cause di non punibilità contemplate dall’art. 129 c.p.p. che il semplice confronto tra imputazione e norma asseritamente violata avrebbe agevolmente consentito di individuare.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre in primo luogo rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, in caso di applicazione della pena su richiesta delle parti la espressa considerazione della insussistenza delle cause di non punibilità da parte del giudice è richiesta solo nel caso in cui, sulla base degli atti o delle deduzioni delle parti, emergano concreti elementi circa la loro possibile applicazione, essendo altrimenti sufficiente la mera enunciazione della loro insussistenza o una motivazione implicita (Sez. 5, n. 1713,11 giugno 1999; Sez. 5, n. 4117, 29 settembre 1999).

Nella fattispecie, il giudice ha, con motivazione estremamente sintetica, dato atto dell’accordo delle parti indicando la pena finale stabilita per le imputazioni (integralmente riportate in rubrica) ed il calcolo effettuato per pervenirvi, nonchè della incensuratezza dell’imputato e della conseguente prognosi di non recidività che giustificava l’applicazione della sospensione condizionale.

Tale formulazione della motivazione, a parere del Collegio, può ritenersi sufficiente in quanto implica il riconoscimento dell’astratta corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie legale prospettata dalle parti, un accertamento negativo dell’operatività dell’art. 129 c.p.p. e la verifica della congruità della pena ed appare sufficiente a rendere edotte le parti delle ragioni per le quali il giudice ha inteso approvare l’accordo concluso il quale, in mancanza di tali condizioni, non avrebbe mai potuto ricevere tale avallo.

Va poi rilevato che la natura e i limiti del controllo giurisdizionale ai sensi art. 129 c.p.p., richiesti per il "patteggiamento", fanno sì che la decisione può essere sottoposta al giudizio di legittimità con riferimento al vizio di motivazione solo quando dal testo della sentenza appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità indicate nella norma predetta (Sez. 6, n. 4120, 1 febbraio 2007; Sez. 3, n. 2309, 09 ottobre 1999) circostanza questa, non verificatasi nella fattispecie.

Inoltre, il rito prescelto non consente la prospettazione, in sede di legittimità, di questioni che risultino incompatibili con la richiesta di applicazione della pena formulata per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla contestazione, poichè l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere rimessa in discussione, presupponendosi la rinuncia a far valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato. (Sez. 5, n. 21287, 04 giugno 2010; Sez. 3, n. 5240, 14 gennaio 2009).

Ne consegue che non possono trovare ingresso, in questa sede, le argomentazioni svolte in ricorso le quali, seppure formalmente rivolte ad evidenziare l’asserita sussistenza dei presupposti per un immediato proscioglimento risultante dal mero confronto tra il dato normativo ed il contenuto dell’imputazione e la conseguente non corretta qualificazione giuridica del fatto mirano, in realtà, a sollecitare una diversa valutazione del fatto storico, risultante dagli atti e dall’accordo delle parti.

Quanto premesso comporta, pertanto, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.500,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità" .(Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento oltre alla somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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